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Scianna: “I paradossi di una immagine? Si trovano anche nella nostra carta di identità”

Lifestyle

Filippo Maria Battaglia

INCIPIT - Uno dei maestri della fotografia internazionale torna in libreria con una storia del ritratto fotografico. E durante la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri spiega: "Da tempo la nostra identità è stata delegata a una piccola foto. Non è solo un dettaglio tecnico: ha chiarito in modo inequivocabile il nostro rapporto con il mondo"

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"Per più di un secolo e mezzo la massima ambizione che potesse avere una fotografia è stata quella di finire in un album di famiglia". Ferdinando Scianna parte da qui per raccontare cosa abbia significato la storia del ritratto fotografico nelle nostre vite quotidiane. "Quell'album -  racconta durante Incipit, la rubrica di libri di Sky TG24 (qui lo speciale) - è stato uno dei due più impressionanti monumenti che la fotografia abbia prodotto. L'altro è la carta d'identità: può apparire solo un'invenzione tecnica e invece, se ci pensiamo, ha avuto degli effetti dirompenti nella nostra quotidianità". 

Scianna è tornato da poco in libreria con una storia assai personale del ritratto fotografico, pubblicata da Utet e intitolata "Il viaggio di Veronica". E proprio alla carta di identità, in questo libro, dedica più di una riflessione: "Non esistono poteri, e dunque non esistono società, senza un tentativo di controllo della popolazione -  spiega a Sky TG24 uno dei maestri della fotografia internazionale  - Ecco, l’invenzione della carta d’identità è stata probabilmente la più gigantesca di queste: il più colossale fenomeno di uso globale del ritratto come strumento di controllo sociale".

"L'immagine ci definisce come persona"

Un'invenzione che, racconta Scianna, porta con sé anche un evidente paradosso: "Non si tratta tanto del fatto che la fotografia di identità debba assomigliare a te, piuttosto del fatto che sia tu a dover assomigliare a quella fotografia. Se per caso ti sbagli e prendi una carta d'identità di tua moglie o di tuo fratello, il poliziotto che la controlla potrebbe facilmente obiettare: 'Ma questo non è lei'". Una considerazione che spinge Scianna a rilevare come ormai da decenni "una delle cose essenziali della nostra esistenza, cioè la nostra identità, sia delegata a quella piccola immagine. Sembra un problema di mero controllo sociale, ma è senz'altro di più. Ha finito infatti col chiarire in modo inequivocabile il nostro rapporto con il mondo, ribaltando completamente le carte in tavola: l’immagine è più importante della cosa; è, se vogliamo, ciò che ci definisce come persona, e dunque per questo ha una portata filosofica e culturale capitale".

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I social, i selfie e lo strappo istantaneo della realtà

Nel "Viaggio di Veronica" Scianna ricorda tra l'altro come il destino principale della fotografia, e dunque anche dei ritratti, sia la comunicazione, aggiungendo come quel desiderio e quella passione oggi, coi social network, si siano trasformati "in un delirio inarrestabile", stravolgendo il rapporto tra parole e immagini.

E per spiegare la portata di quel cambiamento il fotografo torna proprio sulla carta di identità: "Mentre con quel documento la società prevedeva che tu dovessi somigliare alla fotografia, oggi la grande nevrosi del selfie  impone di produrre un'immagine di te stesso che deve essere continuamente aggiornata. Quella della carta di identità dobbiamo aggiornarla ogni cinque o dieci anni, mentre adesso, quando si fa un autoritratto (che poi in realtà è solo uno strappo istantaneo fatto con un telefonino), devi subito farne un altro". 

 

Una storia dalle radici lunghe

È una grande trasformazione, certo. Ma lo sguardo di Scianna è troppo vigile per soffermarsi pigramente sull'evidenza della quotidianità: "Già nel 1949 - ricorda il primo italiano ad entrare a far parte dell'agenzia Magnum - Marshall McLuhan raccontava un aneddoto che pare quasi una barzelletta: una mamma porta in giro il suo bambino con la carozzella, quando incontra una sua cara amica che le chiede: 'Fammelo vedere, che meraviglia!'. E lei, subito, di rimando: 'E non lo hai visto in fotografia!'. Quasi che la vera immagine di quel bambino fosse non nel bambino in sé ma in quella fotografia. È un enorme ribaltamento di carattere culturale, ed è già accaduto più di settant'anni fa".

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