Sentenza d'Appello trattativa Stato-Mafia: assolti Dell'Utri e Mori, condannato Cinà

Sicilia
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Assolti gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno e l'ex senatore Marcello Dell'Utri. Condannati il capomafia Nino Cinà e il boss Leoluca Bagarella

La corte d'assise d'appello di Palermo ha assolto nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia l'ex senatore Marcello Dell'Utri e gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, tutti accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato. Mori, Subranni e De Donno sono stati assolti con la formula perché il "fatto non costituisce reato", mentre Dell'Utri "per non aver commesso il fatto". In primo grado erano stati tutti condannati a pene severissime. 

Confermata la condanna a 12 anni nei confronti del capomafia Nino Cinà. Pena lievemente ridotta invece al boss Leoluca Bagarella: i giudici hanno riqualificato il reato in tentata minaccia a Corpo politico dello Stato, dichiarando le accuse parzialmente prescritte. Ciò ha comportato una riduzione della pena da 28 a 27 anni. Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca.

Nel corso del processo d'appello, cominciato il 29 aprile del 2019, è uscito di scena, per la prescrizione dei reati, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, che rispondeva di calunnia aggravata all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e concorso in associazione mafiosa. 

La sentenza di primo grado

I sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera avevano chiesto la conferma della sentenza di primo grado, ribaltata invece oggi dalla Corte. Al termine del primo dibattimento, nell'aprile 2018, la Corte d'Assise aveva inflitto 28 anni a Bagarella, 12 a Dell'Utri, Mori, Subranni e Cinà e 8 a De Donno e Ciancimino. Vennero poi dichiarate prescritte le accuse rivolte al pentito Giovanni Brusca. Sotto processo, ma per il reato di falsa testimonianza, era finito anche l'ex ministro dell'interno Nicola Mancino che venne assolto. La Procura non presentò appello e quindi l'assoluzione diventò definitiva.

La requisitoria dei pm

"Uomini delle istituzioni, apparati istituzionali deviati dello Stato, hanno intavolato una illecita e illegittima interlocuzione con esponenti di vertice di Cosa nostra per interrompere la strategia stragista. La celebrazione del presente giudizio ha ulteriormente comprovato l'esistenza di una verità inconfessabile, di una verità che è dentro lo Stato, della trattativa Stato-mafia che, tuttavia, non scrimina mandanti ed esecutori istituzionali perché o si sta contro la mafia o si è complici. Non ci sono alternative", ha detto l'accusa durante la requisitoria del processo d'appello. Secondo i pm, il dialogo che gli ufficiali del Ros, tramite i Ciancimino e godendo di coperture istituzionali, avviarono con Cosa nostra per interrompere la stagione degli attentati, avrebbe rafforzato i clan spingendoli a ulteriori azioni violente contro lo Stato. Per l'accusa il ruolo di Mori e i suoi, dopo il '93, sarebbe stato assunto da Dell'Utri che nella sentenza di primo grado venne definito "cinghia di trasmissione" tra i clan e gli interlocutori istituzionali. 

Il pg Fici: "Aspettiamo le motivazioni del verdetto"

"Aspettiamo le motivazioni e leggeremo il dispositivo". Così, laconicamente, il procuratore generale Giuseppe Fici ha commentato la serie di assoluzioni al processo d'appello.

La trattativa Stato-mafia

Per l'accusa la trattativa Stato-mafia fu una negoziazione tra importanti funzionari dello Stato italiano e rappresentanti di Cosa nostra finalizzata a fare cessare la "stagione stragista" e a catturare Totò Riina in cambio di un'attenuazione delle misure detentive previste dall'articolo 41 bis e di un alleggerimento nell'azione di contrasto alla mafia. Gli incontri riservati del comandante del Ros, Mario Mori, e del suo braccio destro Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino sarebbero cominciati dopo l'uccisione dell'eurodeputato Salvo Lima nel marzo 1992, entrando nel vivo tra l'attentato a Giovanni Falcone e la strage di via D'Amelio in cui morì Paolo Borsellino. Il pool di Palermo guidato da Giovanni Falcone aveva condannato ad anni di carcere duro (isolamento, sorveglianza del detenuto e contatti limitati con l’esterno) centinaia di mafiosi, proprio in funzione del 41 bis. 

