Francia, il Parlamento ha già staccato la spina al Governo?

Si complicano ancora le già complicatissime cose della politica francese. Il prossimo 8 settembre il presidente del Consiglio Francese François Bayrou sottoporrà il suo esecutivo al voto di fiducia del Parlamento e lo farà prima che si avvii la discussione sulla legge di bilancio 2026. Questo perché Bayrou è perfettamente consapevole di due cose: la prima è che il suo esecutivo si regge sui voti di una compagine raccogliticcia, litigiosa ed espressione di partiti straordinariamente impopolari. La seconda è il fatto che la legge di bilancio che nelle prossime settimane dovrà essere discussa e approvata dall’aula rischia di essere la più draconiana e impopolare di sempre. Più di quella, per altro già invisa ai più, approvata per il 2025. La ragione per cui Bayrou sente di dover verificare, prima di qualunque successiva azione legislativa, la presenza o meno di una maggioranza in aula, sta nel fatto che la situazione economica del Paese è pessima e, dunque, per gestirla saranno necessarie misure economiche gravi e impopolari. Misure che, probabilmente, nessuna delle compagini politiche presenti in parlamento, vorrà intestarsi. Quindi, ha pensato Bayrou, tanto vale sapere prima chi ci sta o no. E con ogni probabilità non ci starà nessuno, o quasi, e il governo cadrà. Comunisti, Verdi, France Insoumise, Rassemblement National e Repubblicani hanno già annunciato il loro no e, con questo, di fatto staccato la spina al governo . A quel punto, la palla passerà al Presidente della Repubblica, l’impopolarissimo Emmanuel Macron, cui toccherà il compito di decidere se tentare la strada di un terzo esecutivo in due anni o, cosa molto più probabile, sciogliere di nuovo le camere e andare al voto, convocando elezioni che, con una buona dose di probabilità, saranno vinte dal Rassemblement National di Marine Le Pen. In ogni caso, alla base della scommessa spericolata di Bayrou c’è la convinzione che qualunque situazione sia preferibile a questa costante e continua incertezza e all’esasperante equilibrismo cui è costretto da mesi il suo governo. Per capire quanto siano agitate le acque in cui naviga la botticella del governo Bayrou, e in cui navigherà qualunque altro governo dovesse succedergli, espressione di qualunque altro, ipotetico, Parlamento, occorre ricordare che negli ultimi mesi i conti francesi si sono completamente sfasciati e che il livello di debito pubblico è diventato così alto da rendere tutt’altro che improbabile l’intervento del Fondo Monetario Internazionale, sul modello di quanto successo, appena 15 anni fa, con la Grecia. Solo che la Francia non è la Grecia e la magnitudo di una crisi francese potrebbe essere molto più elevata di quella verificatasi ai tempi della crisi greca. Alla base dello sconquasso dei conti francesi c’è l’incrociarsi di due elementi, diversi ma egualmente pessimi. Il primo è l’enorme spesa pubblica del Paese, appesantita da un sistema previdenziale che per decenni è stato completamente irrazionale e foriero di spese fuori controllo e privilegi mascherati da diritti. Un sistema insostenibile che, solo di recente, la riforma di Emmanuel Macron è riuscita a razionalizzare, anche se solo in parte e solo con enorme ritardo. L’altro elemento alla base della crisi francese è stato il fallimento della scommessa della Macronomics, la formula economica con cui Emmanuel Macron avrebbe voluto governare il Paese. Appena insediato, infatti, Macron, decise di modificare la Impôt sur la fortune, ossia la patrimoniale francese, che colpiva i grandi patrimoni. Nel disegno di Macron l’imposta non è stata abolita, ma limitata solo ai grandi patrimoni immobiliari lasciando invece in pace i grandi patrimoni finanziari. Alla base di questa decisione di Macron c’era l’assunto che alleggerendo il carico fiscale sui grandi capitali e i grandi patrimoni, questi sarebbero stati investiti e spesi e avrebbero, a loro volta, generato nuova ricchezza, dato vita a nuove imprese e posti di lavoro. L’idea non era un’invenzione di Macron, ma si reggeva sui dettami della trickle-down economy, l’economia dello sgocciolamento, ossia quella che si regge sulla convinzione che rendendo più forti i grandi capitali, questi inevitabilmente ‘sgoccioleranno’ e ricadranno su tutti. L’esperimento di Macron, per quanto ardito, non era fuori fuoco. Anzi: aveva le carte in regola per funzionare. Ma non lo ha fatto. Anzi: ha rotto tutto. Questo perché, proprio nel momento in cui i tagli fiscali di Macron avrebbero dovuto dare i loro risultati in termini di occupazione e investimenti, è arrivato il Covid e il Paese si è ritrovato a gestire un periodo di enorme spesa pubblica esattamente nel momento in cui le sue entrate fiscali complessive diminuivano. Questo ha creato una specie di apertura a forbice tra entrate e uscite pubbliche e generato il poderoso ricorso al debito pubblico degli ultimi mesi. Un debito pubblico che oggi appare fuori controllo e che, come ha detto Bayrou stesso, costerà al Paese più di scuola e difesa: “La spesa per il debito - ha detto Bayrou nel corso della conferenza stampa con la quale annunciava la richiesta del voto di fiducia - diventerà quest’anno stesso la voce di bilancio più importante del Paese. Le rate che dobbiamo rimborsare saranno più pesanti del bilancio dell’Istruzione nazionale e di quello delle Forze armate. L’anno scorso erano 60 miliardi. Quest’anno saranno 66 miliardi. L’anno prossimo, nel 2026, nel caso migliore saranno 75 miliardi”. Una situazione difficile, al limite dell’ingovernabile. Anche perché, in questo momento, la politica francese non è in grado di governarla.

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Luciana Grosso