Yasmeen Lari: “L'architetto? Deve essere un guerriero ecologico"

Yasmeen sorride, seduta su un divanetto in un salotto appartato di un hotel di Lisbona. I suoi occhi brillano, celano un'anima densa di empatia e umanità, raccontano un gomitolo di storie, un tessuto intricato di esperienze, ostacoli, traguardi, lotte. Afferra un leggero foulard blu dalla borsa e lo avvolge delicatamente attorno al collo. È pronta per registrare l'intervista, ma prima: “Voglio ripassare il rossetto”. Quella di Yasmeen Lari, la prima architetta del Pakistan, è la storia di una donna coraggiosa, oggi 84 anni, che ha fatto della progettazione un prezioso strumento per combattere le ingiustizie sociali, l'inquinamento, le attività umane che distruggono il pianeta, e un'arma pacifica per l'uguaglianza, l'emancipazione, la parità di genere. “Ho dovuto affrontare ostacoli nella mia vita quando ho iniziato a lottare per le mie cause: poiché ero una donna, gli uomini pensavano che fosse lecito ferirmi”, ha raccontato a Sky Tg24 Insider. Quella di Yasmeen Lari è una carriera costellata di nobili progetti, importanti traguardi, prestigiosi riconoscimenti. Tra le sue indimenticabili creazioni c'è Angoori Bagh Housing, il primo progetto di edilizia sociale del Pakistan che, realizzato a Lahore tra il 1972 e il 1973, garantì alle famiglie più povere alloggi a prezzi accessibili. “Come esperti dell'ambiente urbano, noi architetti abbiamo la responsabilità di fare la cosa giusta”, ha rimarcato. E poi c'è quello la stessa Lari ha definito “un progetto bellissimo”: la chulah, una stufa ecologica a basso consumo che, realizzata con fango e terracotta, consente non solo di ridurre l'uso di combustibili fossili, ma anche di migliorare le condizioni delle donne che operano in cucina. La chulah offre un ambiente di cottura più igienico e ventilato, riducendo drasticamente il rischio di incendi e di malattie respiratorie causate dal fumo. Un'opera per l'ambiente e per l'emancipazione femminile. Il progetto infatti prevede anche il coinvolgimento diretto delle donne delle comunità rurali. Oltre 70.000 pakistane sono state formate per imparare a costruire le stufe con materiali locali e a venderle nelle proprie comunità, diventando così “barefoot village entrepreneurs” . Per questa creazione, l'architetta pakistana è stata insignita del World Habitat Award nel 2018. “Il cambiamento climatico è una triste realtà per tutti”, ha sottolineato Lari. “Dobbiamo liberarci dalla 'tirannia ecologica': le città senza vegetazione e aree verdi diventeranno invivibili. Per questo, abbiamo il dovere di salvarle dalle attività che le danneggiano”, ha ribadito. Secondo la progettista pakistana, “il Nord globale deve assumersi una parte di responsabilità, perché è troppo orientato al consumo di risorse: dobbiamo renderci conto che viviamo in un villaggio globale e che ogni nostra azione ha un impatto sugli altri”. Per questo, gli architetti “possono fare la differenza” e “devono diventare attivisti e guerrieri ecologici”. Yasmeen Lari ha avuto anche un ruolo molto importante nel riconoscimento della professione in Pakistan. Nel 1980 l'architetta, all'epoca presidente dell'Institute of Architects Pakistan, lavorò a una serie di misure legislative per il riconoscimento della figura del progettista e dell'urbanista nel Paese. La sua intensa attività portò alla fondazione, nel 1983, del Pakistan Council of Architects and Town Planners, che stabilì la regolamentazione della professione. Nel 2016 ha ricevuto il prestigioso Premio Fukuoka, nel 2023 la preziosa Royal Gold Medal dal Royal Institute of British Architects e recentemente l'Achievement Award 2025 alla Triennale di Architettura di Lisbona. Cosa rappresenta per lei l'architettura? Penso che l'architettura sia una professione che può fare molto bene all'umanità. Oggi, con il cambiamento climatico e il riscaldamento globale, possiamo usare la progettazione per guarire il pianeta, perché è ciò di cui abbiamo bisogno. L'ambiente urbano