L'inchiesta

L’inchiesta, iniziata negli anni ’90, subì due archiviazioni. Ma venne riaperta nel 2008, anche grazie alle rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino: secondo le sue dichiarazioni la trattativa, avviata da Totò Riina e Bernardo Provenzano all'inizio degli anni Novanta, sarebbe proseguita almeno fino al 1994, con la partecipazione dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Nel corso degli anni sono stati interrogati anche testimoni eccellenti come Ciriaco De Mita, Arnaldo Forlani e Claudio Martelli. Nove anni fa, il 29 ottobre 2012, la vicenda è approdata in dibattimento con l'udienza preliminare conclusa con il rinvio a giudizio di Riina e del cognato Leoluca Bagarella, di Bernardo Provenzano, Mori, De Donno, Massimo Ciancimino, Marcello Dell'Utri indicato come il tessitore politico della "trattativa", Giovanni Brusca, Antonino Cinà medico di Riina e postino del "papello" con le richieste dei boss, Antonio Subranni all'epoca capo di Mori. A giudizio era finito anche l'ex ministro Nicola Mancino (sarà assolto) e l'ex ministro Calogero Mannino: quest'ultimo per l'accusa avrebbe innescato la "trattativa" dopo avere ricevuto pesanti minacce dalla mafia. Mannino ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto definitivamente in Cassazione l'11 dicembre 2020.

In primo grado il dibattimento, presieduto da Alfredo Montalto, era cominciato il 27 maggio 2013 e si era concluso con condanne molto severe il 20 aprile 2018, quando Riina e Provenzano erano già morti. Per i giudici di primo grado la "trattativa" dunque ci fu ed era illegittima perché protagonisti erano uomini delle istituzioni e soggetti che "rappresentavano l'intera associazione mafiosa". Il verdetto è stato ribaltato nel giudizio di appello, cominciato il 29 aprile 2019:  c'erano le minacce della mafia ma non la "trattativa".

Il legale di Dell'Utri: "Non fu tramite tra boss e politica"

"Siamo felici perché il nostro assistito è stato dichiarato estraneo a questa imputazione, dopo 25 anni di processi, in relazione al periodo successivo al '94", commenta l'avvocato Francesco Centonze, legale insieme a Francesco Bertorotta e Tullio Padovani, dell'ex senatore Marcello Dell'Utri. "Questo è l'esito necessario alla luce delle carte processuali", aggiunge. "Dell'Utri evidentemente non è stato il trait d'union tra la mafia e la politica". 

L'avvocato di Mario Mori: "Dimostrazione che trattativa è bufala"

"E' un'assoluzione di cui io e il collega che difende Giuseppe De Donno siamo stati sempre convinti. Finalmente la verità è venuta fuori a costo di sacrificio e di grande lavoro". Lo dice l'avvocato Basilio Milio, legale del generale Mario Mori commentando la sentenza. "Abbiamo sentito sia il generale Mori che De Donno e sono molto contenti. La sentenza stabilisce che la trattativa non esiste. E' una bufala, un falso storico", ha aggiunto.

Danila Subranni: "Chi ha leso mio padre pagherà"

"Grazie alla conoscenza profonda che ho del rigore etico di mio padre, grazie alla famiglia, agli amici, ai miei colleghi, non ho mai avvertito la necessità di una riabilitazione del mio cognome, scandito sempre a chiare lettere, a voce ferma, in ogni ambito istituzionale in cui ho lavorato. Si riabilitino gli altri, se possono, si riabilitino coloro che negli anni, a processo in corso, a vario titolo e livello, hanno leso mio padre, la sua indiscutibile appartenenza allo Stato, colpendolo al cuore irrimediabilmente, ferendo la vita di mia madre, la mia e quella di mio fratello. Per quel che ci riguarda, chiederemo che ne rispondano a uno a uno, nei modi possibili che la Legge ci consentirà di perseguire. In base al principio di garanzia che vale per tutti: chi sbaglia, paga". Lo scrive Danila Subranni, figlia dell'ex ufficiale del Ros Antonio Subranni  assolto.

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