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Referendum autonomia Veneto, le ragioni del No (e dell'astensione)

Politica

Valeria Valeriano

Il 22 ottobre i veneti votano sull’avvio di trattative tra la Regione e lo Stato per avere maggiori competenze. Tutte le forze politiche presenti nel Consiglio regionale sono per il Sì. Ma delle voci fuori dal coro ci sono: ecco i motivi di chi è contro la consultazione

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Domenica 22 ottobre i cittadini veneti, insieme ai vicini della Lombardia, sono chiamati alle urne per il referendum regionale consultivo sull’autonomia. Gli elettori devono esprimere un parere: se desiderano o no che la propria Regione avvii l’iter istituzionale per richiedere allo Stato una maggiore autonomia. Un tema, quello dell’autonomia, talmente connaturato al Veneto che si è assistito a una quasi totale convergenza intorno al Sì. Non ci sono dei veri e propri comitati che chiedano di votare No: chi è contro la consultazione invita gli elettori ad astenersi. Il dibattito, infatti, non è tanto sul merito (tutti concordano sulla necessità di chiedere maggiore autonomia) quanto sull’opportunità di svolgere il referendum.

Le ragioni di chi è contro il referendum

La motivazione principale sostenuta del fronte degli astensionisti è che questo referendum sia inutile e sia uno spreco di risorse pubbliche. Per chiedere maggiore autonomia, infatti, non è necessaria una consultazione popolare. L’articolo 116 della Costituzione, che stabilisce che le Regioni a statuto ordinario possano chiedere “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” su alcune materie, non ne parla. Dice che l’autonomia può essere attribuita “con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali”. Tale legge, dopo l’intesa fra Roma e la Regione, deve essere approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti. Perché, chiedono i contrari, è stato indetto un referendum che costa alla Regione 14 milioni di euro? Perché, continuano, non è stata intavolata direttamente una trattativa con Roma (come ha fatto l’Emilia-Romagna)? La risposta dei promotori della consultazione è che il referendum, e una maggioranza di Sì, può dare più forza contrattuale durante i negoziati con il governo per ottenere nuove competenze. A livello politico, quindi, non sarà importante la vittoria del Sì (che appare scontata) ma l’affluenza. “La trattativa con Roma avrà una forza esattamente proporzionale all'affluenza alle urne”, ha detto il presidente del Veneto Luca Zaia.

La posizione dei partiti

A spingere per la consultazione è stato soprattutto il governatore, appoggiato dalla Lega Nord. Ma in Veneto tutte le forze politiche presenti nel Consiglio regionale sono per il Sì. “Non è il referendum di Zaia, della Lega, del Pd, di Fi o del M5S. È il referendum dei veneti”, ha detto Zaia. A favore della consultazione, quindi, in Veneto ci sono il Carroccio, Forza Italia, Udc, Movimento 5 Stelle. Per il Sì, a livello locale, anche Fratelli d’Italia. Sul piano nazionale, invece, la leader Giorgia Meloni è stata critica: ha lasciato libertà di voto, ma ha definito i referendum in Lombardia e Veneto dannosi per l’unità del Paese. Sempre a livello nazionale, è sfaccettata la posizione del centrosinistra: il leader di Campo progressista, Giuliano Pisapia, ha detto che voterà No in Lombardia; negativi anche i commenti di Articolo 1-Mdp, che a livello locale opta per l’astensione. C’è, poi, il Pd. La linea ufficiale è che si tratti di un referendum inutile e che si poteva aprire la trattativa col governo senza sprecare risorse pubbliche. Nel Pd regionale, alla fine, ha prevalso il Sì “critico”. Non senza scontri: il sottosegretario Gianclaudio Bressa ha sempre rimarcato il suo No, la deputata trevigiana Simonetta Rubinato sostiene un comitato del Sì, Alessandra Moretti fa parte dell'area astensionista nel gruppo in Regione, una quarantina di sindaci ha lanciato un appello a favore. Hanno cercato di portare avanti la linea del No il deputato Alessandro Naccarato e il consigliere regionale Graziano Azzalin, che hanno parlato di un “referendum farsa, una costosissima messa in scena”. Alla fine, però, nel Partito democratico ha vinto la corrente del Sì.

