Targhe, vie e giardini: quando la memoria è contesa

Politica
Bobo Craxi inaugura "Craxi avenue", la via dedicata al padre ad Hammamet
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La polemica per la proposta del sindaco di Milano di dedicare una via a Craxi è solo l'ultima di una lunga serie. Dalle proteste contro via Lenin alle lapidi che ricordano Pinelli, viaggio nelle città che faticano a fare i conti con il passato

di Filippo Maria Battaglia

“Una vietta a Craxi? Purché corso Buenos Aires diventi corso Dell’Utri. E perché no un largo Mangano?”.La battuta al vetriolo è di Beppe Grillo e sintetizza bene il disagio che ha creato la proposta del sindaco milanese Letizia Moratti di intitolare, a dieci anni dalla morte, una via o un parco al leader socialista degli anni Ottanta.
Una decisione che nel giro di qualche giorno ha creato un’infinità di reazioni: da Francesco Saverio Borrelli, storico capo del pool di Mani Pulite, che ha definito “indecorosa la dedica di chi è morto da latitante” al portavoce del Pdl Daniele Capezzone, che ha parlato di un’iniziativa meritoria nei confronti di un “grande leader scomparso”.
Toni alti, titoli dei giornali e polemiche a go go, dunque. La querelle, però, non è inedita. Da anni, le decisioni che riguardano vie e piazze dedicate ai politici sono destinate alla contesa, quando non alla rissa o al gesto d’effetto.
Accadeva già più di dieci anni fa. Scenario? L'Urbe. Era il novembre del 1998, quando, in via dell’Imbrecciato, Roberto Degli Angioli, candidato di An al XV collegio provinciale, armato di scalpello e accompagnato dal futuro sindaco della città capitolina Alemanno, allora solo deputato, staccava la targa di via Lenin e la sostituiva con un’altra, “via Martiri del Comunismo”, creata ad hoc dal militante di destra. La motivazione? Impensabile intitolare una via a “uno sterminatore della masse popolari e di operai”. Qualche tempo prima, la stessa fine era toccata a Palmiro Togliatti, lo storico leader del Pci, rimosso a suon di scalpello da un altro deputato di destra, Teodoro Buontempo.
Iniziative prese quasi sempre in prossimità di tornate elettorali, che hanno riguardato però anche politici di estrazione diversa. Nel 1995, Francesco Rutelli, da poco eletto sindaco di Roma nelle fila dei progressisti, aveva pensato di lanciare un “messaggio di riconciliazione”, dedicando una via al fascista Giuseppe Bottai, tra più influenti gerarchi del regime, assai sensibile alla cultura e alle sue muse. Ne era nata una piccola tempesta politica, che aveva finito con il travolgere la delibera della giunta. Poi è stata la volta Gianni Alemanno, nel frattempo eletto primo cittadino sconfiggendo proprio Rutelli, che a lungo ha vagheggiato una via Giorgio Almirante, repubblichino, per molti decenni leader del Movimento sociale italiano.
Le targhe contese non sono però solo una questione romana. A Milano, le cose non vanno diversamente: qualche anno fa, l’allora assessore alla cultura Vittorio Sgarbi aveva presentato in consiglio comunale due libere pressoché identiche. Il critico d’arte proponeva di intitolare due vie alla giornalista e scrittrice Camilla Cederna e al fratello Antonio, fondatore di Italia Nostra. I consiglieri bocciarono la prima e approvarono la seconda. Secco il commento del promotore: “insistere sulla sorella avrebbe determinato un conflitto ideologico inutile e improduttivo. E poi Antonio ha fatto di più”.
Clima più conciliante a Galtellì, un paese più di poco più di duemila abitanti nel nuorese che qualche anno fa con voto unanime ha cancellato ogni riferimento a casa Savoia sostituendo Vittorio Emanuele con la Beata Vergine Assunta e Umberto I con Karol Woytila. Insomma, l'inciucio stradale è sempre dietro l'amgolo, come scrive Massimo Gramellini su La Stampa.
Questa, però, è quasi un’eccezione: in fatto di targhe, gli italiani sono più divisi di quanto sembri, e da molto tempo. Una conferma? Fate due passi a Piazza Fontana, a Milano. A quarant’anni dalla sua morte, il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli ha ancora due targhe che lo commemorano. La prima, firmata da “gli studenti e i democratici milanesi” recita: “ucciso innocente nei locali della questura di Milano”; la seconda, scolpita dal Comune, anziché “ucciso” reca impressa la parola “morto”. È solo un participio passato, è vero. Eppure, dietro a quella parola, si cela molto di più di una semplice preferenza verbale.


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