Stato di Palestina, come nasce l'appello degli ambasciatori a Meloni

Da 34 a 51 firmatari in 24 ore, con migliaia di semplici cittadini a sottoscrivere l’appello sulla piattaforma Change.org. Fa discutere la lettera aperta datata 27 luglio rivolta da diplomatici non più in servizio alla premier Giorgia Meloni affinché anche l’Italia, dopo l’annuncio francese di venerdì scorso, riconosca lo Stato di Palestina. Tra i promotori l’Ambasciatore Pasquale Ferrara, fino al primo luglio Direttore generale per gli Affari politici e la Sicurezza alla Farnesina e ora docente di Diplomazia e Negoziato all’Università Luiss Guido Carli. Ambasciatore, perché questa iniziativa arriva adesso o, meglio, perché soltanto adesso? Ci sono diverse motivazioni dietro a questa lettera. La prima è di natura etica. Dopo tanti anni di carriera nel difendere il diritto internazionale non ce la siamo sentita di rimanere inermi di fronte agli orrori di Gaza, che coinvolgono donne, bambini e malati e abbiamo deciso di far sentire forte e chiara la nostra voce. Una seconda motivazione è puramente diplomatica: ci siamo resi conto che tutte le dichiarazioni riguardanti l’accesso umanitario a Gaza e il miglioramento delle condizioni dei civili palestinesi nella Striscia non sono state accolte, se non in modo molto superficiale e temporaneo, dalle autorità, soprattutto da quelle militari israeliane. Per questo abbiamo ritenuto di suggerire alcune misure concrete, come la sospensione dei nostri rapporti di natura militare nella difesa in modo totale con Israele e il sanzionare, insieme con l’Ue, dei ministri israeliani che sono stati in prima linea nel negare la soluzione a due Stati e che hanno difeso gli insediamenti illegali e i coloni violenti. Un’altra misura, che è allo studio dell’Unione europea e su cui c’è già stato un passaggio nel Consiglio dei ministri, è quella di sospendere temporaneamente l’accordo di associazione Ue-Israele, fino a quando quest’ultimo non avrà dato maggiori segnali di rispetto dei diritti umani, che è uno dei punti fondamentali di questo accordo. Infine, naturalmente, c’è il riconoscimento dello Stato di Palestina: sebbene non sia risolutivo, credo che sia importante rimettere sul tavolo la soluzione a due Stati, soprattutto in un momento in cui in Israele si guarda all’annessione di una larga parte della Cisgiordania e alcuni coloni rivendicano il diritto di rioccupare totalmente Gaza. In un passaggio della lettera scrivete: “Gli esecrabili attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 non hanno più alcuna relazione né quantitativa né qualitativa con l’orrore perpetrato nella Striscia”. Israele dice invece che qualsiasi riconoscimento dello Stato di Palestina è un favore, un regalo ad Hamas. In che modo non è così secondo voi? Partiamo dal presupposto che noi ovviamente sosteniamo il diritto all’autodifesa di Israele, ma quello che sta succedendo nella Striscia in questo momento non ha nulla a che vedere con l’autodifesa. Si tratta di operazioni militari il cui scopo non è chiaro, ormai da molti mesi. E soprattutto non si riesce a capire quale possa essere lo sbocco di questa iniziativa militare. Dal punto di vista del riconoscimento dello Stato di Palestina, poi, noi stiamo facendo riferimento all’Autorità nazionale palestinese, non ad Hamas. Mi pare che si faccia grande confusione su questo punto, mentre si tratta di due cose distinte. Hamas non ha nulla a che vedere con l’Autorità nazionale palestinese, che è il legittimo rappresentante del popolo palestinese, anche dal punto di vista negoziale e del diritto internazionale, se vogliamo tornare indietro fino agli accordi di Oslo. Hamas non riconosce Israele, a differenza dei palestinesi: nel 1993 l’OLP – allora non c’era ancora l’Autorità nazionale palestinese – riconobbe il diritto di Israele di vivere in pace e sicurezza, con una dichiarazione di riconoscimento firmata da Yasser Arafat. Adesso è Israele che dovrebbe consentire la creazione di uno Stato palestinese e riconoscerlo. Nella vostra iniziativa ha avuto un impatto la decisione del Presidente francese Emmanuel Macron di riconoscere, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di settembre, lo Stato di Palestina? Alcuni hanno sollevato questa questione come se avessimo voluto imitare l'iniziativa francese, ma noi non vogliamo emulare nessuno: vogliamo che l'Italia faccia l’Italia. Il nostro Paese è nel Mediterraneo e ha un rapporto storico con Israele, che vorremmo migliorasse, ma tra ‘amici’ bisogna anche dirsi quando le cose non vanno per il verso giusto. Al tempo stesso abbiamo un grande patrimonio di credibilità con tutto il mondo arabo e dovremmo utilizzare queste due leve per cercare di portare un contributo fattivo. L’Italia quindi ha una sua dimensione di politica estera mediterranea che non è tributaria a nessun altro Stato. Perché, secondo lei, l’Italia non ha ancora riconosciuto lo Stato palestinese? In che modo farlo non aiuterebbe o peggiorerebbe la situazione? Il riconoscimento formale non creerebbe uno Stato palestinese nell’immediato, ma sicuramente aiuterebbe il processo negoziale. In questo momento sembra prevalere l’idea che ci possa essere una soluzione militare, come sostengono alcuni esponenti della destra estrema israeliana, per questo è importante rimettere in gioco una prospettiva politica. Inoltre, lo Stato palestinese non è stato riconosciuto anche a causa delle divisioni interne all’Unione europea. Alcuni Paesi lo hanno fatto e non è successo nulla di drammatico, né si sono interrotte le relazioni diplomatiche con Israele. Un governo deve valutare quand’è il momento opportuno: ci rendiamo conto che ci sono anche motivazioni di politica interna, che non vogliamo sottacere e che riconosciamo. Però talvolta le linee rosse superate sono talmente tante e talmente gravi che queste considerazioni passano in secondo piano.

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Liliana Faccioli Pintozzi