Nelle ultime ore della sua vita, Borsellino scrisse a un'insegnante di Padova, affrontando temi cruciali della sua esistenza. Da domani sarà esposta al Teatro Politeama
Era il 19 luglio 1992 e, quel giorno, il giudice Paolo Borsellino si era imposto di non lavorare. Per questo motivo iniziò a rispondere alla lettera che gli aveva spedito un’insegnante di Padova, con l'invito ad incontrare i suoi studenti. Il giudice, però, non riuscì a terminare la sua risposta: mancavano poche ore alla strage di via D’Amelio.
Quell’ultimo scritto, che assume quasi la valenza di un testamento spirituale, da sabato 6 ottobre sarà esposto al Teatro Politeama di Palermo, parte dell’esposizione “Io sottoscritto. Testamenti di grandi italiani”.
Sarà possibile ripercorrere le ultime ore del giudice, attraverso i suoi pensieri e le sue parole.
“Oggi non è certo il giorno più adatto per risponderle, perché frattanto la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata - scriveva Borsellino - ed io non ho tempo da dedicare nemmeno ai miei figli, che vedo raramente perché dormono quando esco di casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati. Ma è la prima domenica, dopo almeno tre mesi, che mi sono imposto di non lavorare e non ho difficoltà a rispondere, però in modo telegrafico, alle Sue domande”.
La professoressa di un liceo di Padova aveva inviato al giudice una sorta di questionario in nove punti, cui Borsellino si accingeva a rispondere scrupolosamente. Lo scritto affronta questioni come "cosa sia la mafia" e "perché Borsellino avesse scelto quella carriera". Domande che richiedevano lunghe risposte, e tempo che il giudice non ebbe più. Riuscì a completare solo i primi tre punti.