Bettino Craxi, storia e biografia del segretario del PSI

Politica

Paolo Volterra

La notte di Sigonella e quella del Midas, il congresso della Piramide e l’assemblea di nani e ballerine, il palazzo in via del Corso e l’ufficio in piazza Duomo, il garofano rosso, il referendum sulla scala mobile, la sera delle monetine e la solitudine di Hammamet

La figura di Bettino Craxi (FOTOSTORIA) ha scandito la fase declinante di quel sistema politico che chiamiamo Repubblica dei partiti o prima Repubblica. Vent’anni fa la sua morte, il 19 gennaio del 2000. Oggi i giudizi politici e storici sul primo presidente del consiglio socialista sono ancora controversi, in bilico fra splendori e miserie, fra memorie troppo vive e conti da regolare.

Quella “x” nel cognome

Benedetto Craxi, per tutti Bettino. Nasce nel 1934, è il figlio di Vittorio, dirigente milanese del Partito socialista. Il vizio del far politica se lo porta dentro fin dalla giovinezza, in quella palestra di apprendistato che sono i gruppi studenteschi che fanno e disfano alleanze nelle assemblee universitarie. Quel cognome inusuale, vagamente esotico, tradisce un’antica discendenza siciliana, un impasto greco, latino e nordafricano che sembra quasi voler tracciare uno dei percorsi del Craxi che sarà: il socialista mediterraneo, che tiene insieme Tunisi e Parigi, l’occidentale e il levantino, l’Africa e l’Europa.

L’eredità di Nenni

Il cursus honorum di Craxi somiglia a quello di tanti politici della sua generazione: consigliere comunale, assessore in provincia poi il salto negli organi dirigenti nazionali infine un seggio in parlamento. E’ il 1968: Bettino - che nel frattempo si è sposato con Anna e ha avuto due figli, Stefania e Bobo - è uno di quei socialisti che si riconosce in Pietro Nenni e nella sua corrente “autonomista”, insofferente verso le due grandi cattedrali politiche del tempo, la Democrazia Cristiana e soprattutto il Partito Comunista. “Appartengo a una generazione che si è formata sotto il trauma dell’insurrezione di Budapest - racconterà Craxi - e i traumi giovanili sono difficili da cancellare”. Diventa vice segretario del partito nel 1972.

La “congiura” del Midas

Dalle elezioni del 1976 il Psi esce schiacciato: sotto il 10 per cento, con un partito che deraglia fra le guerre interne. Il segretario De Martino si dimette e si fatica a trovare un sostituto. Il nome di Craxi spunta fuori in una notte di luglio, nel comitato centrale riunito in un albergone per turisti alle porte di Roma, l’Hotel Midas. Una strana alleanza fra “colonnelli” quarantenni (Manca, Signorile, De Michelis) spinge Bettino Craxi verso la segreteria del partito. “Il Psi è alle prese con il problema del suo destino e della sua esistenza” confessa il neo segretario ai cronisti, mentre si accende una delle sue sigarette preferite: North Pole al mentolo. Dietro di lui, i colonnelli annuiscono, sicuri di aver eletto un leader di transizione, ostaggio delle correnti.
E invece la debolezza dei quarantenni e la testardaggine di Craxi diventano la forza su cui il segretario inizia a costruire il suo dominio dentro e fuori il partito. Quella fra Dc e Pci è la morsa in cui Craxi pensa stia per soffocare il Psi. Se ne può uscire con la battaglia delle idee o con la lotta di potere: lui sceglie entrambe. E comincia a sistemare uomini fidati nei posti giusti: dalle istituzioni alle aziende a partecipazione pubblica, “per munirsi contro gli avversari” (la frase è di Ezio Mauro).

