Secondo quanto ricostruito, papà e figlio avrebbero avuto un'accesa discussione al culmine della quale il genitore, un poliziotto, avrebbe estratto la pistola d'ordinanza sparando diversi colpi. L'uomo si sarebbe poi seduto su una panchina in attesa di un pullman di linea
Un 24enne, Vincenzo Gabriele Rampello, è stato ucciso con diversi colpi di arma da fuoco a Raffadali, nell'Agrigentino. Poco dopo l'omicidio è stato identificato e bloccato dai carabinieri il presunto assassino: si tratta del padre del giovane ucciso, Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo coordinatore della polizia di Stato in servizio al decimo reparto Mobile di Catania. L'uomo ha poi confessato il delitto davanti al sostituto procuratore di Agrigento, Chiara Bisso.
L'omicidio
Secondo una prima ricostruzione, padre e figlio avrebbero avuto in piazza Progresso, a Raffadali, un'accesa discussione al culmine della quale il poliziotto avrebbe estratto la pistola d'ordinanza sparando 15 colpi, a distanza ravvicinata, contro il 24enne, uccidendolo. Poi, il poliziotto si è allontanato del luogo del delitto andandosi a sedere su una panchina in attesa di un autobus. Qui è stato trovato e bloccato dai carabinieri. Dopo l'omicidio, sul posto sono intervenuti i carabinieri che hanno trovato per terra nove bossoli di una pistola.
I militari della compagnia di Agrigento, guidati dal maggiore Marco La Rovere, hanno ricostruito i continui dissidi familiari, anche di natura economica, fra il padre, che viveva a Catania, e figlio che, dopo la separazione dei genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali.
La confessione
L'uomo è stato interrogato nella stazione dei carabinieri di Raffadali dal sostituto procuratore di Agrigento, Chiara Bisso, che coordina le indagini col procuratore Luigi Patronaggio, assieme al capitano Alberto Giordano, che coordina il Nor della compagnia della Città dei Templi, che lo ha poi arrestato. Il 57enne assistente capo della polizia, assistito dall'avvocato Daniela Posante, ha ammesso d'aver sparato ripetutamente al figlio.
Il racconto del padre
L'uomo ha raccontato che il figlio lo ha insultato pesantemente e poi gli ha intimato di consegnargli dei soldi che spendeva anche per fare acquisti online. "Mi devi dare altri 15 euro...", gli ha urlato. Sarebbe stata questa la causa scatenante dell'omicidio. Gaetano Rampello ha sostenuto che al culmine dell'ennesima aggressione ha estratto la pistola di ordinanza e sparato 15 colpi contro il figlio. L'agente, assistito dal suo legale Daniela Posante, ha reso una piena confessione ai carabinieri del Nor della compagnia di Agrigento. Poco prima di interrogarlo il pubblico ministero Chiara Bisso aveva fatto disporre l'esame dello stub. Rampello ha inquadrato il delitto nel profondo disagio vissuto all'interno della famiglia per le condizioni di salute del ragazzo che aveva delle fragilità psicologiche e che, per tre anni, secondo il racconto del padre, era stato ricoverato in una struttura specializzata. "Gli davo 600 euro al mese - ha detto Gaetano Rampello - ma non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava sempre per i soldi". Questa mattina l'ennesima lite, per strada, dove padre e figlio si erano incontrati in seguito all'ultima richiesta di denaro. "Mi ha telefonato chiedendomi 30 euro - avrebbe detto durante l'interrogatorio - quando glieli ho dati ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli prendendo altri 15 euro, di più non avevo in tasca. A quel punto ho avuto un corto circuito - ha ricostruito il poliziotto - e gli ho sparato non so quanti colpi". Il giovane in passato era stato più volte denunciato per delle aggressioni subite dal padre
Patronaggio: "Malesseri in società e famiglie acuiti da pandemia"
"I recenti episodi di tragica ed inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio- sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività". Lo ha detto il procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, dopo l'omicidio del 24enne di Raffadali. Il riferimento è anche alla strage di Licata del 26 gennaio scorso, quando un uomo ha ucciso il fratello, la cognata e i loro due figli, di 15 e 11 anni, e poi si è suicidato. " Troppo spesso quelli che vengono definiti 'gesti di follia' - ha aggiunto il magistrato che coordina le indagini dei carabinieri - sono il portato di conflitti sociali e familiari che il 'sistema', inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere".
Le parole del sindaco
"La città è sconvolta. Conoscevamo tutti la vittima, aveva una vita sociale un po' turbolenta, ma veniva accettata da tutti i raffadalesi". Così il sindaco del paese dell'Agrigentino, Silvio Cuffaro, parla della vittima. "Il ragazzo aveva avuto un'infanzia difficile per via della separazione dei genitori. Il papà, per lavoro, viveva a Catania. La mamma, invece, a Sciacca. Vincenzo Gabriele, dopo la separazione dei suoi genitori, era rimasto a vivere da solo a Raffadali, ma c'era uno zio che si prendeva cura di lui". A quanto riferisce Cuffaro il giovane "non lavorava e veniva mantenuto dal papà che mensilmente tornava per stare un po' con lui e per dargli il necessario sostentamento economico. Il Comune ha cercato di coinvolgerlo, per dargli anche delle motivazioni, in lavoretti per conto del Municipio, ma non c'è stato verso. Per tanti anni, da piccolo, è stato ricoverato in una comunità per bimbi con disagio sociale".
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