L’uomo che ha attraversato l’impossibile vuole far fiorire il deserto

Ci sono uomini che inseguono un sogno, e altri che gli costruiscono attorno una vita intera. Max Calderan, esploratore italiano di fama internazionale, undici record mondiali all’attivo, è l’unico essere umano ad aver attraversato integralmente il Rub’ al Khali — il “Quarto Vuoto” — la più vasta distesa di sabbia della Terra. Nel febbraio 2020 ha percorso da ovest a est 1200 km di dune incontaminate, in solitaria, senza supporto e senza assistenza: un’impresa mai riuscita a nessuno prima di lui. Ma Calderan non è un esploratore nel senso tradizionale del termine: non cerca la conquista, cerca la trasformazione. Di sé stesso, prima di tutto. E oggi quella trasformazione la condivide con chi è disposto a spingersi nel cuore del deserto per incontrare la propria versione più autentica. Nasce così la EQ Run Exploration, un’esperienza di 11 giorni — di cui 8 immersi nel silenzio assoluto del Quarto Vuoto — in cui i partecipanti vivono la solitudine, la privazione digitale e la potenza primordiale del deserto. Niente pettorali, niente classifiche, niente tempi da battere: solo sé stessi, una tenda personale e la sabbia infinita. E mentre apre la sua linea al mondo, Calderan guarda già oltre. Il suo prossimo progetto, The Green Sand Line, è una sfida visionaria di ingegneria, ecologia ed esplorazione: rendere la Calderan Line un corridoio verde nel deserto, visibile dal satellite, capace di far nascere piante e vita dove tutto sembra impossibile. Un ponte tra tradizione e innovazione, tra natura e tecnologia, tra l’aridità assoluta e un nuovo futuro possibile. A Sky tg24 Insider, Calderan racconta com’è nato il suo sogno di bambino, cosa lo ha spinto a sfidare il deserto più inospitale del pianeta e perché oggi, più che un esploratore, ama definirsi un “seminatore di possibilità”. D: Avevi solo sette anni quando hai visto, per la prima volta, la foto del Quarto Vuoto su un’enciclopedia. Cosa ha sentito quel bambino, e come quella sensazione ha continuato a parlare all’uomo che sei diventato durante la lunga preparazione verso il tuo sogno impossibile? R: Quando ho visto per la prima volta nel 1967 la foto dell’Empty Quarter, il deserto di sabbia più grande del pianeta, inserita in una pagina dell’enciclopedia che mi aveva comprato mia mamma, ho provato la stessa sensazione che prova un astronauta che vuole andare sul pianeta Marte: da quel giorno, per la curiosità che caratterizza ogni bambino, ho sentito l’esigenza di capire perché c'era scritto che i cammelli non potevano entrare e perché gli uccelli migratori deviavano il loro percorso. È sempre stata la curiosità che mi ha portato a essere desideroso di scoprire qualcosa di nuovo del pianeta terra, non solo in quel deserto, che era troppo lontano, per me, all'epoca, da poter raggiungere: nella mia testolina infantile c'erano aerei per andare laggiù e atterrare sulla sabbia e poi avventurarsi con chissà quali mezzi dentro in quel deserto. Non c'è mai stato un giorno in cui non mi sia addormentato pensando a quel deserto, non c'è stato un giorno in cui io mi sia alzato senza pensare a quel deserto. Questo, di fatto, ha condizionato inconsapevolmente la mia vita, perché qualunque cosa facevo era collegata con questo grande obiettivo, questo grande sogno. Per esempio, non mi interessavano le discoteche, i ristoranti, il calcio e tutto quello che poteva essere collegato ad attività dentro luoghi chiusi. Per me, prima bambino, poi adolescente e ora uomo, la base di tutto era e rimane il contatto con la Natura e, ovviamente, il “mio” Deserto. Da questa base ho aggiunto e costruito negli anni tutto il mio percorso personale e professionale. D: Dopo 1200 km di sabbia immacolata attraversati da ovest a est, in solitaria, quando hai finalmente tracciato la tua “Calderan Line”, poi riconosciuta come Historical Landmark da Google Maps, qual è stata l’emozione più profonda nel sapere che il tuo cammino sarebbe rimasto impresso nelle mappe del mondo? R: Quando ho aperto ai 1.200 km della Calderan Line, tutto mi sarei aspettato meno che di finire nella storia delle esplorazioni e, ancor di più, non mi sarei mai aspettato che questo nome fosse poi approvato come historical landmark perché ancora oggi non ci credo, non ho la consapevolezza totale piena di quello che sono riuscito a fare e, soprattutto, non ho ancora consapevolezza di come sia riuscito a sopravvivere e a venirne fuori tutto intero. Per il futuro, lungo i 1200km di questa linea storica, che per me è stato come fare qualcosa di assolutamente naturale e spontaneo, ho iniziato un progetto molto visionario che si svolgerà tutto in Arabia Saudita con una sfida enorme: rendere questa linea completamente verde e visibile dal satellite, prendendo acqua in questo deserto, che