Dalle "bonasse" al "punto G": quando la politica è maschilista

Politica

Il gesto sessista del senatore Barani è solo l'ultimo di una lunga serie. Nel saggio “Stai zitta e va’ in cucina” Filippo Maria Battaglia racconta una storia del maschilismo dal dopoguerra a oggi, partendo dal machismo del Pci e arrivando fino alle uscite pubbliche di Bossi, Berlusconi e Grillo. UN ESTRATTO

Palazzo Madama, febbraio 1952. È «un pomeriggio qualunque d’una qualunque settimana» invernale. La seduta procede sonnolenta tra mozioni e ordini del giorno vari quando, da una delle porte da cui si accede all’Aula, entra «zitta zitta, quasi in punta di piedi», una ragazza sui trent’anni. Vestito scuro, «nera di capelli», «gli occhi fissi a terra». È la prima stenografa del Senato.
Fino a quel momento, i senatori hanno avuto solo quattro colleghe, non sono abituati ad altre presenze femminili. E si vede. In quel giorno, racconta il «Corriere della sera», accadono le «cose più notevoli e memorande». Sin da subito scatta la gara ad accaparrarsi un posto in prima fila per godersi lo spettacolo. «I banchi dei sottosegretari si trovano in vantaggio»: una manciata di minuti e sono al gran completo. C’è chi decide allora di occupare uno scranno non suo. E chi, pur di non staccare gli occhi dalla postazione, «cade rovinosamente in terra» prima di essere assistito da un commesso. Stupore e frenesia crescono quando si scopre che «le care figliuole» in realtà sono due e si alternano. A quel punto i parlamentari si fanno «ringalluzziti», il «chiacchiericcio rumoroso», s’ignorano prassi e regolamento, è tutto un bisbigliare sulle mani «bianche e lievi» che pigiano quei tasti, fino a quando la seduta, finalmente, si conclude.

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Le miss comuniste - Nel 1951 il settimanale «Vie nuove», fondato nel dopoguerra proprio dal futuro segretario comunista, Luigi Longo, indice un concorso per eleggere una «miss». Le militanti protestano, volano accuse di maschilismo. Ma la direzione replica: «Perché il popolo non dovrebbe valorizzare le sue nascoste bellezze?». Poi, in un lungo articolo, indugia sul rigido piglio col quale la giuria comunista, composta in gran parte di maschi stretti «a cerchio intorno alle contendenti», analizza con occhiuta insistenza le grazie delle candidate. Riuscendo solo dopo «molte insistenze» e una «lunga trattativa», «a far loro alzare un piccolo lembo di gonna, fino al ginocchio». Suscita reazioni più esplicite il manifesto che qualche
anno dopo, nel 1962, la Democrazia cristiana decide di stampare per festeggiare il proprio compleanno, con l’obiettivo di rinfrescare l’immagine del partito appannata dai primi scandali. Ritrae una giovane bionda acqua e sapone, con un mazzo di fiori in mano. Sotto, lo slogan: «La Dc ha 20 anni». L’effetto è disastroso. La scritta che più usualmente commenta il manifesto, ricorderà anni dopo Umberto Eco, «diceva “dunque è ora di fotterla”».

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«Bonasse» e «culone»: arriva la Seconda Repubblica - «Cara Boniver, bonassa nostra, noi siamo sempre armati, ma di manico». È una giornata di fine settembre
del ’93. Dal palco di Curno, nel Bergamasco, Umberto Bossi arringa diverse migliaia di militanti. E, rivolgendosi alla socialista Margherita Boniver, lancia un monito destinato a restare nelle cronache. Sembra solo una frase estemporanea. Eppure fotografa qualcosa di più duraturo, cristallizzando in una manciata di parole il mito machista della Lega. E non solo di quella. Col crollo della Prima Repubblica il binomio donna-sesso in politica è destinato radicalmente a cambiare. Saltando ogni mediazione e perifrasi e arrivando all’elettore senza filtri.

Il primo esempio, il più dirompente, è offerto dai lumbàrd. «La Lega ce l’ha durooo! Durooo! Anzi, ce l’ha duro nell’anima», urla a più riprese negli anni novanta Bossi, prima di rivolgersi allarmato alle elettrici: «Non vorrei che adesso si iscrivessero tutte le signore italiane». Ma se il Senatùr anticipa, è Silvio Berlusconi a mischiare sistematicamente il privato col pubblico e a trasformare la donna innanzitutto in un obiettivo sessuale. Dalla galanteria più ardita fino al machismo più triviale, qui l’aneddotica è davvero sterminata.