I giorni di Moro e quelli di Pertini

Il 16 marzo 1978 le Brigate Rosse rapiscono il presidente Dc Aldo Moro e uccidono i cinque uomini della scorta. Cominciano i 55 giorni più tenebrosi della storia della Repubblica. Nel pieno di quella tempesta il Partito socialista celebra il suo congresso, a Torino (Craxi peraltro era un tifoso della squadra granata). Il segno del cambiamento è tutto nel simbolo: un grande garofano rosso che spinge in basso fino quasi a farli scomparire il martello, la falce, il sole nascente e il libro che erano le icone quasi centenarie del partito di Turati e Matteotti. E poi una scelta dirompente: Craxi propone una sorta di trattativa fra lo stato e i brigatisti, “un’azione umanitaria, nel rispetto delle leggi” che riesca a salvare la vita dell’ostaggio. E’ una posizione che rompe gli schemi del “fronte della fermezza”, formato immediatamente dopo il sequestro da Dc e Pci. Craxi è quasi isolato, con lui solo Pannella e pochi altri. Il 9 maggio il cadavere di Aldo Moro viene fatto ritrovare nel bagagliaio di un’auto, in pieno centro a Roma. E le polemiche tra fermezza e trattativa si spengono in via Caetani. Poche settimane mesi dopo, al Quirinale sale un vecchio partigiano socialista, non troppo amato da Craxi: Sandro Pertini.

La scalata a Palazzo Chigi

Sarà proprio con una mossa imprevista che il Quirinale affida un incarico esplorativo proprio a Craxi, nell’estate del 1979. La missione non riuscirà, ma è il segnale di una nuova centralità del Psi in un sistema bloccato. Sono anni di grandi scelte programmatiche: dalla modernizzazione del paese alla riforma istituzionale. E anni di grandi scandali e vicende controverse che toccano anche il partito di Via del Corso: dall’affaire Petromin alla scoperta della loggia massonica P2, nelle cui liste si trovano ministri, generali, giornalisti, banchieri. Dopo il crollo della Dc di De MIta nel voto del 1983, il segretario Psi ha la strada spianata per Palazzo Chigi. La sua maggioranza è una coalizione che passerà alle cronache come il pentapartito: Dc, Psi, Pri, Psdi e Pli. Il governo Craxi giura il 4 agosto del 1983. Fra i ministri ci sono Giulio Andreotti, Giovanni Spadolini, Arnaldo Forlani.

Presidente Ghino di Tacco

Nei quasi millecinquecento giorni a Palazzo Chigi, Craxi sperimenterà il decisionismo, la prudenza, la spavalderia, il compromesso, l’azzardo, la ritirata. Lascia il partito nelle mani del suo vicesegretario e delfino Claudio Martelli e affronta la prova del governo. Dal nuovo Concordato con il vaticano all’istituzione dello scontrino fiscale, dal decreto Berlusconi alla riforma della “scala mobile” per i salari (con la successiva vittoria nel referendum voluto dal Pci): la “grinta” craxiana ispira consenso e disprezzo. Le sue intemerate contro la stampa avversa diventano epocali, le vignette lo raffigurano con un paio di stivali e con un piglio mussoliniano: “Sto per rompermi i coglioni!” tuona nel 1984. E il duello con Dc e Pci continua anche negli anni di governo. I critici lo accusano di sfruttare una rendita di posizione politica. Eugenio Scalfari, un arcinemico, lo paragonerà a Ghino di Tacco, brigante senese che dall’alto di una rocca dominava la strada per Roma: chiunque passasse di lì, era sottoposto al suo ricatto. Orgoglioso e piccato, da quel giorno, Craxi comincerà a firmare i suoi corsivi sull’Avanti ! con l’acronimo GdT.

