Lee presidente, le sfide del nuovo leader della Corea del Sud

Lee Jae-myung è il nuovo presidente della Corea del Sud e ad attenderlo ci sono molte sfide sia sul fronte interno sia in un contesto globale sempre più caotico. Dopo aver vinto le elezioni con oltre il 49% dei voti contro il 41% di Kim Moon-soo del Partito del Potere del Popolo, il leader del Partito Democratico di Corea, formazione di orientamento liberal-progressista, mira a chiudere una fase di crisi inaugurata sei mesi fa dall'autogolpe del deposto capo di Stato Yoon Suk-yeol. Lee, avvocato e storico protagonista delle lotte per i diritti civili e dei lavoratori nel Paese, potrà governare contando su una solida maggioranza in Parlamento che il Pdc ha conquistato alle elezioni del 2024 e ora sarà chiamato a gestire le varie crisi che attanagliano lo Stato membro del G20. Il voto ha mostrato un clima politico polarizzato: nonostante il suo ex leader Yoon abbia provato a sovvertire la democrazia coreana proclamando la legge marziale il 3 dicembre scorso, il Ppp è riuscito a ottenere un risultato tutt’altro che irrilevante e Kim, in un’elezione che ha visto la partecipazione di quasi l’80% degli aventi diritto, ha ottenuto oltre 14 milioni di suffragi. Un’indicazione del fatto che Lee, vincitore con oltre 17 milioni di voti, si troverà di fronte a uno scetticismo molto forte da parte di una fetta consistente della popolazione, che riflette la polarizzazione tra i liberali del Pdc e i conservatori nazionalisti del Ppp. La sfida economica di Seul Un primo fronte su cui il nuovo presidente dovrà intervenire sarà quello dell’economia. La Corea del Sud, stabilmente presente nella classifica dei primi dieci Paesi al mondo per produzione industriale e export, ha visto una sostanziale stagnazione della sua economia dal Covid-19 in avanti e nel primo trimestre del 2025 il Pil ha addirittura segnato una leggera flessione su base annua. “Lee ha ripetutamente promesso di affrontare la stagnazione economica del paese istituendo una task force di emergenza”, nota The Diplomat, aggiungendo che il neo-presidente “è un noto riformista, le cui politiche di welfare hanno gettato le basi del suo sostegno fin dal suo mandato di sindaco di Seongnam. Lee, tuttavia, “ha chiaramente affermato che non metterà a dura prova le condizioni finanziarie del paese implementando le sue politiche di welfare” e la priorità dovrà essere orientata alle urgenze concrete di breve periodo. Da un lato, in Parlamento è ancora in attesa di approvazione un pacchetto d’emergenza da 12.000 miliardi di won che include fondi per il contrasto agli effetti economici delle calamità naturali, incentivi fiscali per l'innovazione e sussidi per frenare l’impatto dell'inflazione sui redditi inferiori. Dall’altro, sul Paese dell’Estremo Oriente pende la Spada di Damocle dei dazi imposti dagli Usa di Donald Trump ad aprile. La tariffa del 25% sui beni sudcoreani è sospesa fino all’8 luglio, ma nel frattempo Seul dovrà cercare di negoziare un accordo per capire quale sarà il futuro rapporto col suo secondo partner commerciale alle spalle della Cina. Una prospettiva che si somma all’agenda internazionale della nuova presidenza. Gli esteri tra cambi di paradigma e continuità Lee, storicamente, è stato un critico della politica di contenimento dei governi del Ppp contro la vicina Corea del Nord e scettico circa l’eccessiva dipendenza di Seul dall’assistenza militare americana. In effetti, sul fronte della politica estera, “Lee ha promesso una graduale distensione dei rapporti con la Corea del Nord aprendo a nuovi colloqui diplomatici, all’interruzione della politica muscolare intrapresa da Yoon e all’offerta di cooperazione umanitaria”, come ha scritto il ricercatore di Ispi Guido Alberto Casanova e anche nei confronti di altri due rivali strategici degli Usa, Cina e Russia, invece, “Lee propone un approccio pragmatico volto a gestire i rapporti coi due ingombranti vicini nel segno dell’interesse nazionale”. Tale approccio pragmatico verso i rivali regionali ritenuti avversari strategici da Washington è stato compensato nella campagna elettorale da una crescente attenzione di Lee al nodo del negoziato con gli Usa, alla necessità di risolvere la sfida dei dazi con un dialogo diretto con Donald Trump e, soprattutto, alla costruzione di un triangolo diplomatico esteso al Giappone per definire le priorità politiche e securitarie regionali. Prese di posizione funzionali a accreditare Lee presso l’elettorato moderato e centrista che, secondo Casanova, su questi dossier “hanno portato la sua posizione sui temi di politica estera ad avvicinarsi molto a quella che ha caratterizzato il governo di Yoon”, con cui ci potrebbe esserci una discontinuità senza strappi eccessivamente vistosi. Un Paese da ricucire Di fronte a un Paese da riunificare e ricucire, ancora scosso dai fatti del 3 dicembre e dal loro lungo strascico, Lee dovrà muoversi con pragmatismo e coi piedi di piombo. Alla Casa Blu di Seu Lee dovrà saper agire, nota l’Asia Times, “all'insegna del pragmatismo senza paralisi, dell'impegno alla pacificazione e delle riforme senza rotture” mentre sarà messa alla prova “la sua capacità di stabilizzare una nazione ferita, di gestire le rivalità tra grandi potenze e di ripristinare lo spirito democratico che i sudcoreani sono recentemente scesi in piazza per difendere”. Un mandato pieno e la possibilità di agire con grandi margini di manovra vista la maggioranza all’Assemblea Nazionale offrono grandi prospettive e rischi al tempo stesso. Per Lee la priorità sarà far tornare alla normalità il Paese con scelte politiche concrete da cui si giudicherà il suo mandato. Le sfide non mancano. Al neo-presidente il compito di decidere come affrontarle e con quale scala di priorità in una Corea del Sud che, in fin dei conti, non chiede altro che la normalità.

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