Individuato in provincia di Perugia, era su posizioni "radicali"
(ANSA) - PERUGIA, 22 APR - L'Ufficio immigrazione della questura di Perugia ha espulso, con un provvedimento amministrativo del ministro dell'Interno per motivi di prevenzione del terrorismo, un tunisino regolarmente residente nella provincia.
L'indagine è stata condotta dalla Sezione antiterrorismo della digos e dal Compartimento di polizia postale per l'Umbria, coordinate dalla Procura della Repubblica e dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione - Servizio per il contrasto dell'estremismo e del terrorismo esterno.
Dagli accertamenti è emerso che il tunisino era attestato su posizioni religiose radicali ed estremamente attivo sul web, in particolare su Facebook. Gli investigatori riferiscono che ha quindi condiviso e diffuso numerosi post, sia pubblici sia privati, con immagini di esaltazione del martirio e contenuti di propaganda dei princìpi dell'autoproclamato "Stato islamico", nonché messaggi giustificativi degli attentati rivendicati dalla stessa organizzazione terroristica recanti frasi e immagini di propaganda di altre milizie jihadiste, pubblicazione di nasheed jihadisti e commenti su profili, nonché apposizione di 'like' a video e testi che esaltano formazioni terroristiche islamiche.
In particolare, le attività svolte hanno consentito di documentare - è detto in una nota della Questura - "inequivocabili" manifestazioni di adesione al sedicente "Stato islamico" quali, ad esempio, il "giuramento di fedeltà lealtà ed ubbidienza ad Abu Bakr Al-Baghdadi" e l'uso costante dello slogan "persistente e in espansione", diffuso tra i sostenitori di Daesh (sigla di Al dawla al islamiya fi al Iraq wal Sham - Stato islamico dell'Iraq e del Levante), che allude alla forza espansionistica dell'organizzazione terroristica capace di superare i confini territoriali di origine. Dall'indagine è anche emerso che lo straniero era un "assiduo frequentatore" del luogo di culto islamico di Ponte Felcino, a Perugia, noto per l’arresto, avvenuto nel 2007, dell’allora imam Korchi El Mostapha e di altri due marocchini, condannati con sentenza passata in giudicato, per la prima volta in Italia, per il reato di “addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale”.
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