A un anno da Fukushima, quali sorti per il nucleare?

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"Quanto sei a rischio?", la mappa interattiva di Greenpeace
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Il Giappone sta studiando un piano energetico che potrebbe prevedere un addio parziale all’atomo. Ad oggi, nel Paese sono in funzione due reattori su 54. Nel mondo sono 437 quelli attivi, ora localizzati da una mappa interattiva online di Greenpeace

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di Isabella Fantigrossi

Abbandono, totale o parziale, del nucleare ma in modo graduale, per evitare ''pericolose'' ripercussioni economiche e sociali. A un anno dal terremoto in Giappone dell'11 marzo e dall’incidente alla centrale atomica di Fukushima, sembra essere questa la via più probabile allo studio del governo nipponico. A chiarire quali potrebbero essere le nuove strategie energetiche del post Fukushima è Atsushi Sunami, direttore del dipartimento Science and Technology Policy al National Graduate Institute for Policy Studies di Tokyo e membro della Japan Science and Technology Agency. Un addio graduale, dunque, ma partendo da un dato: dei 54 impianti nucleari presenti in Giappone attualmente solo due sono in funzione. E a breve è previsto un loro stop per controlli tecnici di routine. Ma l'attesa è per la decisione definitiva del governo in merito alle strategie energetiche, che dovrebbe arrivare a breve: ''Il governo ha nominato un Comitato per l'energia con l'incarico di redigere un Piano strategico a lungo termine. Il Piano - ha spiegato Sunami – è atteso entro pochi mesi: una volta reso pubblico, seguirà un ampio dibattito nazionale e il governo deciderà la strategia definitiva''. E con tutta probabilità, ha anticipato lo scienziato, ''il Piano prevederà due opzioni: abbandono totale del nucleare oppure opzioni di energia pulita mantenendo una quota di atomo''. Con una certezza però: dopo Fukushima, lo stop all’energia atomica non avverrà in tempi brevissimi, per due ragioni. ''Le sole energie rinnovabili - sottolinea Sunami – non basterebbero a sostenere l'intero sistema economico del paese. Inoltre l'abbandono totale del nucleare renderebbe il Giappone quasi totalmente dipendente dall'estero per il proprio fabbisogno energetico''. E se dunque appare ormai tramontato l'obiettivo, pre-Fukushima, di arrivare al 50% di energia elettrica prodotta da centrali nucleari, contro l'attuale 32%, l'addio all'atomo dovrà tenere conto di numerose variabili. Non ultima, accenna l'esperto, ''l'influenza della lobby delle aziende nucleari''.

437 reattori nel mondo – E nel resto del mondo? A un anno dall’incidente di Fukushima, fa sapere Greenpeace, sono ancora 437 i reattori nucleari operativi: troppi, e troppo pericolosi. 143 di questi si trovano all’interno dell’Unione europea, di cui 58 sono solo in Francia. 104 invece sono quelli statunitensi, mentre la Cina ha attive a oggi 14 centrali. E proprio per localizzare tutte le centrali attive nel mondo e mostrare le aree a rischio in caso di incidente come quello di Cernobyl, di Three Mile Island o di Fukushima, l’associazione ha lanciato online una mappa interattiva. Zoomando e cliccando su ogni punto giallo, Greenpeace riferisce alcuni dati: il numero di reattori presenti in ogni centrale, la potenza, l’anno di inizio attività e il numero di persone presenti a varie distanze dalla centrale (<30 km, <75 km, <150 km e <300 km). Ciascuno così potrà rendersi conto se vive in un’area a rischio nucleare o meno. Intanto, tra i Paesi che hanno rinunciato all’energia atomica dopo l’11 marzo, c’è la Germania, che prima di Fukushima produceva con le sue 17 centrali nucleari il 23% della sua elettricità. A maggio 2011 è arrivato l’annuncio della decisione di abbandonare l’atomo entro 11 anni: otto reattori tedeschi sono già stati spenti. Sulla stessa onda la Svizzera, che a maggio 2011 ha annunciato che non rimpiazzerà le sue cinque centrali una volta giunte a fine vita, e l’Italia, che ha detto no a un ritorno dell’atomo con il referendum del 12 giugno scorso. 

Una lettera aperta – Sempre in occasione del primo anniversario di Fukushima, Greenpeace e altre 13 organizzazioni internazionali hanno inviato una lettera aperta ai leader mondiali per chiedere di abbandonare il nucleare e investire in energie sicure e rinnovabili. Oltre 50 i firmatari del mondo politico, scientifico, ecologista e culturale di diverse parti del mondo, dalla Spagna alla Russia, dalla Corea agli Usa, dal Brasile alla Nuova Zelanda. Per Greenpeace, la tecnologia nucleare è pericolosa, costosa e marginale. Secondo gli standard di sicurezza richiesti negli Stati Uniti per i reattori di seconda generazione, come quelli BWR di Fukushima, il rischio di incidente grave è uno ogni centomila anni-reattore. Tradotto, significa che con 400 reattori in funzione un incidente grave dovrebbe succedere ogni 250 anni. Ma, al contrario, se ne sono verificati ben 3 in poco più di 30 anni, uno ogni circa 10 anni (Three Miles Island nel 1979, Cernobyl nel 1986 e Fukushima l’anno scorso). In più, i costi effettivi di realizzazione di un impianto di terza generazione sono cresciuti 5 volte in 10 anni (la stessa Corte dei Conti in Francia ha ammesso che il costo dell’elettricità dei nuovi EPR francesi sarà circa doppio rispetto alle previsioni). Infine, secondo Greenpeace, la fonte nucleare copre oggi circa il 13 per cento della produzione globale di elettricità. Cioè poco più del 2% del fabbisogno globale di energia. Mentre nel corso del 2011 gli impianti a fonti rinnovabili installati nel mondo sono capaci di produrre energia quanto 16 grandi centrali nucleari.

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