Il dolore e la speranza nei racconti dei migranti salvati dalla Sea Eye 4. LE STORIE

Campania
Gaia Bozza

Gaia Bozza

La nave della ong che ha effettuato due salvataggi in acque libiche giovedì scorso, aveva a bordo 105 persone, delle quali 35 bambini, 22 totalmente soli. E' approdata a Napoli. Abbiamo raccolto le storie drammatiche di alcuni di loro, che ci hanno descritto una situazione disumana

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Le storie dei migranti salvati dalla Sea Eye 4, approdata a Napoli qualche giorno fa, restituiscono tutto l’orrore del filo sottile sul quale queste persone – 105, quelle vive dopo il naufragio sui barconi della speranza – hanno camminato. Un filo tra la vita e la morte, tra l’umano e il non più umano. 

Mariam: “Ho bevuto acqua di mare per non morire”

Come Mariam, 23 anni. Viene dalla Guinea. Ci racconta che è scappata perché la famiglia la aveva costretta al matrimonio con un uomo che lei non voleva, a soli 19 anni. Lì studiava economia. Qui vorrebbe continuare a studiare. E’ scappata come tanti, per un futuro libero, ed è rimasta aggrappata alla barca in mezzo al mare per almeno cinque o sei giorni. Da quell’insicura sponda in mezzo alle onde, in cerca di un porto sicuro che è poi arrivato molti giorni dopo, ha visto scivolare in mare i suoi amici, che sono morti davanti ai suoi occhi. Lo dice senza giri di parole, con un’espressione fissa sul volto: “Sì, li ho visti morire”. Ci racconta che come gli altri, aveva cibo e acqua solo per un paio di giorni. “E’ stato un miracolo restare viva tra le 39 persone sul barcone, solo inizialmente avevo cibo e acqua con me ma dopo un paio di giorni sono finiti – racconta – E quando sono finiti, per non morire ho bevuto l’acqua di mare”. I segni fisici, psicologici, sono tutti evidenti, tuttavia Mariam guarda ancora a quella speranza: “Non so cosa accadrà adesso, però il mio primo desiderio è continuare a studiare economia”.

Kester, fuggita da marito violento e arrestata in Libia

Kester ha tre figli di sei, nove e dodici anni. E’ scappata dalla Nigeria, ci racconta di un marito violento, ci mostra una cicatrice sulla testa. A un certo punto per questo, per la povertà, per le condizioni afflittive di vita, per le violenze che avvengono in Nigeria, scappa. Passa per la Libia. E viene arrestata: “In Libia ti trattano come un animale – racconta – Vieni arrestato e buttato in cella così, se stai male nessuno ti cura, c’è tanta violenza”. Non scende nei particolari. Accanto ha i figli ed è evidente che non ha voglia di raccontare altri aspetti di quella violenza. Parla però di come vengano lasciati senza cibo, di come abbiano dovuto pagare per tutto. A un certo punto le chiediamo della sua sofferenza: “Adesso non soffro, perché finalmente siamo arrivati in Europa”.  

Chi sono i migranti salvati dalla Sea Eye 4 

La nave della ong che ha effettuato due salvataggi in acque libiche giovedì scorso, aveva a bordo 105 persone, delle quali 35 bambini, 22 totalmente soli.  L’imbarcazione, inizialmente diretta a Pesaro, ha portato a Napoli anche due salme recuperate in mare, mentre un’altra persona, che si è aggravata e per la quale è stata ottenuta l’evacuazione d’emergenza, è morta in ospedale a Messina. Tutti sono fisicamente e psicologicamente provati, dall’Asl di Napoli spiegano che sono stati ricoverati 11 migranti in condizioni discrete, anche perché sono stati ben soccorsi e inquadrati dai medici della Sea Eye 4. I problemi principali derivano dalle condizioni disperate che hanno vissuto aspettando un salvataggio: ustioni dovute all’incendio di una delle imbarcazioni, fratture, ferite, disidratazione, malnutrizione e problemi gastrointestinali dovuti all’ingestione dell’acqua del mare. “Una situazione drammatica – racconta Beniamino Picciano, uno dei medici che sono saliti a bordo – Tanti baciavano la terra e pregavano. E tanti hanno bevuto acqua di mare. Non possiamo permettere più tutto questo”. 

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