Chiara Valerio: “Con Lea Russo ho scoperto la serialità, potrei continuare”

In “La fila alle poste” Chiara Valerio ci riporta a Scauri, dove è cresciuta. I personaggi li abbiamo imparati a conoscere in “Chi dice e chi tace”, finalista al Premio Strega del 2024, un successo che ha spinto l’autrice ad avventurarsi per la prima volta nell’impresa di scrivere un séguito, che del resto aveva già in testa e aspettava solo di uscire dal terreno dell’immaginazione. L’avvocata Lea Russo, tre anni dopo, in un '96 evanescente che riusciamo a contestualizzare solo grazie a qualche preciso riferimento all'attualità politica e ai videogiochi, è alle prese con i suoi antichi turbamenti e con il dialogo mai interrotto con una morta, l’affascinante ed enigmatica Vittoria. Di nuovo, in quel paese che rimane sempre uguale mentre tutto cambia e il cui tempo è scandito dal susseguirsi di matrimoni e funerali in un bilanciamento quasi perfetto, c’è un omicidio feroce con un colpevole su cui nessuno sembra avere dubbi, la "Medea di Scauri". Ma la vera indagine è sotterranea: Lea conduce un’inchiesta su se stessa, sulla sua identità, sui suoi desideri, che pagina dopo pagina diventano sempre meno inconfessabili e sempre più confessati. “La fila alle poste” ci ricorda che non basta una morte violenta per fare di un romanzo un “giallo”, perché i misteri più complessi sono dentro di noi. Sempre che di “giallo” si possa parlare per chi come Chiara Valerio produce letteratura senza “aggettivazione”. Abbiamo intervistato l’autrice de “La fila alle poste”, ospite stasera al Festival della disperazione di Andria. Aveva già in testa questo secondo romanzo quando ha finito “Chi dice e chi tace”? Avevo in testa queste due storie fin dall’inizio in maniera abbastanza dettagliata. Certo, se ”Chi dice e chi tace” non avesse avuto il successo che ha avuto, probabilmente, anche per il mestiere che faccio, quello di editor, avrei detto: boh, vediamo se scriverne un altro. Questa è la mia prima esperienza di serialità, però mi sono divertita altrettanto, quindi penso che si possa continuare. Si è affezionata ai personaggi o coltiva un distacco? Sull'affezione non lo so, diciamo che mi diverto a scrivere, però questo succede anche sui personaggi che non tornano. Io ho un divertimento quando scrivo e poi nella fase successiva quando li riaffronto come lettrice… Il mondo si divide in scrittori che fanno gli schemi e scrittori che si lasciano guidare dal flusso. Lei che è una matematica di formazione di quale dei due mondi fa parte? Questi sono gli unici due libri che ho scritto sapendo dove partivo e dove volevo arrivare. Cosa sarebbe successo nel mezzo no, non lo sapevo, però avevo molto chiara la fine. Di solito non mi succede, non è una cosa alla quale penso. Quanta matematica c'è nella sua scrittura? Non lo so dire, nel senso che non so più distinguere la matematica che è dentro di me, pur avendola dimenticata, da altre cose. Penso che mi è rimasta la matematica come capita ad altre persone con altre esperienze. Se avessi corso tutta la vita, probabilmente il mio corpo risentirebbe delle modificazioni della corsa, di quell'esercizio fatto ogni giorno per tanto tempo. Credo che la matematica sul cervello funzioni così e che resti, ma forse ogni disciplina funziona così. L'ha dimenticata per mancanza di esercizio e perché ha fatto altro nella sua vita o perché a un certo punto ha deciso di metterla da parte? Per mancanza di esercizio, sicuramente. La matematica ha messo da parte me, quindi diciamo che è stato reciproco. Io l'ho abbandonata ma anche lei mi ha abbandonata. Nei suoi due romanzi ci sono tante donne, centrali e protagoniste. Che rapporto ha con l'aggettivo “femminile“ rispetto ai romanzi? Io la letteratura non l'aggettivo mai. Non mi piace, come non mi piace neanche parlare di letteratura gialla o letteratura nera o letteratura rosa o