"L'Età dell'oro": una mostra su nove secoli di Storia dell'Arte

"L’ETÀ DELL’ORO - I capolavori dorati della Galleria Nazionale dell’Umbria incontrano l’Arte Contemporanea". Un titolo evocativo, che subito presenta il protagonista assoluto dell’esposizione perugina, l’oro, appunto. A ospitarla è la Galleria Nazionale dell’Umbria, tempio dell’Arte italiana, soprattutto, del Duecento e del Trecento. Un percorso espositivo che ripercorre, attraverso una cinquantina di opere, nove secoli di Storia dell’Arte: dal Medioevo al nostro tempo. La curatela, di Alessandra Mammì, Veruska Picchiarelli e Carla Scagliosi, approfondisce autori come il Maestro di San Francesco, Duccio di Boninsegna, Gentile da Fabriano, il Maestro del Trittico del Farneto, Bartolomeo Caporali; poi Jannis Kounellis, Marisa Merz, Mimmo Paladino, Michelangelo Pistoletto, Alberto Burri, soltanto per citare alcuni dei nomi che qui si ritrovano espositi tutti insieme, fino al 19 gennaio. A far loro compagnia c’è anche un illustre straniero, Gustav Klimt, presente con il suo capolavoro Le tre età, quadro del 1905, in prestito dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dipinto dove domina proprio il colore oro. Il dialogo che si sviluppa tra gli artisti e le opere in mostra – dipinti, miniature, tessuti, oreficerie - si presta a interpretazioni, suggestioni e confronti sia dal punto di vista della tecnica utilizzata per la creazione delle opere sia da quello concettuale. Alessandra Mammì “Per la prima volta sono messe vicine, anzi, una di fronte all’altra, due opere importantissime di Jannis Kounellis. L’artista è di fatto italiano, perché ha sempre lavorato nel nostro Paese, considerato uno dei maestri più importanti dell’Arte Povera ma nasce greco e questo ci corre l’obbligo di dirlo, perché la religione ortodossa, evidentemente, non è estranea alla sua formazione. Il fondo oro è quello di una delle sue più laiche installazioni, quella che si chiama Tragedia civile. Apparentemente, non avrebbe un’idea di sacralità, però, accanto a questa, troviamo un attaccapanni, con un cappotto, con un cappello, con un’assenza di un uomo e percepiamo l’ombra di quest’uomo, che viene quasi assorbita da questo fondo oro che, comunque, nella tradizionale iconologia è l’assoluto del cielo, è l’ascesa, è la grazia divina. Quindi, immaginiamo che siamo di fronte a una morte. Questo titolo, Tragedia civile, oltretutto, è un titolo che viene concepito nel 1975; quindi, siamo in pieni anni di piombo, in un momento di terrorismo, in un momento di cupezza dell’Italia e, quindi, di vittime e di conflitto. L’opera viene fatta sulla parete di una galleria, a Napoli, la galleria di Lucio Amelio. Nel 2009, questa stessa galleria ospita un’altra versione. La galleria non è più di Amelio, è di Alfonso Artiaco ma la parete è identica. Su questa parete lui fa esplodere il fondo oro, lo trasforma in una serie di schegge, che sono impazzite e rimangono un po’ come brandelli appese a una rete metallica. Quello che prima era un dramma e poteva essere un inizio di una pièce teatrale, qui diventa una tragedia. Il cappotto, che aveva ancora una forma, una riconoscibilità ed era ancora civilmente appeso a un attaccapanni, diventa una massa informe di stoffa e di cappotti uno sull’altro e di cappelli, completamente spiegazzati che non parlano più di un uomo ma parlano di una folla anonima. Siamo passati da qualcosa che poteva essere un Umanesimo a qualcosa che non lo è più. Insisto nel dire che questo percorso, questo tragitto, queste due versioni della stessa opera, sono qualcosa che ci colpisce nel profondo e che ci racconta molto anche del nostro mondo”. Carla Scagliosi: “Nell’installazione di Mimmo Paladino Senza titolo, il ritmo è fondamentale; è un ritmo estremamente pulito, armonico, di una luminosità che comporta, sul bianco, lo spiccare di limoni dorati. Sono il simbolo della ricerca dell’interiore dell’artista, della sua creatività, che emerge nel ritratto al centro dell’opera, dal quale spunta un ramo e dai limoni immersi in una luce dorata che è quella della simbologia del metallo più prezioso, l’oro, appunto.” L’oro simboleggia il sacro, il divino, l’incorruttibile; eppure, di contro, ci rimanda all’umanissima corruzione. Il tutto, espresso in un cortocircuito artistico di enorme pregio, firmato da grandi maestri della Storia dell’Arte, di epoche e stili diversi ma tutti alle prese con le fascinazioni di un colore che abbaglia e rapisce, un colore dal lirismo assoluto.

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