Personal trainer lo ricorda nel libro di Enzo Beretta
"Diego? Un fenomeno. Maradona? Insopportabile. Essere Maradona però era molto difficile. Una cosa è certa: se non fosse passato per Napoli il mito non sarebbe mai stato consegnato all'eternità, Napoli è stata in assoluto la cosa più meravigliosa capitata nella vita di Diego Armando Maradona, era la sua città, sembrava fatto su misura per vivere lì": così Fernando Signorini, lo storico allenatore di Diego Armando Maradona, intervistato da Enzo Beretta nel libro Il Re degli ultimi (Ultra Sport) sui sette anni "meravigliosi e folli" del campione argentino in Italia. "Sono stati gli anni più felici della vita di Diego che all'inizio doveva adattarsi a tutto, perfino alla lingua perché a Napoli si impara il napoletano prima dell'italiano" spiega il personal trainer. "Seppur senza successi - ha spiegato Signorini - il primo anno è stato il migliore, era sempre marcato dagli avversari e i compagni non gli passavano il pallone, un giorno esclamò: 'Anche se sono marcato voi datemi comunque la palla, poi me la sbrigo io'. Da lì in poi la squadra iniziò a girare in un altro modo". Nell'intervista Signorini racconta le difficoltà di Diego a muoversi in città: "era impossibile fare qualunque cosa, cercavamo sempre posti isolati per evitare la gente, non era semplice neppure uscire di casa, ogni volta che la gente lo vedeva per strada si scatenava il trambusto, i clacson, i motorini". Signorini racconta di quando Maradona era andato in ospedale per un controllo del sangue e gliene prelevarono più del dovuto. "Gli infermieri - dice - avevano portato il sangue di Diego in chiesa vicino a quello di San Gennaro. Troppo esagerato, come poteva vivere così?". Il calciatore aveva sempre addosso l'attenzione della gente, dei giornali, della tv - ricorda ancora Signorini - perciò "lavoravo sull'aspetto mentale per infondergli pace e calma, per potenziare i muscoli gli facevo fare molta boxe nella palestra artigianale del garage in via Capece e lo stereo sparava a volume altissimo la musica di Rocky mentre lui sferrava colpi al sacco". Il gesto tecnico più strepitoso? "Ancor più della rete contro l'Inghilterra in Messico - per il preparatore del Pibe - è stato il gol su punizione a due in area alla Juve nel 1985. Un pezzo incredibile, aveva sfidato la fisica. Appena si è liberato dall'abbraccio dei compagni gli ho detto: 'Se ti do altri cento palloni non riesci a farlo di nuovo', e Diego se la rideva…". Signorini si sofferma sul volto migliore del campione: «Diego è sempre stato un uomo generoso con un cuore grande. I ragazzi della Curva B lo invitavano nei club di tifosi, nelle scuole, giocava per beneficenza». Ma anche un personaggio sopra le righe: «In autostrada a Rioveggio la polizia stradale gli sequestrò la Ferrari Testarossa nera per eccesso di velocità, andava a oltre 200 all’ora, e lui si rifiutò di montare nell’auto con gli agenti per raggiungere la centrale, la polizia rappresentava il potere. Gli fece di no col dito: 'Neanche per sogno, io non salgo in macchina con voi, piuttosto vado col camion'. E infatti salimmo nella cabina del carro attrezzi». Di Napoli, però, a parte il tragitto dalla casa allo stadio, Diego ha conosciuto: «Per la vita sociale la città è stata una gabbia, non poteva uscire liberamente per la pressione della gente ma Napoli è stata la cosa più meravigliosa che gli sia capitata, era la città per Diego e lui era fatto per quella città. Senza Napoli non sarebbe diventato il mito che è diventato; alla Juve, al Milan o all’Inter forse avrebbe vinto qualche scudetto in più ma il mito di Maradona non sarebbe mai stato consegnato all’eternità».