di oggi è estrattivo, è basato sul capitalismo e ogni tipo di risorsa è utilizzata in modo improprio. Ci deve essere un cambiamento di paradigma nel modo in cui noi architetti lavoriamo, ed è quello che dobbiamo fare assolutamente. A proposito del cambiamento climatico, in che modo architettura e sostenibilità possono coesistere? È molto importante comprendere che ogni edificio che realizziamo oggi sia finalizzato a ridurre le emissioni di carbonio. Se non prendiamo coscienza di questo, continueremo a danneggiare il pianeta. Il cambiamento climatico è una grande realtà per tutti noi, ma lo è ancora di più in alcuni Paesi, come il Pakistan. Le nostre vulnerabilità sono così grandi che, ogni anno, una parte importante della nostra popolazione viene sfollata. Per i pakistani è ancora più importante non emettere carbonio e cercare soluzioni per proteggersi da questi disastri climatici. Per questo, il Nord globale deve assumersi una parte di responsabilità, perché è troppo orientato al consumo e utilizza troppe risorse che ora devono essere necessariamente ridotte. Tutti noi ora dobbiamo capire che viviamo in un villaggio globale e che qualunque cosa facciamo ha un impatto anche sugli altri. Mi piacerebbe vivere in un mondo più egualitario, un mondo in cui tutti iniziamo a prenderci cura gli uni degli altri. Ha parlato di uguaglianza. In che modo l'architettura può combattere le ingiustizie sociali? Nel mondo di oggi ci sono così tante disuguaglianze. Non importa dove vivi, in quale città vivi: ci sono sacche di emarginazione, ci sono persone che soffrono ovunque. Ciò che mi preoccupa di più è che, in quasi ogni città del mondo, oggi si registrano allagamenti e inondazioni. Il clima sta cambiando rapidamente e dobbiamo rendercene conto tutti. Per questo, ritengo sia fondamentale liberarci da quella che io chiamo “tirannia ecologica”, perché se non abbiamo abbastanza vegetazione e aree verdi nelle città, queste diventeranno invivibili. Abbiamo il dovere quindi di salvare le nostre città dai veicoli, dalle attività che le danneggiano. Il mio più grande desiderio è che le comunità inizino ad assumersi la responsabilità di ciò che fanno e mettere in atto soluzioni per il benessere e la salute della popolazione, specialmente per le donne e i bambini. Questo è ciò che sto cercando di fare nel mio Paese e spero che possa essere fatto ovunque. Secondo lei, come si combina l'architettura con l'attivismo? È un'ottima domanda. Penso che, come esperti dell'ambiente urbano, tutti noi abbiamo la responsabilità di fare la cosa giusta. Quando vediamo qualsiasi tipo di ingiustizia, dobbiamo agire per contribuire ad alleggerire la situazione. Nel mondo esistono molte disparità: alcune persone sono costrette a vivere in condizioni molto difficili, spesso nei campi per sfollati. Ad esempio, nella mia città, Karachi, vivono 25 milioni di persone. Di questi, almeno il 50% vive in baraccopoli: una percentuale enorme. Quello che stiamo cercando di fare è riqualificare le strade trasformandole in una sorta di bene comune, un luogo per tutti, dove donne e bambini possono uscire all'aria aperta. Creiamo strade alberate, dove è possibile coltivare ortaggi, fare il compostaggio dei rifiuti, giocare, partecipare a sessioni di pittura. Si crea uno spazio, una sorta di rifugio in mezzo al caos che ci circonda. Qual è il suo sogno? Il mio sogno è vedere ogni strada che possiamo occupare diventare una strada ecologica. Riuscire a creare questi spazi nelle zone ad alto traffico aiuterebbe sicuramente a rendere le città più vivibili. Questo dovrebbe essere il nostro obiettivo: rendere qualsiasi tipo di ambiente urbano vivibile per le persone e positivo per la loro salute e il loro benessere, bloccando le emissioni di carbonio. Come immagina quindi il futuro delle città? Si ritiene ottimista? Penso che in molti Paesi le città abbiano preso una direzione sbagliata a causa della pressione demografica e non riescano quindi ad accogliere tutta la popolazione. La cosa