“Costruttori di Pace”: ucraini, russi e bielorussi contro la guerra

C’è un filo sottile, fatto di coraggio civile, che lega tre Paesi divisi da fronti opposti della guerra in Ucraina: un filo che unisce Kiev, Mosca e Minsk. È il filo della pace, intesa non come resa o compromesso, ma come riscatto, giustizia, libertà. A tenderlo sono tre figure simboliche della resistenza civile e dei diritti umani: Oleg Orlov, Oleksandra Romantsova, Leanid Sudalenka. Sono i rappresentanti delle tre organizzazioni insignite nel 2022 del Premio Nobel per la Pace: Memorial il Centro per le Libertà Civili e Viasna . Li ho incontrati a Roma a margine della presentazione della campagna internazionale People First, proposta e sostenuta da più di quaranta associazioni ucraine, russe e internazionali, per richiedere di inserire al tavolo delle trattative di pace tra Russia e Ucraina la questione della liberazione di tutte le persone incarcerate o deportate dopo il 24 febbraio 2022. Tutti e tre sanno bene cosa significhi rischiare – o perdere – la libertà per le proprie idee. Orlov e Sudalenka sono stati incarcerati nei rispettivi Paesi. Oleg Orlov è stato scarcerato nell’agosto 2024, nell’ambito di uno storico scambio di prigionieri tra Russia e Ucraina. Eppure, nessuno di loro chiede vendetta. Tutti parlano di giustizia. Di memoria. E di pace. Ma non una pace qualsiasi. Una pace che metta al centro le persone. Ucraina: pace è sicurezza, libertà, autodeterminazione “La pace per noi non significa solo che tacciano i cannoni. Significa che la gente possa stare nelle proprie case, sentirsi al sicuro, vivere in libertà.” A parlare è Oleksandra Romantsova, direttrice del Centro per le Libertà Civili di Kiev. Incontrandola, colpisce l’energia calma con cui difende una posizione intransigente: nessuna pace sarà possibile finché l’Ucraina sarà occupata e i suoi cittadini privati dei diritti. Romantsova ricorda che dal 2014 alcuni territori ucraini sono sotto controllo russo: “L’occupazione non dà sicurezza, né garantisce diritti. Lo vediamo ogni giorno nei territori occupati. La vera pace è quella che permette agli ucraini di costruire uno Stato democratico, con lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti umani.” La direttrice cita anche un volto, un nome, quello di Maksym Butkevych, attivista per i diritti umani, poi volontario in guerra, catturato dai russi e rimasto per due anni e mezzo in prigionia. Ha scelto di combattere perché sapeva che senza libertà non si possono difendere i diritti. Senza uno spazio democratico, non puoi fare attivismo: finisci in carcere, in uno scantinato, o sparisci. Per Romantsova, la pace è anche un tema regionale. “Per noi la democrazia in Ucraina deve includere la possibilità di democrazia anche in Bielorussia e in Russia. Questi resteranno i nostri vicini. La pace si costruisce insieme o non è pace”. Russia, la pace? Solo dopo Putin Oleg Orlov è co-fondatore di Memorial, la storica organizzazione per i diritti umani messa fuori legge dal Cremlino. Fin dagli anni ’80 si batte per il ricordo e la giustizia per le vittime dei gulag e della repressione politica sovietica. Oggi, continua il suo instancabile lavoro di attivista e ricercatore, vigilando sugli abusi commessi dalle forze armate russe e denunciando le violazioni e repressioni dei diritti civili. È stato condannato per aver "screditato l’esercito russo" e imprigionato fino all’agosto 2024, quando è stato liberato in uno scambio tra Mosca e Kiev. Di Orlov colpisce la pacata fermezza con cui porta avanti una denuncia netta e coraggiosa: “Una vera pace sarà possibile solo dopo la fine del regime di Putin”. Per lui, qualsiasi trattativa oggi è condannata alla precarietà: “Finché questa guerra verrà presentata ai russi come una difesa eroica contro l’Occidente, non ci sarà pace. Solo quando la maggioranza capirà la verità, sarà possibile una riconciliazione”. Eppure, Orlov distingue due piani: una pace vera e un cessate il fuoco. Il secondo, dice, è possibile, anche se fragile: “Un cessate il fuoco richiede solo la volontà politica. E comporterebbe già alcuni atti concreti: liberazione di prigionieri di guerra, scambio di ostaggi, rilascio dei civili deportati, e dei prigionieri politici”. Per arrivare a una pace stabile, però, i punti sono chiari: de-occupazione dei territori ucraini, garanzie di sicurezza, compensazioni per i danni, riconoscimento delle responsabilità, punizione dei colpevoli. “Nulla di questo è oggi pensabile. - mi dice - Il regime di Putin non è pronto. E anche un cessate il fuoco, se non accompagnato da vere garanzie, può esplodere in una nuova aggressione — non solo all’Ucraina, ma all’Europa intera.” Bielorussia, la pace comincia con la liberazione dei prigionieri politici Leanid Sudalenka parla con la voce ferma e consapevole di chi ha vissuto la repressione sulla propria pelle. Avvocato per i diritti umani e membro dell’associazione Viasna, è stato arrestato nel 2021 per la sua attività a favore delle vittime delle proteste contro Lukashenko e rilasciato tre anni dopo. La sua missione oggi assume ancora più valore, perché rivolta a coloro che stanno attraversando l’inferno dal quale lui è uscito. “La nostra priorità è una sola: liberare i prigionieri politici, anche prima di un cessate il fuoco”. Sudalenka lancia un messaggio semplice, ma radicale: “La pace è possibile solo se parte dalle persone. Non si può trattare ignorando chi ha perso tutto per aver detto no alla guerra”. Il riferimento è sia ai dissidenti russi e bielorussi incarcerati, sia agli ucraini deportati nei territori occupati. Le tre visioni della pace, dal punto di vista ucraino, russo e bielorusso convergono su un principio irrinunciabile: “Non si può aspettare la fine dei combattimenti per chiedere giustizia. La libertà di queste persone è una condizione minima, preliminare. Senza di loro, la pace sarebbe una menzogna.” Tre Paesi, una sola visione: mettere le persone prima della politica Dalla testimonianza di questi tre attivisti, emerge una visione della pace che non ha nulla di vago o retorico. Al contrario: è una pace concreta, fondata sui diritti, sulla memoria e sulla giustizia. Una pace che nasce dal basso, dalla società civile, da chi ha messo a rischio la propria vita e la propria libertà per difendere i valori democratici. Per questo parlano con una sola voce, pur venendo da Paesi diversi, e spesso ostili tra loro. Per questo si riconoscono come alleati morali, costruttori di un futuro possibile. E per questo la loro voce andrebbe ascoltata prima, non dopo i negoziati. Perché, come dice Romantsova, “non ci può essere pace se non ci sono persone libere capaci di costruirla". E come aggiunge Orlov: “La vera pace comincerà solo quando la verità sarà possibile”.

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