letteratura femminile o letteratura maschile. Penso che il sostantivo letteratura sia abbastanza onnicomprensivo, soprattutto quando si parla di romanzi, che è esattamente la struttura che gli esseri umani hanno inventato per aggregare tutto. Comunque non ho un cattivo rapporto con l'aggettivo “femminile”, ma non lo uso rispetto ai libri, né rispetto ai miei né a quelli degli altri. Sto pensando a come uso l’aggettivo femminile... Purtroppo in matematica sa che si diceva? Mi dica… Che ricordo crudo! Quando si faceva qualcosa in maniera pedissequa, si svolgeva un'equazione passaggio per passaggio, un teorema passaggio per passaggio, il professore a un certo punto diceva; “facciamola alla femminile”, intendendo che le donne sono pedisseque, non hanno possibilità di saltare da una parte all'altra. Maschilismo? Ma non credo che fosse un rigurgito di maschilismo, credo che fosse semplicemente un modo un po' lezioso per dire che le donne fanno le cose in maniera precisa, un modo orribile per dirlo. Penso che “facciamola alla femminile” rimane uno dei punti più bassi della mia carriera accademica. Scauri è un altro personaggio. Cosa c'è di affascinante, di letterario, nel posto in cui è nata? Non lo so più, nel senso che penso che questa sia parzialmente una scatola inventata. C’è il mare, c'è questo golfo contenuto tra due promontori, su uno c'è una torre, su un altro c'è una specie di caverna, di grotta nella quale si può entrare, quindi c'è di affascinante il mare prima di tutto con il suo orizzonte e la vecchia fabbrica di mattoni che sta lì, prospiciente la spiaggia. Se si danno le spalle al mare si trovano direttamente le montagne. Ecco, in una fascia molto stretta di terra vede sostanzialmente mare, collina, montagna e questo è bello perché si pensa a varie altezze: Scauri è un posto nel quale si riesce a pensare a varie altezze. Proprio in questi ultimi giorni ha ripreso sui suoi social un tema complesso e importante, quello dell’eccesso della promozione editoriale. Michela Murgia, che, come dice lei “non aveva paura dei paradossi”, nel 2014 per discutere del tempo che una scrittrice o uno scrittore avrebbe dovuto dedicare alla promozione del proprio libro decretò: 70% di promozione e 30% scrittura. Ora lei rilanciando la questione ha aggiunto che stiamo superando quella soglia. Si sente a rischio anche lei di superarla e di cosa è sintomatico tutto questo? Io personalmente no, perché ci faccio molto caso a non farlo, ma è un tentativo ovviamente di arginare l'inarginabile. Sta montando una specie di inquietudine rispetto all'attività promozionale, che è sovrabbondante rispetto all'attività di scrittura per la maggior parte delle persone. La cosa che interessa a me di questa faccenda è che gli scrittori e le scrittrici occupano uno spazio politico, indipendentemente da ciò che dicono. E quello spazio politico è la piazza. Io penso che ci sia questa corsa a portare gli scrittori e le scrittrici in giro perché c'è una mancanza politica. La politica si è spostata sui social e su altre piattaforme e quello che è rimasto del rapporto tra chi parla e chi ascolta sta in testa agli scrittori. Questa è l'impressione che ho. Dunque, quello che noi chiamiamo e percepiamo come promozione commerciale è o può essere in realtà qualcos'altro, cioè il sintomo di una mancanza di rapporto tra politica e cittadinanza. Partecipa come ospite al Festival della disperazione di Andria: lei si dispera spesso? Io non mi dispero mai perché sono troppo curiosa. Allo stesso tempo mi viene in mente una scena di Thelma & Louise che amavo da ragazzina: quando ridendo si lanciano con l’auto da un canyon. Ecco io vado allegra incontro alla tragedia e anche questa è un po’ una forma di disperazione, però non mi dispero mai. Ho troppa fede negli esseri umani, anche se vengo spesso smentita.

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