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Caso camici, Fontana chiede di essere interrogato

Lombardia

Il governatore vuole chiarire e dare la sua ricostruzione dei fatti nell'indagine sull'affidamento da parte della Regione della fornitura da circa mezzo milione di euro di 75mila camici e altri dpi a Dama, la società di Andrea Dini, cognato di Fontana

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Il governatore della Lombardia, Attilio Fontana, ha chiesto di essere interrogato per chiarire e dare la sua ricostruzione dei fatti nell'indagine sull'affidamento da parte della Regione della fornitura da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dpi a Dama, la società di suo cognato Andrea Dini.  (LE TAPPE DELLA VICENDA) L'istanza è stata presentata dai legali del presidente, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, ai pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini, titolari dell'inchiesta chiusa alla fine di luglio e nella quale è stato contestato il reato di frode in pubbliche forniture non solo a Fontana e a Dini, ma anche a Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria, a una dirigente della stessa società e a Pier Attilio Superti, vicesegretario generale del Pirellone. "Fontana - ha spiegato l'avvocato Pensa - intende trasmettere alla Procura quale è stato l'avvicendamento degli eventi che hanno riguardato la fornitura e che non è quello ipotizzato dai pubblici ministeri".

La fornitura di camici

L'inchiesta, chiusa prima della pausa estiva e che ha visto lo stralcio in vista dell'istanza di archiviazione del capo di imputazione in cui solo Dini e Bongiovanni rispondono di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, è stata condotta dal Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza. Il caso ha al centro la fornitura di dispositivi di protezione individuale, tra cui appunto 75 mila camici, da consegnare in piena pandemia alla Regione. Ne vennero consegnati in realtà da Dama solo 50mila, perché nel frattempo, quando venne a galla il conflitto di interessi, la fornitura fu trasformata in donazione. La conseguenza, secondo la ricostruzione della Procura, fu che l'ordine non venne perfezionato per la mancata consegna di un terzo del materiale, cosa che ha portato i pm a formulare l'accusa di frode in pubbliche forniture. Vicenda, poi, che, stando all'indagine, avrebbe visto l'intervento del presidente della Lombardia con il tentativo di risarcire, per il mancato introito, il cognato con un bonifico, poi bloccato in quanto segnalato dalla Banca d'Italia come operazione sospetta, di 250mila euro prelevati da un suo conto in Svizzera. Da qui è scaturita pure un'inchiesta autonoma per autoriciclaggio e falso in voluntary nei confronti di Fontana. Il governatore, che ora fornirà la sua versione, ha sempre ribadito la correttezza del proprio operato e, attraverso i suoi legali, ha depositato anche documenti e memorie per difendersi. In alcuni atti i pm parlavano del "diffuso coinvolgimento di Fontana" nel caso "accompagnato dalla parimenti evidente volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti".