Peter Kuper, essere fumettisti "politici" nell’America di Trump

A quattro anni, nel New Jersey dei primissimi anni ’60, Peter Kuper ha avuto un’Epifania. Milioni di cicale Magicicada hanno iniziato a uscire dal sottosuolo in cui erano state per 17 anni, riempiendo l’aria coi loro corpi e il loro frinire. Mentre la gente fuggiva spaventata, lui restava meravigliato e scopriva il suo amore per gli insetti. Un amore che non lo ha mai abbandonato, che quando ha potuto ha coltivato anche con quella che poi sarebbe diventata la sua professione, il fumetto, adattando “La metamorfosi” di Kafka e raccontando il viaggio della farfalla monarca in “Rovine”. Ma è con “Insectopolis” , in uscita il 22 dicembre, che ha portato a compimento questo percorso. “Insectopolis” è un’opera straordinaria, che mischia fantasia e divulgazione, in cui l’autore lascia che a raccontare gli insetti e la loro fondamentale importanza per il mondo in cui viviamo siano gli insetti stessi. Vincitore di un Premio Eisner, Kuper è uno dei fumettisti più “politici” al mondo ed è stato ospite del suo editore italiano a Lucca Comics & Games 2025, dove lo abbiamo intervistato. In un certo senso, “Insectopolis” è connesso a “Rovine”. Sì, lo è molto. Come le è venuta l’idea di un fumetto sugli insetti? Stavo leggendo diversi libri sulla natura, tutti legati ai danni ambientali e alla preoccupazione per ciò che accade al mondo. Titoli come “La sesta estinzione: una storia innaturale” di Elizabeth Kolbert e “Primavera silenziosa” di Rachel Carson. Poi nel 2018 ho visto sul New York Times Magazine un articolo intitolato “The Insect Apocalypse” , che mi ha ricordato sia quanto ami gli insetti sia quanto ero preoccupato da ciò che sarebbe accaduto se fossero scomparsi. Così ho portato questa idea al mio editore, lo stesso che negli Stati Uniti ha pubblicato “Gli incubi di Kafka” e “Cuore di tenebra”, e mi ha detto che non era interessato. Poi però mi hanno detto di questa borsa offerta dalla New York Public Library e ho fatto domanda: dava a 15 studiosi l’opportunità di avere per nove mesi un ufficio dentro la biblioteca, quella coi leoni sulla 42esima strada, e dedicarsi al proprio soggetto di studio. Nel febbraio del 2020 hanno accolto la mia domanda, avrei iniziato a settembre, ma poi probabilmente ricordate cosa è successo nel 2020 e così hanno cancellato il programma precedente, mandato tutti a casa per via del Covid e non era chiaro se ci sarebbe stata la nuova edizione o no. E come è andata a finire? L’hanno fatta, ma con la biblioteca chiusa al pubblico. Così quando ho preso il mio ufficio lì dentro mi hanno detto che non avrei potuto comunicare con gli altri ricercatori. E la biblioteca era vuota. All’inizio ero piuttosto triste, ma poi ho dato un’occhiata alla loro collezione e hanno delle cose straordinarie. Cercavo una mappa delle migrazioni della farfalla monarca, di cui avevo parlato in “Rovine”. E mentre aspettavo, mi sono guardato intorno: l’architettura della stanza era così incredibile e io ancora non avevo idea che avrei raccontato la storia degli insetti e delle persone che li hanno studiati. All’improvviso, mi è venuta l’idea di un mondo post-apocalittico, senza esseri umani, con la biblioteca completamente vuota, qualcosa di simile alla casa dei fantasmi di “Una notte al museo”, sono tornato di corsa al mio ufficio e ho disegnato una farfalla monarca nella stanza delle mappe. E poi mi sono detto: “Ok, non so dove mi porterà, ma penso che disegnerò libellule” e ho fatto una libellula che saliva in volo per le scale. Iniziavo ad avere qualcosa che poteva sembrare la prima pagina di un capitolo e ho pensato a quali insetti avrei voluto disegnare: formiche, cicale, scarabei stercorari. Passavo da un capitolo all’altro e ancora non sapevo dove sarei arrivato, quindi ho iniziato a contattare degli entomologi: se leggevo un libro e l’autore era vivo, lo cercavo su internet o lo incontravo e gli chiedevo se conoscesse altri entomologi, e lui mi passava altri contatti che di volta in volta mi suggerivano di quale naturalista avrei dovuto parlare. Persone come Charles Henry Turner, il primo afroamericano a ottenere un dottorato di ricerca in entomologia, o Margaret Collins, la prima donna di colore a raggiungere il traguardo. Oppure prendevo un libro di Alexander von Humboldt e mi rendevo conto che non ne sapevo niente ed era stato importantissimo, così decidevo di inserirlo nel fumetto. Ci sono voluti 5 anni per completare il progetto. Quando e come è nata la sua passione per gli insetti? Avevo quattro anni. Sono nato in New Jersey e all’epoca, negli anni ’60, dove vivevo non era ancora tutto asfaltato. Sotto terra c’erano le cicale di 17 anni e quando vennero fuori ce n’erano a milioni. Ricordo ancora quanto fossi esaltato quando ho visto questo spettacolo, mentre molti altri erano terrorizzati. E poi il rumore, il loro arrampicarsi ovunque. Nel nostro giardino ho poi trovato una mantide religiosa e tanti altri insetti, ho cominciato a collezionarli, ma poi ho scoperto i fumetti e Spider-Man è improvvisamente diventato un po’ più importante per me. Gli insetti continuavano a interessarmi, ma non quanto i fumetti. Col tempo ho iniziato a realizzare che era come un diagramma di Venn: da una parte i fumetti, dall’altra l’entomologia, e in mezzo il punto in cui si incontravano. Ho cominciato con “La memarfosi” , poi ho fatto “Rovine” e quindi “Insectopolis” è davvero il culmine di ciò che era iniziato quando avevo 4 anni. Questo è un libro profondamente ambientalista, in un modo particolare, perché noi umani tendiamo a ignorare l’importanza degli insetti per il nostro pianeta, li troviamo fastidiosi e disgustosi, non sappiamo quanto siano importanti. Quanto è importante per lei cambiare questo tipo di cultura? Che poi è una cultura tipicamente occidentale, dal momento che in gran parte del mondo gli insetti sono persino cibo? Sì, 2 miliardi di persone mangiano insetti. E certo, è soprattutto una questione di educazione. Se chiedessi alle persone se gli piace il caffè o il cioccolato, se mettono il miele su qualcosa, se amano la frutta o la verdura, bisognerebbe poi spiegare loro che i mercati sarebbero completamente privi di frutta a verdura se non fosse per gli insetti, non bevremmo caffè. Ma ci sono anche modi meno evidenti in cui gli insetti impattano sulle nostre vite, per esempio formiche e cicale mantengono il suolo più fresco, se non ci fossero gli stercorari, avremmo escrementi sparsi ovunque, senza mosche sarebbe pieno di cadaveri in giro. Ci sarebbe cattivo odore, cammineremmo sulle feci, non berremmo caffè. E forse la gente si chiederebbe che succede e capirebbe. È per questo che ha fatto “Insectopolis”? Spero che possa stimolare questo tipo di cultura così che la gente sia più consapevole. All’inizio del libro c’è una frase di E. O. Wilson, esperto di formiche che ha scritto tanti libri, e dice che se l’essere umano scomparisse, il mondo si rigenererebbe allo stato naturale di milioni di anni fa, ma se gli insetti scomparissero, il mondo cadrebbe nel caos. Persino il mio atteggiamento, per quanto interessato io fossi, è cambiata con la realizzazione del libro: ora quando mi guardo attorno mentre cammino noto le formiche per terra. Ci sono tante cose di cui non siamo consapevoli, e comprenderle ci apre al mondo in modi che arricchiscono la nostra vita. Una rubrica settimanale che faccio per Charlie Hebdo e viene pubblicata su Internazionale si chiama “Look Up” e questo nome ha un doppio significato: alza lo sguardo dal tuo cellulare e guarda in alto agli insetti che volano, alle farfalle, e goditi lo spettacolo ma cerca anche nuove cose da scoprire su di loro. In generale spero che, leggendo il mio libro, chi odia gli insetti inizi ad apprezzarli, chi li apprezza già li apprezzi moltissimo, chi li apprezza moltissimo inizi ad amarli, chi li ama li ami ancora di più. E che questo aiuti a realizzare quanto importanti siano per la nostra sopravvivenza. Nel libro lei arriva a provare empatia persino per l’insetto più detestato al mondo, la zanzara, riconoscendole un ruolo fondamentale nella storia dell’uomo e, naturalmente, nell’ambiente. Anche se questo ruolo non è sempre stato necessariamente positivo. Io avevo scritto che le zanzare hanno ucciso tantissime persone e quando ho spedito il capitolo in Inghilterra all’esperta di zanzare Erica McAllister, lei mi ha corretto dicendomi che le zanzare non hanno mai ucciso nessuno, che è come accusare la siringa per gli effetti dell’eroina. Mi ha spiegato che l’unica cosa che le zanzare possono aver ucciso è qualche giovane di caribù tanto ricoperto di insetti da vedersi dissanguato da loro, ma non sono loro a uccidere le persone, sono i microbi che trasportano senza aver scelto di farlo. Inoltre è solo il 25% delle zanzare a portare malattie, il resto di loro fa molte altre cose, incluso impollinare, e sono parte importante della catena alimentare, tanti uccelli, le rane e altri anfibi morirebbero se non ci fossero le zanzare. E nella storia le zanzare hanno avuto un ruolo importante, hanno fermato Annibale e i suoi attacchi alle porte di Roma, e dopo che Mussolini aveva bonificato le paludi, un entomologo nazista le ha riempite di nuovo gettandoci larve di zanzare per usarle come una delle prime armi biologiche nel tentativo di fermare i soldati britannici e americani. Il piano è fallito ma l’Italia ha sofferto il ritorno della malaria tra gli anni ’50 e ’60. Ma, anche qui, le zanzare non avevano chiesto niente di tutto ciò. Le prime zanzare vettori di parassiti sono arrivate in America con le navi di Colombo, noi le abbiamo trasportate e abbiamo contribuito a far circolare malattie. Così come la zanzara non decide di trasportare microbi, la farfalla monarca non decide di migrare. Questa cosa mi fa venire in mente il parallelo che lei fa in “Rovine” con le persone che si trovano nella stessa situazione, che non vogliono lasciare le loro case ma sono costrette a farlo. E che rappresentano proprio quella categoria di migranti più discriminata dalla gente, contro cui vengono costruiti muri e organizzati respingimenti ed espulsioni. In che modo questa metafora si connette col suo sentire? È qualcosa che sento a molti livelli. Intanto, almeno la farfalla monarca riesce ad attraversare il Rio Grande per arrivare in Messico e a fare il viaggio di ritorno in modo molto più semplice rispetto agli esseri umani. E penso che l’aspetto più ironico è che tutto ciò riguarderà in futuro non solo le persone emarginate ma anche quelle che conosciamo. Voglio dire, quando la Florida sarà sott’acqua per via dell’innalzamento degli oceani, le persone dovranno migrare verso nord e probabilmente chi vive nel nord non le accetterà. Accadrà a persone bianche, ai cristiani, a chiunque. I nordamericani saranno trattati esattamente come oggi trattiamo le persone che vengono dal Messico, dall’America Centrale, dal Sudamerica. Ed è ancora più terribile perché tante persone sono costrette a migrare per via dei nostri comportamenti che non fanno che peggiorare la situazione del cambiamento climatico. Siamo i principali colpevoli di tutto ciò mentre le persone e i Paesi emarginati hanno meno colpe e ne patiscono maggiormente gli effetti, e quando si presentano alla nostra porta perché abbiamo reso impossibile coltivare terre colpite da alluvioni o siccità, noi li sbattiamo fuori. Temo che anche se realizzassimo tutto questo, se capissimo che sono costretti a migrare per le nostre azioni, non cambierebbe nulla perché semplicemente non ci importerebbe. Oggi consumiamo moltissima acqua per far funzionare i server usati per l’Intelligenza Artificiale. Sono arrivato a un punto in cui cambio continuamente idea su cosa mi preoccupi di più perché tutti i problemi sembrano accadere insieme. Gli Stati Uniti sono una nazione fondata sull’immigrazione, gli stessi americani di oggi sono discendenti di migranti e coloni. Stanno dimenticando la loro storia? Sì, e col governo attuale stanno cercando di cancellare il passato che avevamo imparato a conoscere. Letteralmente stanno escludendo libri scolastici, rendendo illegale parlarne, anche per quanto riguarda le pratiche d’assunzione discriminatorie stanno cancellando praticamente tutto ciò è costato decenni o un secolo ottenere. C’è un gruppo di persone molto potenti che vogliono disfare quella storia, e ciò è terribile. Quello che cerco di fare con un libro come questo o il lavoro che faccio su Internazionale è combattere contro la cancellazione di questa storia. Anche tanti personaggi di cui parlo in “Insectopolis”, a vario titolo, sono stati cancellati dalla storia, e uno dei miei interessi è gettare una luce su ciò che viene cancellato ed è essenziale conoscere, in modo da non ripetere i peggiori errori del nostro passato. Non ha mai nascosto le sue idee politiche, anche in questa intervista, anche come autore. Nell’ultimo periodo, da più parti, si è alzato un allarme sulla libertà d’espressione negli Stati Uniti, penso al caso Kimmel o alle proteste dei giornalisti alla Casa Bianca. È preoccupato dalla situazione? Preoccupato è il migliore degli eufemismi che potrei usare. Sono terrorizzato, non pietrificato al punto di smettere di fare ciò che faccio, anzi, probabilmente arriverò a spingermi fino al limite in cui verrò personalmente censurato, ma ci penso tanto perché, come ho già detto in una vecchia intervista, quando inizieranno a colpire i comici saprò che si stanno avvicinando sempre più a ciò che faccio io. E ci sono arrivati: Stephen Colbert, Jimmy Kimmel, sono sicuro che “The Daily Show”, Jon Stewart e questi programmi di satira politica saranno colpiti duramente ed è appena un passo dagli umoristi e fumettisti politici. Mi sono persino chiesto se fosse il caso di lasciare il Paese per continuare a fare il mio lavoro o se piuttosto avrei voluto restare e magari finire in galera. E ancora non ci credo, è molto dura accettare del tutto qualcosa di simile, ma la storia mi ha insegnato che può succedere. Sta succedendo. C’è già gente che viene arrestata per aver espresso delle opinioni o per il semplice fatto di avere la pelle più scura o un accento diverso, anche se hanno la cittadinanza. Io e tutti i miei amici fumettisti ne siamo consapevoli e spaventati, ma anche in una fase di negazione perché non riusciamo a credere che stia accadendo.

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Gabriele Lippi