Gli imprenditori

Il referendum ha diviso gli imprenditori della regione. Anche in questo caso, chi dice No è più per l’astensione che contro una maggiore autonomia. “Andare a votare? Assolutamente no. Autonomia di cosa? Mi sembra una stupidaggine”, ha detto Luciano Benetton. Sulla stessa scia Matteo Marzotto: “Ragionare in modo localistico e di campanilismo non ci porta da nessuna parte. Da cittadino mi pare che il quesito sia troppo generico, non spiega nel merito di che tipo di autonomia si tratta, quali funzioni si vogliono ottenere e con quali risorse. Genera confusione e può incentivare posizioni più estreme, facilitando logiche di divisione”. Non andrà a votare nemmeno Massimo Carraro della Morellato: “Mi sembra inutile”. Si sono schierati per una maggiore autonomia, invece, Confindustria Veneto, Confcommercio, Confartigianato, Cgia. Appoggiano il referendum anche Arrigo Cipriani, re dell’Harry’s Bar; Riccardo Donadon, presidente di H-Farm; Bruno Vianello, della Texa. Più scettico Fabio Franceschi, di Grafica Veneta: “Il referendum non è una cattiva idea, anche se non è chiudendosi in un piccolo feudo che si risolvono i problemi di corruzione ed evasione che caratterizzano il nostro Paese”.

I comitati

A favore del referendum in Veneto sono nati una ventina di comitati. I comitati del No sono pochi e, come detto, sono più per l’astensione. Tra questi c’è il “Comitato Riscossa Civica Veneta contro il Referendum Farlocco”. Tra i fondatori c'è Enzo De Biasi, 67 anni, dirigente in pensione. Ad alcuni giornali ha raccontato: “Certo che io sono favorevole all'autonomia del Veneto, ma questo referendum non ha senso. I veneti vogliono più risorse e per questo non serve un referendum. Ciò che il Veneto potrà ottenere con il voto non è niente di più e niente di meno di ciò che avrebbe potuto ottenere trattando con il governo. Per quale motivo, se posso avere una cosa gratis, devo pagarla?”. E anche se ha ammesso “sì, su alcune materie serve più autonomia”, De Biasi ha detto che non andrà a votare: “È un referendum farlocco, inutile e costoso”. Altro comitato che si è mobilitato e ha fatto campagna contro il referendum è “Veneti per l’astensione”. A costituirlo è stato un gruppo di cittadini under 30 di tutte le province venete. Sono contrari alla consultazione, hanno spiegato questi elettori, perché la giudicano “una scelta strumentale di una classe politica che cerca solo il consenso senza affrontare i veri problemi della regione”. È una “consultazione-truffa”, si legge nell’appello lanciato sul loro sito. “Questo referendum consultivo – scrivono – non cambierà assolutamente niente per i veneti. Fatta eccezione per i 14 milioni di euro buttati dalla finestra. Una grande distrazione di massa, a spese di noi contribuenti. Cambierà invece qualcosa per chi ci governa, che ancora una volta potrà fare a meno di rispondere dei propri fallimenti”. Anche questo comitato non è contrario all’autonomia: “Non siamo contro, ma ne pretendiamo una reale, che vada a vantaggio delle comunità locali e non dei politici. Questo è un plebiscito che servirà solo ad alimentare il potere di chi ci comanda, non conta la percentuale di Sì o di No ma solo l’affluenza”. È per questo che invitano a scegliere “un’astensione attiva, democratica e popolare”.

Le informazioni sul voto

I cittadini veneti che sceglieranno di andare a votare troveranno sulla scheda elettorale questo quesito: “Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”. Urne aperte domenica 22 ottobre dalle ore 7 alle 23. Gli scrutini iniziano subito dopo la chiusura dei seggi. Possono votare i cittadini iscritti nelle liste elettorali dei comuni veneti (non è previsto il voto a distanza o dall’estero). Affinché il referendum abbia esito positivo, nella regione deve essere superato il quorum: la proposta è approvata se partecipa alla votazione la maggioranza (il 50% più uno) degli aventi diritto e se il Sì ha la maggioranza dei voti espressi. In discussione non c’è l’indipendenza, né diventare una Regione a statuto speciale: il Veneto aspira al trasferimento di maggiori competenze dallo Stato alla Regione attraverso il cosiddetto “regionalismo differenziato”. In questo modo, potrebbe anche mantenere sul proprio territorio una parte più sostanziosa di risorse anziché doverle girare a Roma. Ma la voglia di maggiore autonomia non è solo una questione economica, dicono i promotori del referendum: c’è di mezzo anche un fattore identitario e storico. Se dovesse vincere il Sì e il quorum essere raggiunto, il Veneto non diventerebbe in automatico più autonomo. Anzi, nell’immediato non cambierebbe nulla. I vertici della Regione, però, avrebbero la legittimazione popolare per avviare le trattative con Roma. Il referendum è nel totale rispetto della nostra Costituzione (a differenza della Catalogna). In provincia di Belluno, in aggiunta al referendum regionale, si tiene anche un referendum consultivo per una maggiore autonomia provinciale.