«Be’? Ma l’hai toccata? Hai visto che gnocca che ti è venuta addosso? Le hai messo almeno le mani sul culo?», chiede a Paolo Guzzanti durante una convention di Forza Italia mentre il pubblico canta Toccami Silvio che mamma non c’è.
Qualche mese prima (siamo nell’aprile 2000), presenta un ginecologo parlandone come di «un uomo che ha sempre le mani in pasta». Il Cavaliere non si tira indietro neppure in occasioni ufficiali. È il 2009 quando, davanti alle rovine di una chiesa crollata dopo il sisma in Abruzzo, incontra l’assessore trentino Lia Beltrami e agli uomini della Protezione civile dice scherzando: «Posso palpare un po’ la signora?». Passa qualche settimana e, in visita all’Aquila, saluta alcuni operai: «Che fate lì sopra? E le donne? Siete tutti gay? La prossima volta ve le porto io, le veline». Grasse risate, poi il chiarimento: «Ma non minorenni».
L’allusione è all’affaire nato dalla partecipazione del premier alla festa di compleanno della diciottenne Noemi Letizia. Infuriano le polemiche, Berlusconi diventa “Papi”, sui quotidiani si affastellano ricostruzioni spesso in contraddizione sulla vicenda. Ma lui non arretra: «Non cambio, gli italiani mi vogliono così». E infatti non cambia.

 

Berlusconi, Berisha, Merkel - Scherza quando vede il premier albanese Sali Berisha («Sbarchi? Faremo un’eccezione a chi porta belle ragazze») e quando va in visita di Stato in Bulgaria. A una donna che si avvicina chiedendogli una foto, sussurra all’orecchio: «Sei una fata... peccato soltanto una foto». Ma le visite e gli incontri del premier oltreconfine destinati a restare alle cronache per queste ragioni sono infinite: «Ho dovuto riesumare le mie doti di playboy e fare la corte alla presidente finlandese Tarija Halonen per portare da Helsinki a Parma l’agenzia alimentare europea», racconta di ritorno da un summit internazionale. E, dopo le proteste dell’ambasciata, mostrando una foto, dice: «Ma vi pare che io mi metta a fare la corte a una così?».
L’incidente diplomatico, però, si rischia davvero con Berlino. Il 9 settembre 2011 la «Stampa» riporta l’indiscrezione secondo cui ci sarebbe un’intercettazione del premier nel quale «dice volgarità» su Angela Merkel.
Dopo qualche ora i quotidiani ne riportano il contenuto. «Culona inchiavabile» fa il giro di tv e siti internazionali, viene smentita dal diretto interessato, ma è più volte rilanciata in modo provocatorio dal quotidiano di famiglia del premier, «Il Giornale».

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Le deputate? «Più che da Camera, da camera da letto» - Berlusconi è il prim’attore, d’accordo. Ma la compagnia di giro, sul palco della Seconda Repubblica, è piuttosto estesa. Garantendo svariati e a volte inattesi registri. Quello triviale è il più utilizzato, sin dagli esordi della nouvelle vague berlusconiana. «Lo sapete perché il Ppi rimane così piccolo? Perché ce l’ha in mano Rosy Bindi», tuona nel ’94 il deputato Francesco Storace durante il primo governo di centrodestra.

©Bollati Boringhieri editore 2015

 

Tratto da Filippo Maria Battaglia, Stai zitta e va’ in cucina. Breve storia del maschilismo in politica da Togliatti a Grillo, Bollati Boringhieri, pp. 116, euro 10
 

Filippo Maria Battaglia (Palermo, 1984), giornalista di «Sky TG24», vive a Milano. Ha scritto tra l’altro per le pagine culturali di «Panorama», «Il Foglio», «Il Giornale», e del dorso siciliano di «Repubblica». Con Bollati Boringhieri ha pubblicato Lei non sa chi ero io! La nascita della Casta in Italia (2014). È inoltre autore di: A sua insaputa. Autobiografia non autorizzata della Seconda Repubblica (con A. Giuffrè, 2013) e I sommersi e i dannati. La scrittura dispersa e dimenticata nel ’900 italiano (2013). Ha curato diverse antologie giornalistiche, tra cui Scusi, lei si sente italiano? (con P. Di Paolo 2010) e Professione reporter. Il giornalismo d’inchiesta nell’Italia del dopoguerra (con B. Benvenuto, 2008).
 

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