Riecco Simenon, stavolta con una storia un po’ diversa e un po’ più ricca di atmosfere

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Filippo Maria Battaglia

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IL LIBRO DELLA SETTIMANA Adelphi porta in libreria “I superstiti del Télémaque”, che ruota attorno al legame tra due fratelli e all’omicidio dell’unico superstite di un naufragio 

C’è almeno una ragione per salutare con una nota di sorpresa l’ultimo romanzo di Georges Simenon che Adelphi ha portato in libreria (“I superstiti del Télémaque”, traduzione di Simona Mambrini, pag. 188 euro 18) e questa sorpresa proviene tutta dalle prime righe del libro, o meglio dalle sue conseguenze. È lì, in quelle prime righe, che Simenon racconta come nasce questa storia: un inverno trascorso in Tirolo, un’abbagliante distesa di campi innevati e, tutt'a un tratto, la nostalgia di altri inverni, pregni di odore di acquavite e di aringhe alla griglia.

 

Un naufragio, un omicidio e il legame tra due fratelli 

Simenon decide così di imbastire una storia a Fécamp, in Normandia. I protagonisti sono due fratelli: Charles è un tipo malaticcio, triste e fifone, uno che teme sempre di offendere le persone, di dar loro un dispiacere. Pierre, invece, è forte, attraente e sorridente. “I Canut sono come gemelli siamesi: non potrebbero vivere l’uno senza l’altro!”, dicono spesso in città, e Charles ne è profondamente compiaciuto. 

La rovina si abbatte quando il fratello simpatico finisce in prigione con l’accusa di aver ucciso l’ultimo superstite di un naufragio nel quale molti anni prima ha perso la vita il padre.

 

Atmosfere e scene corali 

Sin qui la trama, ma dicevamo della premessa di Simenon e di quel desiderio espresso in apertura di romanzo al lettore di voler evadere da un inverno in Tirolo. Non è un desiderio privo di conseguenze: è forse anche  per quel desiderio, infatti, che “I superstiti del Télémaque” si presenta subito come un libro rigonfio di atmosfere e di qualche scena corale, specie nelle prime pagine. 

Poi il registro si assesta sul solito tornio narrativo, sull’attrazione di Charles nei confronti di una donna che, come spesso capita nei romanzi di Simenon, è un preciso tipo di donna: niente affatto bella, magra, pallida, con gli occhi di un colore indefinito, i capelli sempre in disordine e l’espressione tipica di chi se ne infischia di tutto.

 

Tutto il resto, non solo questo, è già sperimentato e collaudato, dipanato con la solita grazia narrativa.  “I superstiti del Télémaque” è un Simenon, e basterebbe questo per leggerlo. Ma c’è anche questa curiosità a renderlo un poco singolare e a incuriosire i suoi lettori più affezionati.

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