Sono 33 le misure cautelari notificate ad altrettante persone dai carabinieri nell'ambito di una indagine della Dda su un vasto giro di giochi e scommesse illegali esteso oltre che in mezza Italia anche a Panama, Romania e Malta
Sono 33 le misure cautelari notificate ad altrettante persone dai carabinieri nell'ambito di una indagine della Dda su un vasto giro di giochi e scommesse illegali esteso oltre che in mezza Italia anche a Panama, Romania e Malta. In due anni il sistema avrebbe fruttato 5 miliardi di euro. Tra gli indagati inoltre figurano anche persone ritenute dagli inquirenti della Procura di Salerno (guidata dal procuratore Giuseppe Borrelli) legate al clan dei Casalesi.
I carabinieri, coadiuvati all'estero dalle forze di polizia di Panama, Romania e Malta, hanno notificato le misure cautelari in carcere nelle province di Salerno, Ascoli Piceno, Agrigento, Avellino, Brindisi, Caserta, Catanzaro, Latina, Lecce, L'Aquila, Messina, Napoli, Potenza, Ravenna, Roma e Varese. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione per delinquere finalizzata a delitti in materia di giochi e scommesse illegali, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, reimpiego di denaro provento di delitto in attività economiche, autoriciclaggio. Alcuni destinatari dei provvedimenti cautelari, i reati viene vengono contestati con l'aggravante di averli commessi per agevolare il clan dei Casalesi.
I sequestri
Contestualmente sono stati messi sotto sequestro preventivo, su richiesta dell'autorità giudiziaria, anche undici siti web e due società - la Europartner e la cooperativa Iocosa Ludum, entrambe con sede legale a Mercato San Severino (Salerno) - e tre milioni di euro, ritenuto provento delle attività illecite, riconducibili a Luigi Giuseppe Cirillo, figlio del defunto boss calabrese di Sibari, e ad altre persone ritenute dagli investigatori suoi prestanome. Cirillo sarebbe stato a capo dell'associazione a delinquere realizzando una vera e propria holding del "gaming on line" (casinò, poker Texas Holdem) e associandosi alla rete "dbgpoker", non autorizzata in Italia, avvalendosi anche della mafia casalese.
Piattaforma online su server in paradisi fiscali
Alle scommesse partecipava una community composta - secondo una stima - da milioni di giocatori sparsi in ogni angolo del mondo e che scommettevano anche "one to one" nonostante si trovassero a migliaia di chilometri di distanza. Il sistema si basava su una piattaforma informatica realizzata nel 2000 da Luigi Tancredi (romano, accusato di ricettazione e già coinvolto in altre indagini) ma potenziata grazie a un altro indagato per fare fronte alle esigenze più moderne. I giochi erano raggiungibili anche attraverso slot machine e totem perlopiù installati nelle località del sud Italia dove più forte è risultata la pressione della criminalità organizzata. I server, secondo i militari del Nucleo Investigativo di Salerno, sebbene coordinati da Mercato San Severino (Salerno), erano stati dislocati nei cosiddetti paradisi fiscali, come Panama e l'isola di Curaçao.
Se lecite mezzo miliardo nelle casse dello Stato
Il giro di scommesse se svolto in maniera lecita avrebbe fatto confluire nelle casse dello Stato circa mezzo miliardo di euro. A Cirillo gli inquirenti contestano, tra l'altro, l'auto riciclaggio per avere investito nei paradisi fiscali, in particolare a Panama, i proventi delle sue attività criminali acquistando una serie di immobili. Tra gli episodi finiti sotto la lente degli investigatori anche la vendita di una lussuosa Lamborghini Murcielago, intestata - in maniera fittizia - a una società della Repubblica Ceca e invece riconducibile ad alcuni degli indagati. La fuoriserie sarebbe stata venduta a una concessionaria a Torino anche se il denaro invece è stato versato su un conto corrente di Panama intestato proprio a Cirillo. Cirillo, è emerso ancora dall'attività investigativa, avrebbe anche minacciato con una pistola un rivale che reclamava un credito: per questo motivo gli viene contestato anche il porto abusivo di arma da sparo. L'aggravante mafiosa dell'associazione a delinquere, invece, gli è stata contestata per avere fornito la piattaforma a soggetti ritenuti legati al clan dei Casalesi.