Free speech e censura: Trump ha un problema con il primo emendamento?

Negli Stati Uniti si definiscono highbrow supremacists quei suprematisti bianchi che fondano le loro tesi su presunte basi scientifiche. Sono sostenitori del così detto «realismo razziale», quella teoria che considera le differenze tra le razze non come un costrutto sociologico arbitrario, ma come una verità biologica ineludibile. Si tratta di tesi, giova dirlo, più volte smentite. In genere queste persone sono molto diverse da come ve le potreste aspettare: giacca di tweed, aspetto distinto, buone letture. Highbrow si potrebbe tradurre con «fronte alta»: razzisti intellettuali, insomma. Al di là delle apparenze, tuttavia, le loro tesi sono quello che sono, ed è questo il motivo per cui, all'inizio degli anni Duemila, gli highbrow supremacists faticavano a trovare sale disponibili per le loro conferenze. La maggior parte degli hotel e dei convention center, infatti, si rifiutava di affittarle non appena veniva chiarito il tema oggetto dell'appuntamento. Gli organizzatori risolsero la cosa in un modo che in Italia potrebbe risultare controintuitivo: affittarono sale pubbliche. Se i privati erano liberi di gestire i loro edifici come meglio credevano, infatti, gli enti pubblici erano tenuti a concedere le sale - ove disponibili - in ossequio alla libertà di parola tutelata dal Primo Emendamento. Negli Stati Uniti il free speech è oggetto di garanzie particolarmente robuste, almeno fino a oggi. L'hate speech è free speech: anche il discorso d'odio è protetto dalla libertà d'espressione. Non lo dico io, lo pensava Charlie Kirk ed è l'orientamento della Corte Suprema da decenni. Nel caso Brandeburg contro Ohio i giudici hanno stabilito che la copertura del Primo Emendamento viene meno solo se le parole sotto accusa sono finalizzate a incitare o produrre un’azione imminente di natura illecita e sono idonee a provocarla. La Corte ha stabilito che persino la difesa o l’apologia dell’uso della violenza sono tutelate dal free speech. Vietato vietare, dunque. Si può essere d'accordo o meno. Nel 2015 Dylann Roof uccise nove afroamericani in una chiesa di Charleston, in South Carolina. Sembra che a ispirarlo furono anche alcuni articoli di Jared Taylor, noto highbrow supremacist. Nel 1944 il giudice Felix Frankfurter scrisse: "Una delle prerogative della cittadinanza americana è il diritto di criticare uomini e misure pubbliche, e ciò significa non solo una critica informata e responsabile, ma anche la libertà di parlare in modo sciocco e senza moderazione". L'americanista Arnaldo Testi ha riportato a galla la citazione di Frankfurter in questi ultimi giorni e in modo molto opportuno, visto l'andamento del dibattito in corso. La ABC ha deciso di sospendere a tempo indefinito il programma di Jimmy Kimmel, colpevole di avere parlato dell'omicidio Kirk affermando che i trumpiani stanno "disperatamente cercando di far passare chi ha ucciso Charlie Kirk per qualcosa di diverso da uno di loro". Lasciando intendere che il presunto killer di Kirk sia un esponente della destra, questa frase risulta quanto meno imprecisa, visto che le reali intenzioni di Tyler Robinson risultano ancora piuttosto misteriose. Come ha scritto Adam Serwer sull'Atlantic, "sebbene [Kimmel] sia un comico e non un giornalista, sarebbe stato opportuno che si scusasse con i suoi spettatori e correggesse il resoconto". Kimmel non ne ha avuto il tempo, tuttavia, e lo stesso Serwer definisce quanto accaduto "repressione di Stato". La sentenza della Corte Suprema che ci soccorre, in questo caso, è la New York Times Co. contro Sullivan del 1964, dove i giudici scrissero: "La teoria della nostra Costituzione è che ogni cittadino può esprimere la propria opinione e ogni giornale può esprimere la propria opinione su questioni di interesse pubblico, e non può essere impedito di parlare o pubblicare perché coloro che hanno il controllo del governo ritengono che ciò che viene detto o scritto sia insensato, ingiusto, falso o malevolo". Commentando le dichiarazioni di Kimmel, il capo della Federal Communications Commission Brendan Carr ha sostanzialmente minacciato la ABC, affermando che se l'azienda non avesse preso provvedimento ci avrebbe pensato lui. Carr, nominato da Trump, è lo stesso che nel 2023 scrisse su X: "La censura è il sogno dei dittatori". Aperta parentesi. La ABC si è mossa in maniera rapida e ossequiosa, come ultimamente hanno fatto altre importanti aziende americane: mentre avvocati, giudici, intellettuali, professori e attivisti si ribellano alle decisioni di questa Amministrazione, in questo momento manager e imprese sembrano particolarmente inclini all’obbedienza. Barack Obama, che pure in passato criticò gli eccessi della cultura woke, ha definito quanto accaduto a Kimmel “il tipo di coercizione governativa che il Primo Emendamento è stato progettato per prevenire – e le aziende dei media devono iniziare a opporsi piuttosto che capitolare”. Chiusa parentesi. Per tutelare la memoria di uno strenuo difensore del free speech, Charlie Kirk, gli esponenti politici a lui più vicini stanno sopprimendo il free speech. La logica è piuttosto