Sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni aggravate, maltrattamenti, reati aggravati dalle modalità mafiose
Un omicidio di mafia è stato sventato dai carabinieri che hanno smantellato il clan di Bagheria, da sempre roccaforte di Cosa Nostra. Un uomo, nonostante gli "avvertimenti", aveva continuato a sfidare i vertici mafiosi. Così i militari hanno eseguito un provvedimento di fermo emesso dalla Direzione distrettuale antimafia nei confronti di otto indagati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa e finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e vendita di armi clandestine, estorsione, lesioni aggravate, maltrattamenti, reati aggravati dalle modalità mafiose. L'amministrazione comunale di Bagheria si costituirà parte civile nell'eventuale processo.
L'inchiesta
I carabinieri - attraverso intercettazioni ambientali, telefoniche, telematiche e veicolari - hanno delineato il nuovo organigramma della famiglia mafiosa. I militari sono riusciti a ricostruire gli interessi dell'organizzazione nel traffico e spaccio di stupefacenti, nella gestione dei centri scommesse e nelle estorsioni. Nel corso delle indagini è stato accertato che il capo della famiglia mafiosa aveva disponibilità di armi ed è stato anche individuato un imprenditore edile, ritenuto storico prestanome dei vertici della famiglia mafiosa.
L'indagine
Inoltre, le indagini dei carabinieri avrebbero accertato il passaggio del comando della famiglia di Bagheria da Onofrio Catalano (detto 'Gino') a Massimiliano Ficano, ritenuto più autorevole, e che aveva l'appoggio e il forte legame con il capomafia ergastolano Onofrio Morreale. L'investitura sarebbe avvenuta con il placet dell'allora capo mandamento Francesco Colletti, arrestato nell'operazione Cupola 2.0 e ora collaboratore di giustizia. Ficano, che si vantava della sua tradizione familiare, aveva scontato una condanna definitiva per associazione mafiosa e, approfittando del vuoto di potere, aveva preso il comando anche con metodi violenti.
La ricostruzione dei fatti
L'autorità del boss di Bagheria Massimiliano Ficano sarebbe stata messa in discussione da Fabio Tripoli, secondo le indagini dei carabinieri. Tripoli, apparentemente estraneo al contesto mafioso, ubriaco e spesso intemperante, si era permesso di sfidare pubblicamente il capo mafia. La reazione contro l'affronto non era tardata. Ficano avrebbe incaricato alcuni affiliati di picchiare Tripoli. Un violento pestaggio che provocò alla vittima un trauma cranico e la frattura della mano. Nonostante l'aggressione Tripoli avrebbe tuttavia continuato a sfidare il capo mafia armandosi con una accetta e dicendo in giro di essere intenzionato a dare fuoco a un locale inaugurato dallo stesso Ficano. Un affronto che il boss decise di lavare con il sangue. Per cercare di costruirsi un alibi, dopo aver dato l'ordine di uccidere il "ribelle", il boss si allontanò da Bagheria, anche per prepararsi alla fuga visto il pericolo di essere arrestato. Non solo. Sarebbe emerso il ruolo dell'anziano imprenditore edile Carmelo Fricano (detto "Mezzo chilo"), ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di Bagheria e in particolare allo storico capo mandamento detenuto Leonardo Greco. In passato, infatti, diversi collaboratori di giustizia hanno indicato Fricano quale "prestanome" di Greco, e inserito nell'associazione mafiosa. Le indagini hanno consentito di raccogliere una serie di elementi nei confronti dell'imprenditore edile adesso indagato per associazione di tipo mafioso.
Le intercettazioni
"Lo portiamo in campagna e lo scanniamo come un vitello", dicevano i boss di Bagheria. Fabio Tripoli aveva osato mettere in discussione l'autorità di Massimiliano Ficano. "Perché ora così deve andare, le bontà non pagano, chi sbaglia paga", diceva Ficano secondo gli investigatori nelle intercettazioni. Su ordine del boss, il 19 agosto scorso, in sei lo avrebbero selvaggiamente picchiato provocandogli un trauma cranico e delle ferite alla mano. Alla spedizione punitiva avrebbe preso parte, per i pm, Bartolomeo Scaduto e Ivan Salerno, mentre a fare da palo sarebbero stati Giuseppe e Nicolò Cannata, Emanuel D'Apolito. Ma Tripoli nonostante il pestaggio aveva continuato a non calare la testa. Scaduto raccontava al padre di Tripoli che il figlio: "ieri ha fermato a uno, colpi di catena, mi deve aprire la testa, mi deve fare… mi viene a suonare era davanti alla porta, ascia, martello, bastone… vedi che io gli ho voluto sempre bene… lui mi è venuto a cercare". L'affronto doveva essere pagato. La sentenza era stata emessa: Tripoli doveva essere ucciso. Le parole di Scaduto, pronunciate pochi gironi fa, hanno accelerato il blitz. Bisognava intervenire subito. "Lo prendiamo, o lo lasciamo la, o lo prendiamo e lo buttiamo in un cassonetto di immondizia… ci dobbiamo organizzare questa volta bene… che dobbiamo fare le cose perfette", diceva Scaduto.
Sindaco Bagheria: "Apprezzamento a carabinieri per arresti"
"Esprimiamo un deciso apprezzamento all'Arma dei carabinieri e a tutti gli organi investigativi che in una brillante operazione hanno arrestato 8 indagati". Lo dicono il sindaco di Bagheria, Filippo Maria Tripoli, e l'amministrazione comunale. "Al pool di magistrati della Dda - aggiungono - va tutta la nostra stima e l'invito a non demordere perché è evidente che il nostro territorio, per il quale spiace constatare che ancora la mafia è attiva e operativa, ha bisogno del loro lavoro".
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