Le trattattive tra Italia e Ue sono due. La seconda è quella sul budget comunitario. Dove sbattere i pugni sul tavolo, almeno per ora, è sconsigliato
Da qualche settimana l’attenzione è tutta sull’interlocuzione-scontro tra Italia e Commissione europea sul bilancio italiano. Però c’è un altro bilancio e un’altra trattativa in corso, i cui frutti si vedranno a dicembre del 2020. Si tratta del bilancio europeo 2020-2027. Le sue dimensioni e i suoi contenuti sono però, anch’essi, molto importanti per l’Italia. Anche su questo, il governo ha avuto un approccio muscolare. “Non ci sarà il nostro voto a favore se ci saranno tagli per investimenti, lavoro, agricoltura, sicurezza e immigrazione. No a nuove tasse europee che pesino sui cittadini e le imprese". Lo ha detto Matteo Salvini, al termine del comitato interministeriale per gli affari europei, qualche giorno fa.
Il bilancio europeo va approvato all’unanimità. La mancanza del voto italiano significherebbe bocciatura. Sembrerebbe una minaccia seria. E magari qualcuno potrebbe pensare che facciamo la voce grossa sul bilancio europeo – minacciando di usare il nostro potere di veto – per ammorbidire le posizioni europee (della commissione, ma anche dei singoli stati membri) sulla nostra manovra. Che siano battaglie che possano influenzarsi a vicenda. Ma non è così. Basta parlare con chiunque sia vicino alle istituzioni europee, e lo capisci. Intanto perché i tempi sono molto diversi: svariati mesi per il voto sul bilancio europeo, solo un paio di settimane per il giudizio sul bilancio italiano. E poi perché non è che le istituzioni europee si scompongano più di tanto di fronte all’eventuale mancata approvazione del documento principale della politica economica europea. In caso di bocciatura, non c’è esercizio provvisorio. Cioè non si tratta fino a quando ci si mette d’accordo su un nuovo documento. Semplicemente si adotta il bilancio del 7 anni precedenti per i 7 anni successivi. Se convenga all’Italia, è presto per dirlo.
Come non sembra particolarmente utile sbandierare uno scontato (perché previsto) potere di veto, quando la diplomazia italiana lavora a una trattativa ancora in fase nascente. La Commissione ha proposto, per esempio, di passare da un bilancio di 960 miliardi totali (quello in scadenza) a uno da 1279 milardi, pari all’1,5% del pil comunitario. È un bel salto, con cui si possono fare tante cose, che altrimenti sono quasi impossibili. Alcune molto utili per l’Italia, come l’incremento e il reindirizzo dei fondi per la coesione, quelli che servono per il Mezzogiorno, e di cui noi siamo i maggiori beneficiari dopo la Polonia. Se il nuovo bilancio cresce, crescono anche questi fondi e sarebbe un bene per noi. Il secondo, importante, è almeno non far diminuire i fondi per l’agricoltura. Battaglia difficile, visto che la proposta della Commissione quei fondi li taglia. Il terzo, fondamentale, è incrementare gli euro a disposizione per le politiche sull’immigrazione. Sia per la gestione dei flussi, sia per la cooperazione e lo sviluppo nei paesi di provenienza. Tra Roma e Bruxelles, la diplomazia italiana sta lavorando, cercando di portare a casa il meglio. Minacciare veti forse non aiuta. Di certo è prematuro.
Ps. Sembrerà strano, ma nei corridoi della Commissione c’è fiducia che il braccio di ferro sul bilancio italiano non si risolva con una rottura. Se ne chiedi il motivo, ti dicono di guardare a Berlino. I tedeschi non hanno detto una parola sulla manovra gialloverde, se non banalità. Merkel, per esempio: “Della legge di bilancio italiana si occuperà la commissione”. La posizione tedesca tradizionale è il rigore. Se parlassero esplicitamente della manovra italiana, il giudizio non potrebbe essere che negativo, molto. Il silenzio di Berlino servirebbe a favorire il dialogo e scongiurare la procedura di infrazione. Aspettiamo e vediamo.
Consigli per l’ascolto: “A Berlino che giorno è”, Garbo