Il Paese è il secondo al mondo per l'estrazione dei bitcoin e quello che avviene qui può influenzare il settore delle criptovalute. Alcuni esperti sostengono che, a causa di alcune decisioni prese dal governo, molti miner potrebbero ora decidere di andare altrove. Ma c'è anche chi ipotizza che le loro attività possano aver contribuito alla rivolta
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Negli ultimi giorni ci sono stati due cambiamenti importanti nel settore dei bitcoin. Il primo, è che il valore della cripto valuta è crollato. Il secondo è che è diminuito del 14% il cosiddetto hasharate, ovvero la potenza di calcolo dei computer dei miner. Entrambe queste circostanze si sono verificate alcuni giorni dopo lo scoppio delle proteste in Kazakistan, iniziate come una rivolta contro l’aumento del prezzo del carburante dovuto alla liberalizzazione del Gpl e ben presto divenute una più ampia contestazione contro il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev, che governa in modo autoritario. La tempistica non è casuale. Il Kazakistan è il secondo Paese al mondo per l’estrazione di bitcoin, subito dopo gli Stati Uniti, e quello che avviene qui può avere ripercussioni sul mercato. Gli esperti sono divisi sulla possibilità che abbia fatto crollare il valore della criptovaluta. Come riferisce Italian Tech, l'hub Gedi dedicato all'innovazione e alle nuove tecnologie, c’è infatti chi lo attribuisce a una reazione degli investitori alla decisione della Fed di aumentare i tassi di interesse prima del previsto. Sul crollo dell’hash rate, invece, ci sono meno dubbi. Proprio in quei giorni, il governo kazako aveva deciso di bloccare in tutto il Paese l’accesso a Internet: una mossa che ha influenzato anche i miner, rendendo loro difficile accedere alla rete dei bitcoin.
Il Kazakistan e i bitcoin
Come ricorda Reuters, i bitcoin sono creati o “estratti” da computer ad alta potenza che risolvono complesse operazioni matematiche. In base agli ultimi dati disponibili diffusi dall’Università di Cambridge e risalenti allo scorso Agosto, il 18% di tutti i calcoli avviene in Kazakistan, diventato nel giro di pochi anni il secondo Paese al mondo per estrazione di bitcoin. Questa trasformazione è dovuta soprattutto alla Cina e ad alcune decisioni che ha preso in materia, compresa quella di reprimere il mining nel Paese e di rendere illegali tutte le transazioni con le criptovalute. Una serie di mosse che ha spinto i miners a cercare ed emigrare in posti con normative e condizioni più favorevoli. Il Kazakistan, coi suoi prezzi e il suo clima, ne ha attirati a migliaia. “Ad ottobre qui siamo attorno agli zero gradi, una temperatura ottima per le apparecchiatture, che devono essere mantenute a temperature basse”, ha spiegato alla RSI Alan Doriyev, presidente della Bitcoin Miners Association, aggiungendo che negli hangar ci sono centinaia di migliaia di computer per il mining.
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Il futuro del settore
Ora lo scenario potrebbe cambiare di nuovo. Secondo alcuni esperti interpellati da CNBC, il blocco di Internet è infatti una delle ultime mosse che potrebbe indurre i miner a decidere di investire fuori dal Kazakistan. Il riferimento è ad una serie di azioni che il governo ha intrapreso negli ultimi mesi, a partire dalla decisione di perseguire i cosiddetti miner “grigi”, ovvero gli abusivi, che hanno impianti di estrazione non registrati e, insieme, consumano fino a 1.2 GWt di energia. Inoltre, come ricorda in un’intervista a Italian tech l’esperto Sergio Bellucci, è stata annunciata una tassa per i miner regolari pari e 1 tenge (0,002 euro) per kWh di energia usata e “sono arrivati i tagli mirati alla distribuzione di energia per queste attività”. Nic Carter, fondatore di una società di venture capital focalizzata esclusivamente sulle blockchain pubbliche, ha detto a CNBC: “Il blocco di internet arriva sulla scia degli sforzi per imporre un divieto di fatto nelle nuove attività di mining nel Paese quindi i miners dovranno essere ben consci dei rischi politici che corrono”. E ancora: “Questi divieti mostrano perché i miners stiano cercando di rilocalizzarsi in giurisdizioni politicamente stabili”.
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L’impatto del settore
L’estrazione di bitcoin non ha portato solo vantaggi in Kazakistan. Lo scorso novembre il viceministro dell’Energia Murat Zhurebekov sottolineò che dall’inizio del 2021 il consumo di energia elettrica era aumentato dell’8%, una vera e propria impennata dato che fino ad allora era incrementato massimo del 2% in un anno. Questo repentino aumento dei consumi - attribuito in parte al mining - ha causato continue interruzioni di corrente e per risolverle, ricorda Deutsche Welle, il Kazakistan ha dovuto rivolgersi alla Russia, sua preziosa alleata. Di recente, è stata proprio Mosca a intervenire militarmente per sedare le proteste. “La crisi energetica in Kazakistan si somma sicuramente a una crisi sociale e politica sottostante, ma la famosa scintilla va cercata negli enormi interessi del mondo del mining e delle criptovalute connesse, divenute un asset strutturale del mondo finanziario non solo in termini di speculazione delle criptovalute, ma per tutte le attività di smart contract ormai implementate dal sistema bancario e finanziario”, ha detto Sergio Bellucci in un’intervista a Italian tech.