Mafia a Palermo, spartizione delle ambulanze private e gli incontri coi boss: l’indagine

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Un’inchiesta dei carabinieri, coordinata dalla procura distrettuale antimafia, ha svelato un business attorno alle ambulanze con spartizione precisa. Un capomafia sistemava i turni delle onlus che gestiscono le vetture fra gli ospedali Civico e Policlinico e incontrava alcuni imprenditori del settore

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C’è un grande business attorno alle ambulanze private e una spartizione ben precisa, svelata nelle scorse settimane da una inchiesta dei carabinieri del nucleo Investigativo e della compagnia di Misilmeri, coordinata dalla procura distrettuale antimafia di Palermo. Michele Sciarabba, ritenuto un capomafia, si dava un gran da fare per sistemare i turni delle onlus che gestiscono le ambulanze private fra gli ospedali Civico e Policlinico: voleva che lavorassero solo le agenzie a lui vicine. Con questo obiettivo, due anni fa, sarebbe andato nella sede della Facility Service di via Antonio Marinuzzi per ribadire le sue regole ad alcuni imprenditori del settore, considerato che negli ultimi tempi qualche ditta aveva provato ad allargarsi. La notizia è riportata dall’edizione palermitana de la Repubblica.

Le intercettazioni

Nel febbraio scorso, al boss Sciarabba si rivolse Vito Vinciguerra, titolare di un’impresa funebre a Palermo, gli diceva: “L’altro giorno è venuto un ragazzo, dice sono il genero di Giuseppe Geraci, dice che vuole… dentro al Policlinico”. Parlava di una nuova società, la “Futuro soccorso”, che farebbe capo – riporta la Repubblica citando i carabinieri a commento dell’intercettazione – “a personaggi che ricadono nella sfera di protezione della famiglia mafiosa di Altarello e più precisamente di Geraci Giuseppe, personaggio storico di quella famiglia mafiosa”. Vito Vinciguerra si lamentava: “Io lo conosco Geraci, dice che conosce pure te… mio figlio era pure con me… “. Quella persona gli diceva: “No perché il servizio di ambulanze è di un cugino mio, io ti sto venendo a dire che è giusto che ci dobbiamo buscare il pane”. Vinciguerra commentava così: “Ma ci dobbiamo buscare il pane dove mi busco il pane io che sono 30 anni che ci butto il sangue, no perché, di qua di là, ho detto va, lui era un poco aggressivo e io sono stato un poco più aggressivo”. Al Policlinico ormai da tempo sono state allontanate le ambulanze private davanti ai reparti, ma il controllo del mercato delle ambulanze private resta ancora ferreo.

La posizione di un imprenditore

In quell’occasione è emersa la figura Alessandro Nicolosi, rappresentante legale dell’associazione di volontariato che porta lo stesso nome e indirizzo della Facility Service, dove non ricopre invece alcun ruolo. Anche lui, riporta il quotidiano, aveva toni molto risoluti: “La Croce sana non deve entrare al Policlinico”, tagliò corto nel corso di un incontro. Con Sciarabba e Nicolosi c’era anche Salvo Giannone, socio di Nicolosi nell’agenzia di pompe funebri L’onoranza. Si discuteva di turni per lavorare negli ospedali e di nuove compagini societarie. Nicolosi si vantava: “Giriamo tutti i paesi, perché li abbiamo tutti noi fino a Reggio Calabria li abbiamo tutti, forse non ci siamo capiti”.

Gli incontri con i boss

I carabinieri erano già arrivati a via Marinuzzi seguendo il boss Settimo Mineo, il capo della ricostituita Cupola di Cosa nostra. Il 17 maggio 2018 l’anziano capomafia arrivò nell’autorimessa della Facility service e si fermò a parlare per ben mezz’ora con il boss di Santa Maria di Gesù Ignazio Traina. All’incontro c’erano anche Massimo Mancino, un altro affiliato di Santa Maria, e Alessandro Nicolosi. Il 29 marzo precedente, Nicolosi era andato a prendere Mineo nella sua gioielleria di corso Tukory con una Fiat Panda intestata alla Facility service cooperativa onlus. I carabinieri seguirono l’auto fino in via Roma, all’altezza dell’hotel Cristal, in quel tratto di strada Mineo incontrò il giovane boss Salvatore Sorrentino. Il 22 febbraio 2016, un altro appuntamento: Mineo arrivò in Mercedes con il suo autista, Matteo Maniscalco, in via D’Ondes Reggio, traversa di via Marinuzzi per incontrare Nicolosi.

I legami di parentela

Il quotidiano riporta che Alessandro Nicolosi è anche cugino della moglie di Filippo Graviano, Francesca Buttitta. Nel 2010 fu intercettato dai finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria mentre l’imprenditore Angelo Lo Giudice, ras dei distributori di benzina nella parte orientale della città, gli parlava della “picciridda” (probabilmente Nunzia Graviano, la sorella dei boss di Brancaccio) e di soldi da dare alla famiglia: “Perché la vecchia (probabilmente la madre dei boss) dice… alle femmine (ovvero le mogli di Filippo e Giuseppe Graviano) non gli dai niente... e ma a me non mi interessa, io non voglio rischiare per mille euro”. All’epoca, Nicolosi gestiva un impianto di carburante in corso Calatafimi. E Lo Giudice continuava a fargli confidenze sui soldi che avrebbe dato alla famiglia Graviano: “Io porto tutto alla signora”. Ovvero, alla madre dei boss, Vincenza Quartararo. Da un’indagine dei finanzieri emerse che la moglie del boss Filippo Graviano era stata, almeno sulla carta, dipendente del cugino Nicolosi, percependo nel 2009 redditi da lavoro dipendente per 10.600 euro, nell’ambito di una ditta che si occupava di commercio al dettaglio di carburante.

Le dichiarazioni di un pentito

“Quello delle ambulanze è un settore ha sempre molto interessato i mafiosi” ha detto uno degli ultimi collaboratori di giustizia, Filippo Bisconti, l’ex capo del mandamento di Belmonte Mezzagno. “Sentivo Scimò di Brancaccio che voleva entrare a tutti i costi in tutti gli ospedali… e si lamentava che quelli di Bagheria venivano a Palermo per gestire l’affare dei dializzati attraverso una onlus”. A Bagheria era la famiglia Lo Iacono a gestire una ben avviata onlus fondata su un grande parco ambulanze.

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