Catania, mafia: ordinanza per 40 indagati

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I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell'Inps

Gruppi legati a Cosa nostra sono stati disarticolati da un'operazione dei carabinieri di Catania con l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 40 persone nel capoluogo etneo, a Siracusa, Cosenza e Bologna. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, estorsioni e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di falsi e truffe ai danni dell'Inps.

Le indagini

Le indagini hanno permesso di ricostruire gli organigrammi di gruppi mafiosi della famiglia Santapaola-Ercolano a Paternò e Belpasso. Secondo l'accusa, gestivano un fiorente traffico di stupefacenti, in particolare marjuana e cocaina, ma anche estorsioni, riciclaggio, ricettazione e avrebbero creato una situazione di grave condizionamento del tessuto economico locale. Tra gli elementi di vertice, ricostruisce la Dda, c'era il boss Santo Alleruzzo che, nonostante una condanna all'ergastolo per duplice omicidio, mafia e traffico di droga che sta scontando detenuto a Rossano (Cosenza), approfittava dei permessi premio per ritornare nel paese d'origine, Paternò (Catania), dove durante di summit mafiosi continuava ad impartire ordini e direttive per la gestione degli affari del clan. 

Chiesto pizzo anche all'azienda Condorelli

Tra le vittime dei clan legati alla 'famiglia' Santapaola-Ercolano anche l'imprenditore 're' dei torroncini, Giuseppe Condorelli. Nel marzo 2019 una bottiglia piena di alcol etilico e un messaggio minatorio ("Mettiti a posto ho ti faccimo saltare in aria cercati un amico") vennero trovati davanti la sede di Belpasso della ditta. L'imprenditore però ha denunciato il tentativo di estorsione ai carabinieri, come già fatto in passato. "Denunciare conviene - afferma Giuseppe Condorelli - l'ho sempre fatto con convinzione. Noi imprenditori abbiamo degli obblighi anche sociali e non possiamo venire meno a questi. Bisogna avere fiducia nelle Istituzioni e nelle forze dell'ordine. La mia vicenda personale lo dimostra. Paura? Certo c'è sempre l'alea, soprattutto quando si ha una famiglia. Ma se si vuole estirpare questa malapianta non c'è che una strada: la denuncia". 

Un fermo immagine tratto da un video dei carabinieri di Catania, 4 maggio 2021: Gruppi legati a Cosa nostra sono stati disarticolati da un'operazione dei Carabinieri del Comando provinciale di Catania con l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 40 persone nel capoluogo etneo, a Siracusa, Cosenza e Bologna.
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L'operazione dei carabinieri

Un'operazione dei carabinieri di Catania ha fatto emergere "una situazione di grave inquinamento mafioso del tessuto economico locale, come dimostra l'individuazione di diversi imprenditori che consapevolmente favorivano le illecite attività del clan". Come il caso del titolare di una ditta di commercio di prodotti ortofrutticoli che otteneva la protezione della mafia per imporsi sulla concorrenza e gestire eventuali 'problemi' con i creditori versando ai vertici della cosca una percentuale degli utili di impresa e consentendo loro di concludere affari. O, ancora, il proprietario di importanti gioiellerie che consentiva al capo del clan di operare compravendite in contanti di diamanti, orologi e gioielli, senza rendicontazione fiscale, permettendogli di riciclare denaro 'sporco'.

Le attività illecite

Dalle indagini è emerso anche un ulteriore canale di finanziamento delle casse del clan: l'indebita percezione dell'indennità di disoccupazione agricola. Secondo l'accusa, attraverso una rete di ditte compiacenti, consulenti del lavoro disponibili e soggetti che si prestavano a fungere da falsi braccianti, l'organizzazione predisponeva tutta la documentazione necessaria ed inoltrava all'Inps le domande per l'indennità di disoccupazione agricola a falsi braccianti che ricevevano 20 euro al giorno per la loro complicità. Il danno all'Ente previdenziale è stimato in oltre 85.000 euro.

Secondo diversi 'pentiti', inoltre, gli spacciatori a Paternò non potevano 'lavorare' senza pagare una 'tassa' alla cosca Assinnata per potere esercitare la loro attività in una 'piazza di spaccio'. Militari dell'Arma hanno anche scoperto un piano per fare arrivare ingenti carichi di cocaina dall'Ecuador, nascosta in container contenenti banane. Non è stato scoperto se è stato poi realizzato, ma è stato invece accertato che la cosca utilizzava anche come nascondiglio per la marijuana il cimitero monumentale di Paternò, dove sono stati eseguiti dei sequestri di sostanza stupefacente. La droga interessava anche gruppi criminali di Messina dove la polizia ha sgominato due organizzazioni di trafficanti attive nel rione Giostra gestite su base familiare con interi nuclei coinvolti. L'inchiesta della Procura dello Stretto ha accertato oltre 1.000 consegne di dosi e scoperto una 'centrale dello spaccio' realizzata in edifici di case popolari. 

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