Caporalato a Caltanissetta, sgominata banda: arrestate 11 persone

Sicilia
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Uno degli ammanettati dai carabinieri e dalla polizia è stato posto ai domiciliari. Una dodicesima persona è attualmente irreperibile. L’inchiesta riguarda anche un omicidio commesso lo scorso 3 giugno: un uomo si era ribellato e aveva deciso di denunciare

Un'associazione per delinquere finalizzata al caporalato, formata da pachistani che imponevano la propria egemonia su propri connazionali a Caltanissetta e provincia, è stata sgominata dai carabinieri e dalla polizia. I militari dell'Arma della locale compagnia e gli agenti della squadra mobile nissena hanno arrestato 11 persone - una posta ai domiciliari - in esecuzione di un'ordinanza restrittiva emessa dal gip di Caltanissetta su richiesta della locale Procura. Una dodicesima persona è attualmente irreperibile.

Le accuse

Gli arrestati sono indagati, a vario titolo, per associazione per delinquere finalizzata al caporalato, estorsioni, sequestro di persona, rapine, lesioni aggravate, minacce, violazione di domicilio, violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. Secondo l'accusa il gruppo, formato da pachistani da tempo residenti nel centro della città, "agendo con metodo paramafioso, ha assoggettato la comunità di appartenenza sottoponendola ad un regime di vessazione e terrore e sfruttandola professionalmente al fine di assicurare all'associazione continuità nel tempo".

L'operazione “Attila”

Durante le perquisizioni eseguite la notte scorsa nell'ambito del blitz denominato "Attila" sono stati trovati in casa di uno degli arrestati due libri mastri, tuttora al vaglio della Procura, nei quali erano descritti i nomi dei lavoratori sfruttati ed il compenso che si aggirava sui 25-30 euro al giorno.

L’omicidio del 3 giugno

Nell’ambito dello sfruttamento di braccianti agricoli al centro dell’operazione è maturato anche un omicidio. Il pachistano Adnan Siddique è stato ucciso la sera del 3 giugno scorso: si era ribellato denunciando i suoi caporali. Per quel delitto sono stati tratti arrestati sei delle persone destinatarie dell'odierna misura cautelare. Prima dell'omicidio, la banda aveva commesso numerosi episodi di violenza nel Nisseno rendendosi responsabili, secondo l'accusa, di delitti contro la persona ed il patrimonio, in larga parte ai danni di loro connazionali a Caltanissetta e in paesi vicini alla città.

Le indagini

L'indagine, denominata 'Attila', ha preso avvio dopo numerosi interventi e denunce presentate da altri pachistani alla polizia e anche nelle stazioni dei carabinieri di alcuni paese vicini come Milena e Sommatino. I numerosi episodi di violenza, sottolineano gli investigatori, hanno permesso "di acclarare l'esistenza di una vera e propria associazione per delinquere, finalizzata ad imporre la propria egemonia sul territorio, acquisita dal protratto periodo di operatività e rafforzata dal costante ricorso a condotte minatorie e violente di elevatissimo allarme sociale".

La banda

Leader indiscusso del gruppo era M.S. che, insieme a ad altre quattro persone, reclutava manodopera pachistana col metodo del caporalato. I loro connazionali venivano 'offerti' ai titolari di aziende agricole "in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori, accordandosi sull'entità del compenso, che si aggirava sui 25-30 euro al giorno, e trattenendo per sé una parte o persino la totalità del corrispettivo". Chi si lamentava era vittima di efferate spedizioni punitive, come un nigeriano colpito a colpi di bastone e spranghe per avere chiesto la sua paga. Coinvolti nell'indagine anche i titolari delle imprese agricole dove i pachistani venivano condotti a lavorare perché, come sottolineano carabinieri e polizia, "trovavano conveniente rivolgersi ai caporali loro connazionali perché ben consapevoli che nessuna denuncia sarebbe mai potuta intervenire a danneggiarli, proprio per le condizioni di sfruttamento dei lavoratori".

Le violenze

Tra le violenze emerse le minacce di morte con un coltello puntato alla gola di una vittima sequestrata per tre ore per chiamare il padre in patria allo scopo di farsi mandare 5mila euro per ottenere la sua 'liberazione'. In un'altra occasione è stata aggredita una nigeriana mentre stringeva tra le braccia suo figlio di appena un anno, rapinandola di duecento euro. Il marito della donna è stato aggredito con calci e pugni. È contestata anche un''irruzione, con pistola e coltelli in una comunità per minorenne, pestando due degli ospiti dopo un banale diverbio con un altro ragazzino, che aveva chiesto l'intervento del boss della banda per 'punirli'.

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