Daria Bignardi: “Doversi prendere cura di qualcuno allena il nostro sguardo sul mondo”

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Filippo Maria Battaglia

Torna in libreria in nuova edizione "Non vi lascerò orfani", il memoir della giornalista e scrittrice. Che durante "Incipit", la rubrica di Sky TG24 dedicata ai libri, dice: "Nessun autore può porsi il problema del pudore"

A Ferrara, dal 1966, c'è stato un orologio che ogni sera segnava l'ora sbagliata. Dieci minuti di ritardo, che poi in realtà erano dieci minuti di sollievo. Nella casa di quell'orologio, abitava una madre col "sangue romagnolo molto ben espresso", un padre che "faceva il rappresentante", sempre "in giro per le stalle della pianura padana con la sua Millecinque carica di mangimi", e due bimbe "graziose ma piccoline, minute". Una delle due, la più piccina, era chiamata dalla mamma "palliduzzi" ed era stata proprio lei, "palliduzzi", a spostare quell'orologio: una scelta che non era una birichinata ma una richiesta quotidiana di serenità.

"Se alle otto in punto mio padre non tornava a casa - racconta a Sky TG24 quella bambina di allora, che è poi la Daria Bignardi di ora - per mia madre era matematicamente morto in un incidente. Per questo, lei faceva cose incredibili: metteva in macchina me e mia sorella e andava a cercarlo nella nebbia della pianura padana. Era malata di ansia ossessiva, la mia mamma, solo che a quei tempi non si usava tanto curarsi, e allora uno si teneva la mamma com’era, cercando di adattarsi". 

"In ogni romanzo serve stabilire un rapporto con il lettore"

Quell'episodio è solo uno dei molti rievocati da Daria Bignardi nel suo primo libro, riproposto ora in una nuova edizione negli Oscar Mondadori dopo essere diventato uno dei long-seller italiani più venduti e tradotti negli ultimi anni.

"Molto presto ho avuto la sensazione di dovermi prendere cura di mia madre - racconta nell'ultima puntata di 'Incipit' (qui le puntate precedenti) -  Sentivo il suo dolore, sentivo che non stava bene e quella posizione di osservazione, che è stata anche un tentativo di difesa dal dolore altrui, ha allenato il mio sguardo sul mondo".

"Palliduzzi" veniva chiamata la piccola Daria, ma quel soprannnome era solo uno degli infiniti nomi, tutti intimi e dunque tutti singolari, che abitavano la sua casa di Ferrara. È  sempre Bignardi a ricordarlo, quando dice di aver scritto "Non vi lascerò orfani" per fermare sulla carta il suo lessico famigliare, prima di aggiungere che "in ogni romanzo serve stabilire un rapporto con il lettore, fargli riconoscere la tua voce e quindi includerlo dentro la storia".

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"Nessuno scrittore può porsi il problema del pudore"

Dopo il suo primo libro, Daria Bignardi ha scritto sei romanzi, vendendo oltre 700mila copie e finendo tradotta un po' ovunque. E visto che il suo debutto è stato un memoir, pare inevitabile chiederle che rapporto abbia con il pudore. "Nessuno scrittore può porsi questo problema. Una volta che scrivi,  quelle parole non sono più tue, ma di chi le legge e della pagina", spiega, prima di parafrasare Mario Vargas Llosa: "Il cervello di uno scrittore è come una rete da pesca nella quale rimane impigliato di tutto".


"Cercare di superare il senso di colpa può essere un grande spunto narrativo"

In quel groviglio, è ovvio, finiscono anche i ricordi dell'infanzia perché, come dice anche la protagonista del suo ultimo romanzo (“Oggi faccio azzurro”), non c'è niente da fare, ci si sente per tutta la vita come si era da bambini. "Da lì - dice Bignardi - arrivano i contenuti di ciò che si scrive, la sensibilità che si ha nei confronti delle storie che si scelgono. Certo, poi  la scrittura è una cosa che si cerca e che si affina, ma le storie no: le storie che ti riguardano, anche quando sembrano diversissime,  hanno sempre a che fare con i bambini che siamo stati".

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