è tra i più iper aridi e inospitali al mondo, dall’umidità, sviluppando nuove tecnologie che possano, con ridottissime quantità di acqua, portare nuovamente vita. In contemporanea inizia ufficialmente l’ingresso di “persone”’ per esperienze turistiche e sportive uniche al mondo. Esperienze aperte a tutti e in ottica ‘”esplorativa” in totale sicurezza. Ad oggi nessuno ci aveva mai pensato perché, logisticamente, è davvero molto impegnativo. Vorrei che sempre più persone possano non solo conoscerlo, ma viverlo e proteggerlo per le generazioni future. In pratica il passaggio dall’egoismo dell’Esploratore, all’Altruismo della persona e inclusiva. D: Durante la tua impresa nel Rub’ al Khali, il più vasto deserto di sabbia della Terra, c’è stato un momento in cui il deserto ti ha messo davvero alla prova? E un momento in cui, invece, ti ha rivelato qualcosa di immenso, difficile persino da raccontare? R: Il momento più inebriante, affascinante, eccitante e completamente inaspettato per la forza e violenza con cui si è presentata, è stata la tempesta di sabbia che, a memoria dei sauditi che erano parte del team della logistica quando ero dentro al Rub Al Khali, è stata definita la più devastante mai vista nei 40 anni precedenti. Ero completamente solo, l'ho vista arrivare imponente, altissima ed estesa a vista d’occhio. Il cielo volgeva verso il tramonto e, in meno di 5 minuti, è diventato completamente buio. Non riuscivo a più a respirare, troppa sabbia ovunque, nelle fessure del mio abbigliamento, nel mio naso, orecchie, occhi. Ho dovuto indossare degli occhiali tipo quelli da sci, coprirmi e avventurarmi completamente da solo per quasi 180 km in un luogo in cui non vedevo oltre i tre metri, dove non riuscivo a vedere dove appoggiavo i piedi e non vedevo più nemmeno le mie tracce dietro. Il vento aveva raggiunto sicuramente una velocità superiore ai 140/150 km all'ora in alcuni punti. Non funzionava il telefono satellitare, non funzionava il GPS: ero completamente solo, non dico abbandonato, ma cullato dalla madre di tutte le madri, che in quel momento è come se dicesse “polvere sei, in questo caso sabbia sei, e sabbia ritornerai”. Ho avuto la sensazione di essere stato l'uomo più fortunato al mondo, perché ero l'unico al mondo che in quel momento poteva dire: “a chi può capitare di trovarsi da solo in un contesto del genere e poter vivere questa esperienza? Vieni qui! Mio amato deserto, vieni Rub Al Khali, vieni, abbracciami e io ti abbraccerò, perché dovesse finire anche al prossimo passo la mia vita, ne comincerà una nuova tra le tue braccia”. D: Oggi apri quel sogno al mondo con la EQRun Exploration: una spedizione unica, 11 giorni fuori dal tempo, 8 immersi nel cuore del deserto. Cosa significa per te accompagnare altre persone lungo una porzione della Calderan Line, permettendo loro di vivere ciò che per te è stato un pellegrinaggio dell’anima? R: Il tempo modifica sempre il modo in cui vivi l'esperienza passata e come si intende mettere a frutto la conoscenza acquisita, affinché questa possa essere utile a quante più persone possibili. Viviamo in un mondo che è tutto una competizione. Dobbiamo essere più bravi di qualcun altro, più belli di qualcun altro, avere un lavoro migliore di qualcun altro, avere più soldi di qualcun altro, avere una macchina più bella di qualcun altro. Nello sport amatoriale, partecipi ad una maratona a Roma, Londra, New York, Dubai, ovunque, e devi avere un tempo che sia migliore di quello di un tuo amico. Devi avere un numero di pettorale, devi vestirti in un certo modo, prendere determinati integratori, ecc. Queste regole sono assolutamente fuori contesto nella Empty Quarter - EQRUNEXPLORATION.COM, perché il deserto non ammette regole per definizione! Se il deserto vuole, la natura, ti ammazza dopo un chilometro e quindi delle tue regole, delle tue idee, dei tuoi sogni, dei tuoi tempi, delle tue scarpe, di base non gli interessa nulla. Il concetto della Eqrunexploration, che poi darà un seguito a tante altre realtà di sport esplorativo, non prevede numeri di pettorali, né tantomeno classifiche. La prima 42km Marathon mai organizzata nel Rub Al Khali viene proposta, ricreando in assoluta sicurezza, a nuovi futuri esploratori. Saranno soli, non parleranno con nessuno, saranno distanziati e dormiranno separatamente sulla sabbia. Avranno una piccola tenda personale che sarà montata dalla mia organizzazione, molto distanziata dalle altre. In realtà, saranno sempre seguiti a vista, ma nessun componente dell’organizzazione può parlare con i futuri esploratori. Non ci sono tende in comune con altri futuri esploratori. Dalla sera prima della partenza fino alla sera dopo l’arrivo, tutti i futuri esploratori saranno in una fase che definisco di “trasformazione personale”. Il giorno del risveglio sarà