Chi è Asia Bibi, cristiana condannata a morte per blasfemia e assolta

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Asia Bibi e Eisham, sua figlia, con Ashiq, suo marito

La Corte suprema del Pakistan ha ordinato il rilascio immediato della donna, annullando le sentenze di primo grado e di appello. La vicenda era iniziata nel 2009 dopo un litigio con altre contadine per il quale era stata accusata di "avere offeso il profeta Maometto"

Finisce con l’annullamento della condanna a morte, da parte della Corte suprema del Pakistan, la vicenda di Asia Bibi, la donna cristiana accusata di blasfemia per aver "insultato" il profeta Maometto in un litigio con altre due donne musulmane. Bibi può tornare una donna libera: la Corte suprema, emettendo la sentenza di assoluzione, ha decretato il suo “immediato rilascio”. Il suo destino sembrava segnato dopo che nel 2014 l'Alta corte di Lahore aveva respinto il ricorso contro la condanna alla pena capitale in primo grado, presentato dai difensori della donna. Solo la mobilitazione internazionale aveva impedito l’esecuzione della sentenza fino al 2018, quando è arrivato il verdetto della Corte suprema che annulla la condanna. “Insultare” Maometto è un atto che in Pakistan comporta la pena di morte in base alla controversa legge sulla blasfemia in vigore nel Paese. I detrattori della legge ritengono da sempre che sia uno strumento di ricatto usato per regolare dispute materiali e personali, ma la norma viene difesa con le unghie e i denti da molti imam e dagli islamisti.

La denuncia e la condanna a morte

La vicenda di Asia Bibi risale al 19 giugno 2009. Quel giorno, nell'azienda agricola dove lavorava, si accende una forte discussione sulla religione tra le operaie, in maggioranza musulmane: all'origine vi sarebbe dell'acqua che le altre due donne rifiutano di bere perché prima ne ha bevuto un sorso la cristiana Asia, respinta quindi come "impura", in un'accezione dell'Islam che ricorda un po' il sistema induista delle caste. Ne nasce un litigio in cui Asia, in base a quanto asserito dalle due donne, difende il suo credo argomentando che "Gesù è vivo, Maometto è morto" e che "il nostro Cristo è il vero profeta di Dio, non il vostro". Le due donne picchiano Asia e ne parlano a un imam, che sporge denuncia al tribunale di Nankana, che nel novembre 2010 emette la condanna a morte. Per Amnesty International è "un atto di grave ingiustizia", e "l'idea che Asia potrebbe pagare con la vita un litigio è raggelante". Nel 2011 esce il libro “Blasfema”, un racconto scritto in prima persona, raccolto dalla reporter francese Anne Isabelle Tollet, che ha parlato con Asia attraverso suo marito e il suo avvocato, gli unici che potevano incontrarla in carcere.

Il rigetto del primo appello

Quattro anni più tardi, nel 2014, Asia Bibi perde il ricorso davanti alla corte di Lahore, capitale del Punjab. L'avvocato della donna, Shakir Chaudhry, aveva spiegato dopo il rigetto del ricorso che, malgrado la difesa avesse presentato argomentazioni scritte che "smontavano l'impianto accusatorio, smascherando testimoni poco credibili e l'evidente costruzione di false accuse, il giudice ha ritenuto valide e credibili le accuse delle due donne musulmane (due sorelle) che hanno testimoniato sulla presunta blasfemia commessa da Asia”. Il legale aveva commentato: in Pakistan "la giustizia è sempre più in mano agli estremisti". E una decina di imam aveva lodato la decisione, scandendo slogan religiosi e annunciando festeggiamenti per quello che hanno definito "un giorno di vittoria per l'Islam".

Gli omicidi in Pakistan per le tensioni sulla vicenda

A favore di Asia Bibi, madre di cinque figli, si è mobilitata fin dal 2009 la comunità internazionale. Nel 2010 papa Benedetto XVI era sceso in campo con un appello per chiedere la liberazione della donna. Nel febbraio 2018 il suo successore Francesco ha ricevuto in Vaticano la figlia Eisham e il marito di Asia Bibi, Ashiq. In patria, invece, il suo caso è diventato tra i principali motivi di discordia nella disputa fra l'estremismo islamico, capillarmente diffuso in Pakistan, e una concezione più "liberale" delle leggi e dello Stato. Negli ultimi anni non sono mancate le manifestazioni in piazza dei fondamentalisti islamici per chiedere l’esecuzione della condanna di Asia Bibi e per difendere la legge sulla blasfemia. Nel Paese sono nate tensioni estreme che sono costate la vita a due politici pachistani: il governatore del Punjab, Salman Taseer, crivellato di pallottole nel gennaio del 2011, che ha "pagato" per aver difeso la donna ed essersi pronunciato contro la legge; e poi l'unico ministro cristiano del governo di Islamabad, Shahbaz Bhatti, anche lui assassinato a raffiche di kalashnikov da un commando di talebani due mesi dopo, per aver chiesto una riforma della stessa legge, considerata la più retrograda dell'intero mondo arabo e musulmano. E negli scorsi anni c’è stato chi ha giurato di uccidere Asia Bibi se fosse uscita dal carcere.  

Lo stop all’esecuzione e l’annullamento della condanna della Corte suprema

Nel 2015 la Corte suprema decide di fermare l'esecuzione dopo aver accettato di studiare il fascicolo del caso. Nell’ottobre 2018, Asia Bibi torna una donna libera. La Corte suprema del Pakistan la assolve in appello: "La pena di morte viene annullata. Asia Bibi è assolta da tutte le accuse", ha detto il giudice Saqib Nisar leggendo il verdetto della Corte, aggiungendo che la signora Bibi sarebbe stata rilasciata "immediatamente". L'assoluzione arriva perché "ci sono contraddizioni nelle testimonianze".

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