La notte di Sigonella

Nell’ottobre del 1985 un gruppo di terroristi palestinesi dirotta una nave da crociera italiana, l’Achille Lauro, durante la navigazione nel Mediterraneo. I sequestratori uccidono un passeggero americano di religione ebraica, Leon Klinghoffer. Poi si arrendono e vengono presi in consegna da uomini dei servizi italiani. L’aereo che li sta portando in Italia viene affiancato da jet militari Usa e costretto ad atterrare nella base siciliana di Sigonella. Comincia la crisi diplomatica e militare più grave mai verificatasi fra Italia e Stati Uniti. I militari Usa nella base circondano l’aereo con a bordo i terroristi. A loro volta, le forze speciali dei carabinieri circondano i soldati americani. Armi in pugno, pronti a sparare, mirino contro mirino. A Roma è notte fonda quando il presidente Reagan chiama l’hotel Raphael, dove alloggia Craxi. Il colloquio fra i due è una burrasca, ci si mette anche un interprete maldestro: Craxi sostiene che quei terroristi debbano essere giudicati in Italia, Reagan li vuole davanti a un tribunale americano. Alla fine Washington cede, le armi si abbassano, la tensione si spegne. Ma la scia velenosa di quel duello si prolunga negli anni a venire.

Gli anni del CAF

Scalzato da Palazzo Chigi nel 1987 per volere di un altro arcinemico, Ciriaco De Mita, Craxi sceglie di tornare al partito e insieme di trovare una dimensione internazionale. Ha un incarico speciale dall’Onu, ma non resiste al gioco della politica di casa nostra. Craxi celebra se stesso nel congresso di Milano del 1989: sul palco domina un maxi schermo a forma di piramide, a rimarcare un’epoca di trionfi faraonici. Le dicerie e i gossip sulle sue amanti sono materia da salotto romano o meneghino. Fa da sponda agli avversari interni di De Mita nella Dc - Andreotti e Forlani - e sigla un patto di potere che prevede una spartizione di ruoli e incarichi: Andreotti alla guida del governo, Forlani segretario Dc e Craxi lanciato verso il Quirinale. E’ il CAF, dalle iniziali dei tre. E’ il triangolo finale della prima Repubblica, un accordo definito difensivo e di retroguardia, malvisto anche da chi è vicino all’ex premier. Anche perché la storia va veloce: il 9 novembre 1989 cade il muro di Berlino ed è lo sbriciolarsi del comunismo reale.

“Andate al mare”

Malgrado la fine della guerra fredda, la crisi italiana si avvita intorno a un enorme debito pubblico (cresciuto anche negli anni del governo Craxi), alle “picconate” del capo dello stato Cossiga e a episodi di corruzione che tolgono credibilità alla classe politica. Una delle spinte al cambiamento passa per le riforma elettorale e per il referendum del 1991 sulla preferenza unica, voluto dai comitati di Mario Segni. Craxi è ferocemente contrario al quesito (“Incostituzionale, antidemocratico”) e al voto, che è previsto per il 9 giugno, una calda domenica che anticipa l’estate. E infatti l’invito del leader socialista agli italiani e di “andare al mare” e non alle urne. Gli elettori gli si rivolteranno contro e in 27 milioni andranno a mettere una croce sulla scheda. E’ una sconfitta che scotta, alcuni lo definiranno poi il segno inconsapevole del declino. Craxi diventa per molti “Cinghialone”, il bersaglio più in vista di un potere che non vuole cambiare. Francesco De Gregori gli dedica una pennellata che corrode: “E’ solo un capobanda/ ma sembra un faraone/Si atteggia a Mitterrand/ma è peggio di Nerone”.