peggiore che vedo in queste metropoli sono i grattacieli ad alto impatto ambientale, edifici a più piani che non dovrebbero esserci e che contengono molto cemento. Preferirei davvero tornare alle vecchie città: media densità, edifici bassi. Dovremmo iniziare in qualche modo a riempire gli spazi vuoti, invece di costruire strutture elevate. Dovremmo trovare una soluzione per riempire le città in modo da contenere le altezze e cambiare il modo in cui costruiamo. Possiamo introdurre finiture a zero emissioni di carbonio, perché ora sono disponibili molti materiali. Questa è la prima cosa che penso dovremmo iniziare a fare. La seconda è portare la natura in città: ciò significa più aree verdi, più alberi, più alberi da frutto. Perché non creare dei frutteti? Perché la sicurezza alimentare è un problema. E allora perché non conserviamo tutta l'acqua che abbiamo a disposizione, invece di sprecarla? Dovremmo utilizzarla per ricaricare la falda acquifera e, quindi, fertilizzare il terreno: questo gioverebbe alla biodiversità. Avvicinare le città alla natura, quindi? Esatto. La città dovrebbe diventare un luogo guidato dalla natura, dovrebbe essere pensata per l'uomo e non per le auto. Penso sia necessario un cambiamento di paradigma nel modo in cui pensiamo alle città. Va benissimo avere grandi piazze, ma perché riempirle di cemento? La mia soluzione sarebbe quindi zero cemento. In ogni città, in ogni Paese, in Europa in particolare così come in altre zone, l'argilla è sempre disponibile. E la terracotta è un materiale meraviglioso da utilizzare. Perché non sostituire tutto il cemento con la terracotta? Diventa impermeabile, si possono ottenere pavimentazioni spugnose, si può avere più acqua nella zona. Ci sono tante cose che possiamo fare se conserviamo le nostre risorse invece di buttarle via, in particolare l'acqua. Se c'è carenza d'acqua, il mondo intero finisce nei guai. Serve cambiare la visione dell'architettura per migliorare il futuro delle città... Ha assolutamente ragione. Il cambiamento climatico è ormai realtà per tutti noi e non riguarda più solo alcune aree del mondo. Ogni Paese sta letteralmente soffrendo per il caldo estremo, le inondazioni e persino il freddo. Dobbiamo capire che è necessario un cambio di paradigma nel modo in cui guardiamo e vediamo le cose, nel modo in cui trattiamo il nostro ambiente urbano. Noi dobbiamo cambiare, la politica deve cambiare. In questo senso gli architetti possono fare la differenza, ed è per questo che, nella mia visione, devono diventare attivisti e “guerrieri ecologici”. Questo ovviamente implica che anche la professione li sostenga. Attualmente, non vedo molti architetti delle vecchie generazioni impegnati in queste cause, ma credo che i giovani progettisti possano davvero fare qualcosa di diverso. Noi dobbiamo dare loro una possibilità, dobbiamo sostenerli, dobbiamo fare in modo che vengano retribuiti per il lavoro che svolgono. Il lavoro umanitario non dovrebbe essere un'attività non retribuita: si tratta di un lavoro altamente professionale svolto da giovani architetti che devono poter guadagnare per ciò che fanno. Cerchiamo quindi di costruire un futuro migliore per tutti noi, aiutando i giovani professionisti a fare la cosa giusta per l'umanità e per il pianeta. L'architettura può diventare uno strumento di rivoluzione sociale? Nel mio lavoro cerco sempre di mettere in pratica ciò in cui credo: giustizia spaziale, giustizia sociale e giustizia ecologica. Penso che l'architettura sia lo strumento con cui è possibile realizzarle, con cui è possibile dare voce a chi prima non ne aveva, attraverso la co-progettazione e la co-creazione. Io ho le mie tre “D”: decarbonizzazione, decolonizzazione e democratizzazione dell'architettura. Che cosa significa? Prima di tutto, dobbiamo decolonizzare la nostra mentalità dall'idea del controllo. Io non credo nel modello coloniale internazionale di beneficenza, ma credo nell'empowerment delle persone. Poi, decarbonizzare: utilizzare materiali sostenibili e di scarto, portare più natura nelle città, sfruttare l'intera economia circolare. Infine, democratizzare tutto: dare voce alle persone, favorire lo sviluppo di un senso di appartenenza. Meno controllo da parte dello Stato e più controllo da parte della gente. Come possiamo agire affinché l'architettura continui a essere rilevante nella società? È un'ottima domanda. Se non ampliamo il campo di applicazione dell'architettura, la professione potrebbe diventare irrilevante e superflua. Al momento diamo importanza solo a chi ci commissiona progetti, a chi ha i soldi per costruire gli edifici, a chi possiede una certa influenza. Ma penso che ci sia un'intera comunità di persone che ha bisogno dell'architettura. Mi riferisco ai più poveri, che hanno sicuramente più bisogno della progettazione rispetto ai ricchi. Per questo, dovremmo per esempio mettere a disposizione più architetti che lavorino nei campi per sfollati, con l'obiettivo di fornire materiali, rendere gli edifici più resistenti e confortevoli e gli ambienti più puliti. Allo stesso modo, penso che ci siano molte cose da fare per quanto riguarda la progettazione eco-urbana. Gli architetti possono lavorare su questo, cercando di trovare nuove soluzioni, nuovi materiali a zero o basse emissioni di carbonio. Tutti i progettisti devono riflettere, ripensare le loro responsabilità, allontanarsi dalle megastrutture e da quelle che vengono definite “architetture stellari”, per concentrarsi sulle piccole cose che possono davvero fare la differenza nella vita delle persone. Mi piacerebbe ripercorrere la sua storia. Lei è la prima architetta del Pakistan. Nel corso della sua carriera, quali ostacoli ha dovuto affrontare? All'epoca c'erano pochi professionisti e le donne che intraprendevano questa carriera provenivano da contesti molto privilegiati. Quando abbiamo iniziato, avevamo un sistema di supporto molto forte: le nostre famiglie erano conosciute, le persone erano cortesi con noi. Non ho avuto grandi difficoltà all'inizio. Gli ostacoli sono arrivati quando ho iniziato a lottare per le mie cause. E, dato che ero una donna, gli uomini pensavano che fosse lecito ferirmi in qualche modo. E sì, è stato un periodo davvero duro. Io lottavo per ottenere protezione per la mia professione, perché all'epoca chiunque poteva essere un architetto. Poi, nel 1983, riuscimmo a emanare la legge che consentiva di esercitare la professione esclusivamente alle persone che avevano ricevuto una formazione. Ad essere danneggiati da questa norma fu una lobby molto forte. E quel periodo fu molto difficile per me, così come il 1994, quando lavorai a una legge per la tutela del patrimonio urbano, che danneggiò una categoria di persone. Ho affrontato queste difficoltà a fasi alterne. Ma nel complesso, ho avuto tante opportunità perché nel mio Paese c'era così tanto da fare. Penso davvero di essere riuscita a fare molte cose che non avrei potuto fare altrove e per me è stata un'esperienza molto gratificante sotto tutti i punti di vista. Ora, il lavoro che sto facendo con i poveri e gli sfollati è più che gratificante ed è più di quanto potessi immaginare. È meraviglioso. Oggi assistiamo ancora a discriminazioni, disuguaglianze, disparità di genere. Che cosa vorrebbe dire a tutte le donne che oggi lottano per i propri diritti, la propria libertà, la propria indipendenza economica? Le donne devono essere libere di fare ciò che sentono di fare. Purtroppo, però oggi sono ancora costrette ad affrontare difficoltà, a lavorare molto più duramente per dimostrare le proprie capacità. E anch'io ho dovuto farlo, ma oggi è ancora più difficile perché c'è più concorrenza rispetto a una volta. Credo però che le donne non debbano perdersi d'animo. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre capacità, dobbiamo perseverare, non possiamo arrenderci. Dobbiamo dimostrare che possiamo farcela. Perché sì, ce la possiamo fare. Grazie Yasmeen per questo bellissimo messaggio. Vorrei concentrarmi sui suoi progetti. Tra le opere che ha realizzato, qual è la sua preferita? Ovviamente non ho difficoltà a dire qual è la mia preferita, perché ora sto facendo cose che mi piacciono davvero. All'inizio della mia carriera ho realizzato progetti enormi, ma adesso sto lavorando su una scala molto più grande. Quando ripenso a uno dei miei primi progetti, che è l'edificio più grande mai costruito all'epoca in Pakistan, cioè il Finance and Trade Center di Karachi, credo di aver usato la maggior quantità di cemento e acciaio in un unico edificio di quel tempo. Poi oggi guardo la mia chulah: un progetto molto semplice da realizzare, ma così bello. Il costo di costruzione è di circa 10 dollari. Ogni stufa è personalizzata dall'imprenditrice che l'ha realizzata. Alcune hanno dei bellissimi fiori come decorazione, altre presentano disegni di pavoni o altri animali. Quindi, può immaginare qual è la mia creazione preferita: è questa piccola stufa di terracotta. Lei ha fondato la Heritage Foundation in Pakistan. Qual è il suo obiettivo? All'inizio, il nostro obiettivo era quello di conservare il patrimonio culturale e documentarlo. Oggi siamo sempre più impegnati nell'aiutare le comunità che sono state sfollate a causa dei disastri naturali. Attualmente sto lavorando a un progetto per le persone colpite dalle inondazioni del 2022 nella mia provincia, Sindh. Circa tre milioni di famiglie vivono ancora oggi in condizioni di povertà: non hanno un riparo, non hanno cibo. Il mio programma è quello di aiutare un milione di famiglie alla volta. Si tratta di un progetto molto ampio da realizzare senza alcun finanziamento, per questo sto cercando un modo per consentire alle comunità di fare tutto da sole, ma per fortuna stiamo facendo progressi. Voglio che tutte queste persone diventino autosufficienti, acquisiscano autonomia. Nel mio Paese non ci sono abbastanza fondi per aiutare i poveri a risollevarsi, per questo motivo non credo nella beneficenza, ma piuttosto nell'empowerment delle persone, in particolare delle donne. In questo momento, sono molto orgogliosa di poter dire che quasi tutti gli abitanti sono al riparo dalle inondazioni, sono al sicuro dal punto di vista alimentare perché coltivano ortaggi, allevano animali. Hanno costruito 800 scuole e 50.000 case su mio progetto, molto resistenti alle inondazioni. Almeno 9.000 villaggi stanno guadagnando denaro grazie a prodotti sostenibili che vengono venduti tra le comunità della zona. Lei è la vincitrice dell'Achievement Award 2025 della Triennale di Architettura di Lisbona. Cosa significa per lei questo riconoscimento? Sono davvero onorata, emozionata e grata, perché è un premio molto prestigioso. Ma spero che dia più coraggio ai giovani che vogliono fare cose diverse. L'architettura va ben oltre il semplice progettare: è al servizio dell'umanità. Quindi ritengo molto coraggiosa la decisione presa dalla giuria della Triennale di Lisbona. Il mio lavoro non può essere classificato come architettura tradizionale, perché non è architettura mainstream. Quindi, penso che la scelta della giuria rappresenti anche un messaggio di sostegno a tutti i professionisti che fanno un lavoro simile al mio. Quale messaggio vorrebbe trasmettere al pubblico? La Triennale di Architettura di Lisbona è un luogo straordinario per cercare di concentrarsi sui temi che ora sono rilevanti e importanti. Tutte le installazioni, i dibattiti e le discussioni rimarcano un cambiamento che deve essere portato avanti. Penso che avrà un impatto enorme sulle persone che parteciperanno e anche su tutto il mondo. Quali saranno i nostri prossimi passi? Continueremo a essere una società altamente orientata al consumo o ci fermeremo a riflettere? La Triennale ha fatto un ottimo lavoro e tutto il pubblico tornerà a casa molto più ricco dentro. Il mio messaggio è: ognuno di noi può fare la differenza.

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Yasmeen Lari: “L'architetto? Deve essere un guerriero ecologico"

Silvia Donnini