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Trattativa Stato-mafia, chiesta condanna a 9 anni per Calogero Mannino

Sicilia
Calogero Mannino

La reazione dell'ex ministro: "Che tutta la trattativa si riduca alla paura del sottoscritto e dalla sua ispirazione a un generale dei carabinieri è soltanto una fake-news, è tesi priva di fondamento e consistenza e quindi di prova"

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La procura generale ha chiesto una condanna a nove anni di carcere dell'ex ministro democristiano Calogero Mannino, imputato di minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo d'appello sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Assolto in primo grado, Mannino ha scelto il rito abbreviato ed è giudicato separatamente rispetto agli altri imputati per cui è in corso il processo d'Appello.

Il processo

La Procura generale si è mossa lungo il solco narrativo tracciato dai PM del primo grado. Una continuità affermata a dispetto dell'assoluzione disposta dal Gup che, con una sentenza piuttosto critica nei confronti dell'accusa, bocciò la ricostruzione degli inquirenti. E la tesi è questa: Mannino, nella "lista" dei nemici che Cosa nostra aveva deciso di eliminare per "saldare i conti" con chi non aveva mantenuto i patti stretti coi clan, avrebbe avviato, grazie ai suoi contatti con l'ex capo del Ros Antonio Subranni, una sorta di trattativa coi boss, anche per il tramite dell'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, per salvarsi la vita. Una narrazione processuale che vede nell'ex potente politico il "motore" del dialogo che pezzi dell'Arma, con la copertura di parte delle istituzioni, avrebbero avuto con la mafia per fare cessare la stagione delle stragi. Un patto che lo Stato avrebbe suggellato offrendo in cambio l'impunità per il boss Bernardo Provenzano, sostenitore in seno a Cosa nostra della linea del dialogo, una azione politica meno rigorosa nel contrasto ai clan e un alleggerimento del carcere duro per i mafiosi. Il gup definì inadeguate le "prove" portate dalla Procura a sostengo della tesi. "Non c'e' qualcosa, come delle fonti orali o documentali, che dimostrino - scrisse - il collegamento tra l'iniziativa dei Ros di interloquire con Vito Ciancimino e l'evento ipotizzato dall'accusa di un accordo tra Mannino e Cosa nostra". Un giudizio lapidario che non ha influenzato la corte d'assise di Palermo che per la trattativa ha condannato a pene severe i coimputati di Mannino: gli ufficiali del Ros a cui l'ex ministro si era rivolto, i boss Bagarella e Cinà, Marcello Dell'Utri, Massimo Ciancimino e il pentito Giovanni Brusca. Per loro è appena cominciato il processo d'appello.

Le parole del PG

"Le acquisizioni probatorie confermano inoppugnabilmente il timore dell'onorevole Mannino di essere ucciso, così come sostenuto dall'accusa, e le sue azioni per attivare un turpe do ut des per stoppare la strategia stragista avviata da Cosa Nostra", hanno sostenuto Sergio Barbiera e Giuseppe Fici, i due magistrati che hanno rappresentato l'accusa in appello.

La reazione di Calogero Mannino

"La richiesta che l'ufficio dell'accusa ha avanzato è priva di ogni fondamento e prova", ha replicato l'imputato con una nota. "Se prova v'è, è quella di una pretesa pregiudiziale e fantasiosa. Anche alla stregua della stessa sentenza Montalto. Che tutta la trattativa si riduca alla paura del sottoscritto e dalla sua ispirazione a un generale dei carabinieri è soltanto una fake-news, è tesi priva di fondamento e consistenza e quindi di prova. Sottolineo che la richiesta dei sostituti procuratori generali non è giudizio. Attendo fiduciosamente quello", la reazione dell'ex ministro, Calogero Mannino.