La città incantata e gli yokai: dal Giappone alla cultura globale

Differenze tra yōkai e i mostri occidentali “Gli yōkai, spiega Linetti, non sono come i nostri demoni o diavoli, che appartengono a una dimensione infernale o divina. In Giappone, sono entità preternaturali, né buone, né cattive: fanno semplicemente parte di una natura prodigiosa. Ci sono yōkai benigni che aiutano gli esseri umani, altri li perseguitano, ma non esiste un principio maligno assoluto, come Satana nella religione cattolica. Bakemono, henge e tsukumogami Molti yōkai non nascono tali: tanti lo diventano col tempo, spesso in seguito a emozioni o legami forti. “I bakemono sono yōkai che hanno la capacità di trasformarsi”, spiega Linetti. “Un esempio è il bakeneko: se un gatto vive molto a lungo o diventa particolarmente grasso, può trasformarsi in un gatto a due code. Se poi uccide un umano ed entra in contatto con il sangue, può assumere sembianze umane, diventando un henge. Se infine prova piacere nell’uccidere, muta ulteriormente e si trasforma in un nekomata, un enorme gatto nero capace di manovrare i cadaveri come un burattinaio utilizzando le due code”. “Nella cultura giapponese c’è qualcosa di strepitoso: anche i sentimenti possono creare una vita”, racconta Linetti. “Dopo cento anni pettini, spilloni per capelli, kimono e in alcuni casi ombrelli, se tenuti con cura e impregnati di affetto, possono prendere vita e trasformarsi in tsukumogami. Uno degli yōkai più celebri è infatti un ombrello che saltella”. Yōkai come fenomeno globale “A fine del periodo Edo, spiega Linetti, quando il Giappone si apre all’Occidente dopo oltre tre secoli di isolamento, si trova di fronte a un mondo estremamente industrializzato. Ne deriva un senso di inferiorità culturale, e proprio gli yōkai vengono messi da parte, per paura di essere percepiti come troppo primitivi. Ma tra gli anni ‘20 e ‘30 vengono riscoperti, grazie all’interesse occidentale per le fiabe illustrate giapponesi. Editori come Hasegawa iniziano a pubblicarle in inglese e i giapponesi capiscono che gli yōkai possono diventare una risorsa”. “Da quel momento, continua Linetti, tornano in scena anche grazie a grandi autori come Go Nagai, creatore di Devilman. Io che ero bambino negli anni ‘70, vedevo in TV questi mostri: erano qualcosa di nuovo e questo mi incuriosiva. Dopo un periodo di latenza, da circa dieci anni sono stati riscoperti, anche grazie a internet. Senza Volto, Chihiro e la ricerca della propria identità “Senza Volto non è uno yōkai tradizionale”, prosegue Linetti, “ma un’invenzione straordinaria di Miyazaki. Ne La città incantata, è ostracizzato dagli altri spiriti, come se non fosse “degno”. Questo perché gli altri yōkai sono “puri”. Secondo Linetti, il film è una grande allegoria sulla crescita, l’identità e il ruolo dell’individuo nella società contemporanea. “Chihiro, la protagonista, per trovare il suo posto nella società, sebbene ancora bambina, deve prima trovare la propria strada. Deve diventare autosufficiente e capire che per amare gli altri deve prima amare sé stessa. Lo yōkai Senza Volto, invece, è un essere senza identità, affamato di approvazione e attenzione, ma vuoto dentro. Per Miyazaki è un po’ come il Giappone contemporaneo che ha dimenticato le sue radici”. Folklore e mitologia ne La città incantata Il film è ricco di riferimenti al folklore giapponese. “Gli inservienti dell’onsen , sono rospi e lumache, come quelli raffigurati nelle antiche pergamene nipponiche. Rin, la guida di Chihiro, potrebbe essere una lumaca o un’umana che ha perso la propria identità. Kamaji, lo “stregone delle caldaie” è un ragno: nella cultura giapponese è simbolo di intelligenza, azione e ribellione. Ed è proprio lui che aiuta Chihiro a sovvertire il potere di Yubaba, la potente e temuta strega che gestisce l’onsen. Il coprotagonista Haku è un drago, collegato all’acqua e simbolo intermedio tra animale fantastico e divinità nella cultura giapponese. Ma Miyazaki attinge anche ad altri immaginari. “Il guardiano della foresta ricorda lo hakutaku, uno spirito benefico con corna di cervo e nove occhi, ma nella sua forma notturna richiama il dio celtico Cernunnos. L’animale domestico della narcisistica Yubaba, invece, è uno specchio del personaggio: un’arpia, simbolo dell’avidità nella mitologia occidentale”. Riferimenti mitologici occidentali Il film richiama anche la mitologia occidentale. “Quando Haku dà da mangiare a Chihiro”, spiega Linetti, “la àncora al mondo degli spiriti: un gesto che richiama il mito di Persefone, costretta a rimanere negli inferi dopo aver mangiato un chicco di melagrana offertole da Ade. Anche la trasformazione dei genitori di Chihiro in maiali rievoca un passaggio dell’Odissea, quando i compagni di Ulisse, avendo mangiato senza permesso nella casa di Circe, vengono tramutati in porci".

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Francesca Torcasio