Droni, dati e Ia: cosa rischiano i migranti con le frontiere digitali

L’Unione europea ha presentato il prossimo bilancio per il settennato 2028-2034 e ha triplicato il budget a disposizione alla voce “Migrazioni”, che si troverà in cassa circa 81 miliardi di euro. Nell’annuncio la Commissione ha spiegato, pur con brevi accenni, che tra gli scopi del nuovo fondo c’è la “completa digitalizzazione della gestione dei controlli alle frontiere”. In particolare, si tratterebbe di “dotare di equipaggi migliori le guardie di frontiera” e di finanziare le agenzie preposte. Quasi 4 miliardi di euro andranno, infatti, all’ufficio comunitario per la gestione operativa dei sistemi tecnologici su larga scala. Lungo i confini europei, in realtà, già da anni la polizia impiega tecnologie per monitorare i flussi e impedire accessi non autorizzati a persone migranti. Utilizza droni, dati biometrici, satelliti e persino gemelli digitali delle frontiere generati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Nel tempo, però, gli stessi strumenti sarebbero stati impiegati anche per compiere respingimenti informali o violenze, da parte della polizia di frontiera, ai danni dei migranti. È la denuncia di No Name Kitchen, organizzazione di volontariato attiva sulla rotta balcanica e mediterranea, che solo negli ultimi 4 mesi ha documentato come 13 persone tra i Balcani e la frontiera franco-italiana avrebbero subito pushback o violenze anche grazie all’impiego di tecnologie digitali. “Con la digitalizzazione – premette a Sky tg24 Insider Esme Smithson, specialista per la ong di border violence e impiego degli strumenti digitali per il controllo delle frontiere – aumenta semplicemente la precisione con cui le forze dell’ordine riescono a localizzare e riconoscere le persone. Ma quello che le polizie fanno dopo, che può essere anche incredibilmente violento e in contrasto con i diritti umani, è un altro discorso”. Avere occhi ovunque: i droni “Avere occhi ovunque e guardare dove nessuno guarda”. Questi, secondo Esme Smithson, sarebbero i primi obiettivi delle tecnologie impiegate nel controllo delle frontiere. E, per raggiungerli, servono i droni. Quelli adottati dalla polizia di confine in Europa sono principalmente di due tipi: i tradizionali, utili a scandagliare le aree di pattugliamento, e i termici, necessari a rilevare la presenza di persone migranti. “Spesso, dai racconti e dai video che girano, sappiamo che molti scorgono un drone volare sulla propria testa – spiega Smithson – e, solo pochi minuti dopo, vedono arrivare la polizia per il respingimento. Testimoniano che solo le telecamere in volo potrebbero intercettarli quando marciano nelle foreste più fitte, ma questo non siamo in grado di accertarlo. È possibile anche che la polizia non impieghi sistematicamente i droni per intercettare le persone”. In alcuni tratti di frontiera, però, la ong denuncia l’abbattimento volontario di migliaia di alberi per favorire il controllo aereo. È il caso di una foresta, al confine tra Croazia e Bosnia, che sarebbe stata diradata su una dorsale lunga 500 metri allo scopo di semplificare il pattugliamento con i droni. “Moltissimi sorvolano questa striscia di terra – puntualizza la specialista di No Name Kitchen – e intercettano facilmente un gran numero di persone migranti che, talvolta, subiscono violenze”. Impronte e dati biometrici Per la gestione delle richieste di asilo, l’Unione europea si è dotata dell’Eurodac, un database che memorizza le impronte delle persone che fanno richiesta di protezione internazionale o che entrano irregolarmente nei territori degli Stati membri. A popolare il sistema con i dati di chi migra è il primo Paese di arrivo. “Facciamo un esempio – commenta Smithson – Se chiedi asilo in Bulgaria, sarà la Bulgaria a prenderti le impronte. Dopodiché, se in seguito continui il viaggio in un altro Paese, dovrai essere espulso nuovamente in Bulgaria. Ecco perché molti cercano di aggirare i primi controlli bruciandosi i polpastrelli o applicando della colla sulle dita, per evitare che le impronte restino nel database”. Per aggirare queste condotte, perciò, lo scorso anno alcune forze di polizia europee si sono dotate di strumenti di riconoscimento facciale, che No Name Kitchen denuncia ancora come “imperfetti”. “Al confine tra Ungheria e Serbia – continua Smithson – le persone respinte vengono spesso portate in un centro di detenzione temporanea chiuso sul lato ungherese. La polizia, in quel luogo, le fotografa da diverse angolazioni presumibilmente per facilitare il riconoscimento facciale, ma è un sistema non perfetto. In questo modo anche persone che hanno in mano permessi di soggiorno regolari possono essere respinte. È successo al confine tra Italia e Francia. Superata di qualche chilometro Ventimiglia, la polizia, in diversi casi accertati, ha insistito sul fatto che i migranti non avessero i documenti, ma non sappiamo se si trattasse di una decisione arbitraria da parte delle forze dell’ordine o di qualcosa che è andato male al momento del riconoscimento facciale”. Gemelli digitali, satelliti e Ia Da anni Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, collabora con il programma comunitario Copernicus per ottenere informazioni sui confini dai satelliti in orbita terrestre. I dati satellitari vengono trasformati dall’agenzia in modelli numerici in grado di fornire informazioni tempestive alle forze dell’ordine. Permettendo, cioè, di localizzare molto rapidamente le persone che raggiungono l’Europa sia via mare sia via terra. Di recente, però, i dati forniti da Copernicus sono stati impiegati anche per la costruzione di gemelli digitali delle frontiere. Si tratta, di fatto, di riproduzioni virtuali dei confini che replicano, anche con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, le condizioni del mondo reale, permettendo alle forze dell’ordine di effettuare simulazioni. Rive dei fiumi, foreste o montagne: grazie ai dati dei satelliti, i modelli di Copernicus possono riprodurre ogni dettaglio degli ambienti di frontiera. Simulano la formazione del ghiaccio, la rigogliosità della vegetazione e la profondità dei fiumi nelle varie stagioni. Tutto – lo specifica esplicitamente il programma – serve a “valutare la permeabilità dei confini”. Secondo No Name Kitchen, un controllo tanto pervasivo “è estremamente pericoloso”, specialmente se realizzato tramite satelliti e Gps. “Molti testimoni ci raccontano di tenere il telefono in modalità aereo perché sono convinti che la polizia possa tracciare i loro segnali telefonici – conclude Smithson – Non sappiamo se è così, ma sono sempre più frequenti i casi in cui, dopo aver riacceso il cellulare, le persone migranti vedono comparire il drone della guardia di frontiera”.

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Andrea Ceredani