Dentro al fumetto a cui è ispirato il film "Here" con Tom Hanks

In questi giorni al cinema c’è “Here”, il film di Robert Zemeckis con Tom Hanks e Robin Wright. La storia è tratta dall’omonimo fumetto di Richard McGuire, in Italia tradotto come “Qui” e pubblicato da Rizzoli Lizard. L’opera di McGuire, più di quella Zemeckis, cerca di appropriarsi del tempo non solo come dimensione narrativa – c’è lo spazio, ci sono i corpi, c’è il loro peso in ogni vignetta – ma come personaggio. Il qui, e cioè il luogo dove si svolge la storia, è sempre lo stesso. E sono sempre le stesse anche la prospettiva e le inquadrature scelte da McGuire . Ciò che cambia e che va continuamente avanti e indietro è, appunto, il tempo. Anni, decenni, secoli. Addirittura ere. McGuire prova a sfruttare al massimo la libertà del fumetto, inteso come linguaggio, per creare un racconto che viene limitato unicamente dalla pagina. Ogni squarcio e ogni più piccolo dettaglio hanno un loro scopo e un loro ruolo, e anche in questo McGuire riesce a essere estremamente preciso ed efficace. “Qui” si trasforma costantemente e non è mai una cosa sola. Prima è la fotografia di un mondo che non c’è più, poi il ritratto di un passato che non è così remoto ma nemmeno così prossimo; e infine diventa una riflessione per immagini e parole, pieno di spunti, di incisi, di complessità. È una tempesta travolgente e, per quanto paradossale possa sembrare, ordinata. Con “Qui”, McGuire è stato in grado di condizionare profondamente il fumetto, rivelandone le infinite possibilità. Nel tempo che passa, tutto finisce per mischiarsi e accavallarsi; i confini fisici e quelli mentali si assottigliano, facendosi quasi invisibili, mentre la differenza che c’è prima e dopo, tra quello che si può fare e quello che irrimediabilmente è, tra la pura aspirazione e la consapevolezza metodica, si allarga. Leggere “Qui” significa prepararsi a essere investiti dal ritmo del racconto ed essere disposti ad accettare un nuovo tipo di regole, in cui non c’è spazio né per la progressione fisica né per la progressione temporale che conosciamo. “Qui” è stato pubblicato per la prima volta più di dieci anni fa, figlio tanto della sperimentazione continua di McGuire quanto dell’evoluzione stessa del fumetto. La decisione di ignorare qualunque tipo di convenzione nell’andamento lineare della storia ha fatto di “Qui” un esempio da seguire e, soprattutto, da studiare. La forma embrionale del fumetto consisteva in appena sei pagine in bianco e nero. Da lì, McGuire è arrivato a oltre trecento pagine, usando il colore e non dandosi nessun vero limite. La costruzione della tavola, così come quella dell’intero racconto, avvicinano “Qui” più al design che al fumetto, e pure questo è interessante. Nel corso degli anni, sono stati diversi gli autori che hanno deciso di ritornare alla pagina per dissezionarla e rielaborarla. Pensiamo, per esempio, a Chris Ware. “Qui” è una sorta di laboratorio perenne, dove intervengono anche altri elementi come la fotografia e l’architettura. Ma non ci sono mai lo slancio dell’improvvisazione o la spinta istintiva e assolutistica dell’intuizione. C’è sempre studio, c’è sempre cura; c’è sempre la visione di McGuire che funziona come un collante, che riesce a tenere insieme ogni elemento e a inserirlo in un contesto più grande come quello del racconto. Per certi versi, “Qui” è quasi un meta fumetto: perché riflette costantemente sulle sue possibilità e sulle occasioni, e perché cerca, sperimenta, si allarga e si restringe. Il tutto rispettando sempre gli stessi spazi, la stessa regia e la stessa estensione temporale – in una vignetta si può arrivare solo fino a un certo punto, non di più. In “Qui” hanno un ruolo specifico anche i colori, che non si limitano mai a riprendere pedissequamente la realtà: sono a loro volta interpretazioni dell’ampissimo arco del possibile; incarnano suggestioni precise che giocano tanto con lo sguardo quanto con la percezione del lettore. E poi c’è il taglia e cuci di McGuire, che estrapola riquadri per inserirli in momenti diversi del presente, del futuro e del passato. E lo fa tenendo sempre a mente la geografia e la divisione dello spazio di questo angolo di mondo che ha deciso di raccontare. Prima ci sono sagome senza dettagli, senza occhi, senza linee: solo capelli, facce e arti. Poi ci sono sagome più ricche e riconoscibili. E intanto, sullo sfondo, si alternano stili diversi: a volte sembrano matite; altre, una semplice elaborazione di colori che riempiono figure e corpi. Non sono collage. Sono qualcosa di più: un’unione profonda e intensa di linguaggi e arti visive, un’idea attentissima di ciò che vuol dire “divenire”. “Qui” è la quintessenza – quella più verace, più spudorata, ma non per questo meno studiata – del fumetto.

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