esattamente al CENTRO del Rub Al Khali, nel punto esatto della CALDERAN LINE…e da quel momento saranno certificati esploratori! Continueremo poi i giorni successivi in assoluta libertà di condividere parlare, confrontarsi con tutte le persone presenti. D: Vivere 8 giorni senza connessione, circondati solo dal silenzio, dalla sabbia e dalla propria voce interiore… Che tipo di trasformazione emotiva e personale hai visto – o immagini di vedere – nascere in chi deciderà di seguirti in questa avventura? R: Bisogna prima di tutto essere capaci di immaginare cosa è il Rub Al Khali perché, per quanti deserti tu possa vedere nella vita, al centro si è veramente immersi, come una in una piccola scialuppa circondata da un oceano devastante di sabbia. Immaginate di essere al centro di un territorio circondati da Francia, Belgio e Paesi Bassi tutti insieme, senza costruzioni, alberi, strade ma solo sabbia… Non funzionano i telefoni, non c'è connessione internet, non passano aerei sopra perché è una no fly zone, è raro trovare qualche forma di vita classica di questi luoghi . Funzionano solo GPS e telefoni satellitari - non sempre in caso di tempeste di sabbia. La totale privazione da dispositivi elettronici fa sì che non ci siano interferenze di nessun tipo con quelle che sono le frequenze del nostro metabolismo, della nostra energia, delle cariche elettriche che fluttuano in noi a livello cerebrale e muscolare ed è chiaro che si ristabilisce un equilibrio profondo e invisibile dentro l’individuo. Una sorta di purificazione che non passa attraverso l'utilizzo di integratori o metodi o soluzioni da social. Passa attraverso l'utilizzo della privazione e la privazione principale è quella che chi comanda non è nient'altro che le vibranti energie che sono presenti da milioni di anni in un terreno in contaminato. In qualche modo si rinasce un'altra volta. D: Ai partecipanti consegnerai un attestato che conferisce il titolo di “Esploratore”. Che valore dà, per te, questa parola? È un riconoscimento, una responsabilità, o forse un richiamo a un modo più autentico di stare al mondo? R: Rilascerò di un certificato in cui verrà scritto: “Laurea in Esplorazione presso la facoltà Rub Al Khali in Arabia Saudita”. È un riconoscimento che ho voluto creare come unico al mondo, perché, in una realtà fatta di etichette e titoli, questo certificato di esploratore riconduce a quello che in realtà dovrebbe essere la prima laurea da ottenere nel corso di questo percorso di vita e cioè non smettere mai di essere curiosi, affrontare nuove sfide, anche non sapendo fino alla fine dove ci porteranno, essere capaci di accogliere qualunque tipo di cambiamento sopraggiunga all'improvviso all'interno dei nostri pensieri e, conseguentemente, delle nostre azioni. Vivere un'esperienza come la EQRun Exploration significa accogliere nuove emozioni che ci accompagneranno per tutta la vita. D: Il tuo prossimo progetto, la Green Sand Line, mira a far fiorire una linea verde nel deserto, in armonia con la Saudi Green Initiative. In che modo l’esplorazione estrema – la tua, così radicale – può diventare un messaggio di rinascita, un ponte tra la sabbia e il futuro, tra l’avventura e una nuova cultura ambientale? R: Il progetto The Green Sand Line nasce originariamente dall’idea di creare la Green Calderan Line. Ha un obiettivo preciso, maturato in questi ultimi anni. Visionario? Sì, assolutamente lo è! Sviluppare, promuovere nuove e uniche esperienze in cui le nuove tecnologie seguono e non sostituiscono i cicli e i tempi della natura, al fine di migliorare il benessere, la salute, le relazioni interpersonali e interculturali. Cosa c’è di più bello di sognare di costruire un futuro che valorizza e protegge l’origine naturale dell’essere umano, le sue innate capacità di provare emozioni vere e reali, non interferite da condizionamenti tecnologici che devono rimanere di esclusiva scelta decisionale del singolo individuo? Allora sogniamolo e facciamolo in grande! Questa è la mia prossima sfida. The Green Calderan Line è una nuova esplorazione, senza inizio e senza fine, legata alla trasformazione rapida di un mondo che viaggia a velocità doppia rispetto ai nostri ritmi naturali. Dobbiamo recuperare energie e potenzialità trascurate dalle troppe comodità e utilizzare la tecnologia come un timone, consapevolmente in mano nostra, per renderci migliori, più forti, più liberi di creare spazi non condizionati guidando la nostra esistenza verso la direzione che noi desideriamo e non verso un orizzonte creato artificialmente. L’Amore per la nostra vita, proiettata verso le future generazioni e la natura che ci ha reso vivi è parte della Green Calderan Line.

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L’uomo che ha attraversato l’impossibile vuole far fiorire il deserto

Daniele Moretti