zoppicante, anche se su un canale Telegram legato ai Proud Boys ho letto il post di un utente che riteneva opportuno "usare le tattiche della sinistra contro la sinistra, senza farsi legare le mani da questioni di onore o di principio". È arrivato il momento del disclaimer. La morte di Charlie Kirk è riprovevole, tragica, orrenda e ingiustificabile. Come ha fatto notare in questi giorni l’ex Governatore repubblicano della California Arnold Schwarzenegger è terribile pensare che i due figli di Kirk saranno costretti a leggere informazioni sul padre nei libri, invece di potersi far leggere libri dal padre, come dovrebbe essere. L'omicidio di Kirk non può essere in alcun modo giustificato, e questo è talmente ovvio che non ci sarebbe neppure bisogno di dirlo. Viviamo in un'epoca, tuttavia, in cui l'ovvio tanto ovvio non è mai. Il caos dialettico di questi giorni dipende anche dall'errore di voler affrontare problemi contemporanei con metodi antiquati. Prima di chiederci cosa è giusto e cosa è sbagliato, dovrebbe chiederci cosa è vero e cosa non lo è: stabilire i contorni della realtà prima di prenderla di petto. "Ho afferrato il problema" è un modo di dire piuttosto diffuso. Ecco, qui si rischia di afferrare una nuvola di fumo. Il dibattito sulla morte di Charlie Kirk soffre il fatto che in molti, soprattutto in Italia, ignorano chi fosse la vittima e cosa concretamente facesse. Non era solo un attivista, e certo non era un "ideologo trumpiano". Era sostanzialmente un performer, come l'ha definito il giornalista Michael Wolff, una vetrina MAGA in carne ed ossa, un sostenitore del movimento particolarmente abile nel diffonderne le convinzioni attraverso il metodo del dibattito. Il dibattito, appunto. Negli Stati Uniti è qualcosa di molto diverso da come in genere lo intendiamo in Europa. In America il dibattito è materia di insegnamento scolastico, e quando un professore organizza un dibattito decide il tema e divide la classe in due squadre, quella a favore della tesi al centro della discussione e quella contro. In genere gli studenti non possono decidere in che squadra stare, ma devono difendere la posizione che gli è stata assegnata a prescindere dalle loro convinzioni personali. Questo approccio consente agli studenti di allargare i propri orizzonti, costringendoli ad esaminare le ragioni di chi non la pensa come loro, ma finisce per allontanare la discussione dal suo oggetto concreto, trasformandola in una sfida tutta tecnica in cui non vince chi ha ragione, ma chi riesce a ottenerla. Il testo di riferimento, diciamo così, è un libro di Ben Lerner del 2019, "Topeka School": uno dei personaggi del romanzo, Adam, è un campione di dibattito in una scuola del Kansas, in pieno Midwest. Nel libro è molto evidente come nel dibattito competitivo il linguaggio venga privato del suo rapporto con la realtà, risultando in ultimo completamente scollegato dal contenuto e dal destinatario, e dunque dalla verità. Lerner descrive dibattiti caratterizzati da una violenza metaforica ma inaudita, in cui ogni squadra non cerca tanto di convincere l’altra, quanto di demolirla . C'è un passaggio illuminante in cui, nel bel mezzo di una sfida, "Adam non sa assolutamente se ciò che ha appena detto è vero". Non lo sa perché non importa. Tutto dipende dalla tecnica: "Chi pratica il dibattito a livello agonistico passa ore a fare esercizi di velocità: leggendo con una penna fra i denti, ad esempio, il che costringe la lingua a sforzarsi di più, la bocca a pronunciare con più enfasi; ci si allena a leggere le prove al contrario in modo da sganciare l’atto fisico dell’enunciazione delle parole dallo sforzo di comprenderle, che fa rallentare". L'obiettivo è vincere, non capire, dunque bisogna rinunciare alla complessità in favore della semplicità tetragona del meglio che colpisce e abbatte il nemico. "In una scuola pubblica chiusa al pubblico, con indosso un completo che lo faceva sentire in maschera, mentre fingeva di ragionare su una serie di strategie politiche, Adam viveva, sia pure per pochi attimi, un’esperienza di prosodia". Teatro, dunque. È per questo che Kirk era un performer. I suoi dibattiti erano organizzati alla perfezione, anche dal punto di vista della scenografia e della tecnica comunicativa: Kirk era quasi sempre seduto, per esempio, mentre i suoi interlocutori quasi sempre in piedi. Attenzione, questo non ci autorizza a dire che Charlie Kirk non fosse convinto delle tesi che sosteneva , ma solo che si tratta di una circostanza a questo punto non del tutto rilevante. Quando ascoltavo Kirk, così come quando ho letto il libro di Lerner, ripensavo spesso a una frase attribuita al senatore Moynihan: "Tutti hanno il diritto di avere le proprie opinioni, nessuno ha il diritto di avere i propri fatti". Oggi la storia dell'America si gioca sul confine tra fatti e invenzioni, tra realtà e irrealtà, confine molto più labile di quanto si pensi. "L'America è un'adolescenza senza fine", ha scritto Lerner nella mia citazione preferita di Topeka School. Ecco: superare l'adolescenza è quasi impossibile se non si fanno i conti con la realtà.

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Federico Leoni