Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, truffa all'Ue, falso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori
Si è concluso con la condanna complessivamente a sei secoli di carcere il processo alla mafia dei Nebrodi celebrato davanti al tribunale di Patti, in provincia di Messina. Pene durissime, dopo sette giorni di camera di consiglio, per un dibattimento con 101 imputati, celebrato in tempi record e che ha visto impegnati quattro pm della Dda di Messina. Il processo nasce dall'operazione denominata "Nebrodi" che, oltre a ricostruire l'organigramma dei clan messinesi, ha scoperto una truffa milionaria, commessa dalle cosche, ai danni dell'Ue.
La vicenda
Gli imputati erano accusati a vario titolo di associazione mafiosa, truffa all'Ue, falso, estorsione, trasferimento fraudolento di valori. A istruire l'atto d'accusa alle "famiglie" mafiose dei Nebrodi dei Batanesi e dei Bontempo Scavo è stata la Dda di Messina che in 20 mesi ha ricostruito davanti al tribunale di Patti gli organigrammi dei clan svelando complicità di prestanomi e insospettabili professionisti. La "mafia dei pascoli" non c'è più, hanno sostenuto i pm. Al suo posto c'è una organizzazione imprenditoriale al passo coi tempi e capace di sfruttare le potenzialità offerte dall'Unione Europea all'agricoltura. Prevalentemente su base familiare, in rapporti con Cosa nostra palermitana e catanese, la mafia dei Nebrodi ha continuato a usare vecchi metodi come la minaccia e la violenza, ma i taglieggiamenti spesso erano finalizzati all'accaparramento di terreni, la cui disponibilità è presupposto per accedere ai contributi comunitari; "settore, questo, - scrisse il gip che firmò oltre 90 misure cautelari e il sequestro di 151 imprese - che costituiva il principale, moderno, ambito criminale di operatività delle famiglie mafiose".
Gli accertamenti
Gli inquirenti hanno anche accertato che il denaro illecito transitava spesso su conti esteri per, poi, "rientrare in Italia, attraverso complesse e vorticose movimentazioni economiche, finalizzate a farne perdere le tracce". I clan grazie all'aiuto di professionisti puntavano all'accaparramento di utili, infiltrandosi in settori strategici dell'economia legale e - spiegò il gip - "depredandolo di ingentissime risorse". Sotto processo oggi c'erano i i capi dei clan dei Batanesi e dei Bontempo Scavo. A fiutare l'affare milionario sono stati loro che, anche grazie all'aiuto di un notaio e di funzionari dei Centri Commerciali Agricoli (CCA) che istruiscono le pratiche per l'accesso ai contributi europei, hanno incassato fiumi di denaro sbancando le casse dell'Agea. Parti civili nel processo l'assessorato regionale Territorio ambiente, le associazioni Addiopizzo e SOS imprese, il Parco dei Nebrodi, il centro studio Pio Lo Torre, l'Agea, il Comune di Tortorici.
Le indagini
Le indagini iniziate su input inizialmente anche dall'ex procuratore capo di Messina, ora procuratore a Palermo. In aula anche molti degli avvocati dei 101 imputati che invece erano collegati in videoconferenza. In aula anche Giuseppe Antoci presidente della Fondazione Caponnetto ed ex presidente del Parco dei Nebrodi che ha denunciato il rischio che le mani dei clan arrivassero ai fondi europei.
Confiscate anche 17 aziende
Inotre, è stata decisa anche la confisca di 17 ditte individuali e società agricole, la confisca di buona parte dei milioni di euro sequestrati nel 2020. Dovranno poi essere risarciti gli imprenditori agricoli che hanno denunciato l'appropriazione dei terreni da parte dei mafiosi, e le associazioni antiracket Addiopizzo e tutte le altre parti civili costituite. Ieri sono state riconosciute solo due provvisionali per complessivi ottomila euro alle associazioni costituite, per il resto si deciderà in sede civile. Le motivazioni saranno note tra 90 giorni.
Libera: “Sentenza importante”
"Il Processo Nebrodi, in cui Libera, seguita dall'avvocato Enza Rando, si è costituita parte civile, ha confermato per buona parte l'impianto accusatorio, disponendo la confisca di beni per 4 milioni di euro e condannando gli imputati a quasi 600 anni complessivi", si legge in una nota dell'associazione fondata da don Luigi Ciotti. "Va dato merito al lavoro della Procura e del Tribunale – prosegue la nota – che hanno condotto un processo corposo in tempi davvero brevi. Grazie anche a un impianto accusatorio che non si lascia fuorviare dagli stereotipi del passato. Un modello mafioso che cambia, si adatta e lo Stato che puntualmente risponde e non resta indietro. La scelta di Libera di costituirsi parte civile ha mosso le sue ragioni dall'importanza che quanto è accaduto dovesse essere conosciuto, approfondito e raccontato. Il business messo in piedi dai clan dei Nebrodi sulle truffe ai fondi comunitari destinati ai pascoli e all'agricoltura è una ferita profonda per il territorio messinese, ma il processo appena conclusosi dimostra che il contrasto alle mafie è una scelta che riguarda tutte e tutti, non soltanto magistratura e forze dell'ordine, ma anche e soprattutto istituzioni, professionisti oltreché cittadini e cittadine; che ciascuno con i propri mezzi e strumenti può fare la propria parte".
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