Il mariuolo e il “clima infame”

Durante la campagna elettorale del 1992  esplode l’inchiesta Mani Pulite. Tutto comincia e finisce nella città di Craxi, nella sua Milano, nella "Milano da bere” guidata dal sindaco Paolo Pillitteri, cognato di Bettino per aver sposato la sorella di lui, Rosilde. Un amministratore socialista, Mario Chiesa, viene arrestato con l’accusa di aver intascato tangenti. Craxi sa bene chi è quel personaggio. Ma in un’intervista tv lo definisce “un  mariuolo”, quasi a voler prendere la distanze politiche e personali. Chiesa comincia a parlare e da lì è un fiume in piena che travolge politici, amministratori, imprenditori. Le inchieste portano alla luce un traffico infinito di soldi e mazzette che sono serviti negli anni per finanziare tutti i partiti politici: è Tangentopoli. Gli avvisi di garanzia e gli arresti azzoppano carriere e cambiano gli equilibri politici, anche sull’onda del successo della Lega Nord di Bossi. La classe dirigente del Psi è colpita al cuore, lo stesso Craxi è indagato. Il deputato Sergio Moroni, coinvolto nelle inchieste, si suicida: “Hanno creato un clima infame” scandisce un Craxi commosso davanti ai cronisti. Il processo ai protagonisti della prima Repubblica - Forlani, La Malfa, Pomicino, lo stesso Craxi - va in onda in tv negli orari di massimo ascolto.

Una pioggia di monetine

Si dimette da segretario, ma ingaggia una battaglia rabbiosa contro quello che definisce “un golpe giudiziario”. Craxi si difende davanti alla pubblica opinione e nell’aula del Parlamento. Il suo penultimo discorso alla Camera è del 3 luglio 1992: “Buona parte del finanziamento politico è irregolare od illegale - argomenta Craxi - Non credo che ci sia nessuno in quest’aula che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro”.
Meno di un anno più tardi, il 29 aprile 1993, Bettino Craxi pronuncia il suo ultimo discorso parlamentare, poco prima del voto che dovrà decidere sull’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. E’ una difesa ma anche un j’accuse contro i magistrati e contro una classe politica che definisce ipocrita. “Tutti i partiti si finanziano con le tangenti, anche quelli che fanno i moralisti”. Il voto dei deputati dirà no alle indagini.
In aula e fuori si scatenano proteste furiose. Centinaia di persone si radunano davanti all’Hotel Raphael, nel cuore di Roma, aspettando l’uscita del leader deposto. Craxi sceglie di non passare per la porta di servizio ma di affrontare la folla. Pochi secondi ed è una tempesta di urla, slogan, insulti e soprattutto monete: un diluvio di monetine lanciate contro le auto della scorta mentre sgommano via. Pochi minuti dopo telefonerà alla figlia Stefania, che gli risponde in lacrime: “Smettila - le dice - una Craxi non piange”.

I giorni di Hammamet

Nel 1994 Craxi non è più deputato, non ha più l’immunità parlamentare. Anche se le elezioni sono state vinte dal suo amico Silvio Berlusconi (è stato testimone delle nozze fra il Cavaliere e Veronica Lario), l’ex premier rischia l’arresto. Sceglie la fuga, l’esilio in Tunisia, insieme alla moglie Anna, nella casa vicino ad Hammamet dove ha trascorso momenti felici e che diventerà la sua ultima residenza. Tecnicamente è latitante, questa la linea dei giudici. Due condanne (per corruzione e per finanziamento illecito) che arriveranno al terzo grado di giudizio; altri tre procedimenti aperti (tangenti Enel e caso Enimont); più i processi cominciati e mai conclusi. Ma Craxi si definisce un esule, costretto a stare lontano dalla sua patria. La salute è precaria, si riacutizza il diabete e il cuore è affaticato. Ma dalla Tunisia continua per anni a intervenire sulle vicende della politica e sulle conseguenze della fine del sistema dei partiti. Scrive pamphlet e diari, rilascia interviste. Viene sottoposto a un’operazione difficile in un ospedale poco attrezzato. Le sue condizioni peggiorano mese dopo mese. All’ex presidente della Repubblica Cossiga, che va a trovarlo nel dicembre del 1999, l’ex leader socialista sussurra: “lo sai che è l’ultima volta che ci vediamo, vero?”. Bettino Craxi muore nel primo pomeriggio di mercoledì 19 gennaio del 2000, all’alba del nuovo millennio. 

 

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