L'Europa, il sovranismo e un antico dilemma

Politica

Massimo Leoni

"Tra sei mesi questa Europa sparirà", dicono all'unisono Salvini e Di Maio. Sembrano convinti che per l'Italia, dopo, sarà più facile. Chissà perché

E' un classico gioco di palazzo. E, in più, esercitarsi sul futuro è pratica sempre opportuna per un politico. E per un paese. Quindi sembra giusto, utile e opportuno che l’Italia abbia due vicepremier che lo fanno. Nelle ultime ore, la pratica è stata particolarmente intensa. Riferita in particolare a quello che potrà succedere in Europa tra sei mesi. Le previsioni di Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono convergenti. Sovrapponibili. Al punto da sembrare il primo obiettivo (o forse solo il più maturo, chissà) di un comune progetto politico piuttosto che la conseguenza di un mero accordo di governo.

Sovrapponibili e convergenti sono non solo le previsioni ma anche le loro conseguenze. Salvini e Di Maio, entrambi e insieme, prevedono che chi ora guida l’Europa sarà tra sei mesi o poco più – dopo le elezioni europee di fine maggio – politicamente scomparso. E che una nuova classe dirigente, profondamente diversa e dalle idee simili a quelle del governo italiano, detterà le scelte della Commissione e del Parlamento europeo. La conseguenza di questa rivoluzione sarà l’accoglimento delle istanze del governo italiano, in particolare sui due argomenti che ci stanno più a cuore: immigrazione e politiche di bilancio.

Come dicevo, la visione dei due è sovrapponibile, coincidente. Questo le dà grande forza, insieme al fatto che gli schieramenti che i due guidano godono del consenso (lo dicono tutti i sondaggi) di circa il 60% dell’elettorato. Però c’è un altro esercizio utile che si può fare: separare la forza dalla ragione. Pure la seconda conviene interrogare, se ci si esercita sul futuro. Interrogata, la ragione dice che è molto probabile che la previsione sulla rivoluzione europea si avveri. Che gli uomini guida dell’Unione saranno molto diversi, insieme alle idee che ne ispireranno comportamenti e decisioni. Che l’Europa sarà altra cosa. La ragione però non vede come questa nuova Europa possa favorire gli interessi del nostro paese, compresi quelli sposati dal governo gialloverde e da una larga maggioranza di italiani. Cioè come un'Europa che graviti intorno al pensiero di Orban e del gruppo di Visegrad possa realizzare quella solidarietà e quella condivisione di responsabilità più volte e giustamente invocata dall’Italia in materia di immigrazione. Come quella minoranza che ha usato finora il suo potere di veto – con tutta evidenza contro gli interessi italiani – possa, una volta diventata maggioranza in Commissione e in Parlamento, imprimere una svolta favorevole al nostro paese e alle posizioni del suo attuale governo.

Ancora meno ragionevole sembra pensare che la nuova Europa sia favorevole a maggiori deviazioni dei paesi membri dalle regole di bilancio. Il gruppo di Visegrad, il blocco del Nord Europa. Ma anche una Francia rappresentata sempre di più dal Front National o la Germania dell’estrema destra di Afd: non si trova una sola dichiarazione di queste forze politiche che sia favorevole a una flessibilità di bilancio maggiore, seppur con l’obiettivo di creare una maggiore convergenza dei tassi di sviluppo in area euro. Mentre si trovano facilmente dichiarazioni di scarsa affezione, se non di avversione dichiarata, alla moneta unica. Se non c’è l’euro, certo: ognuno può fare quel che vuole. Non c’è interdipendenza, non c’è destino comune. A meno che non sia deciso caso per caso, non in base ad una comune appartenenza. In altre parole: sovranismo, moneta unica e politiche economiche divergenti non possono stare insieme. Come in quel vecchio problema di logica, dove bisognava portare dall’altra parte del fiume lupo, capra e cavoli. La ragione dice che sulla stessa barca non possono stare. Nell’esercitarsi sul futuro, sarebbe utile tenerne conto.

Consigli per l’ascolto: “Revolution”, The Cult

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