Per la nuova puntata di FLASH abbiamo visitato l’Adi Design Museum, luogo dedicato alla collezione del Compasso d’Oro, memoria storica del design italiano dal 1954 a oggi.
Siamo in un luogo storico di Milano, negli anni 30 infatti l’edificio oggi sede dell’ADI Design Museum era usato sia come deposito di tram a cavallo che come impianto di distribuzione di energia elettrica. 5.135 mq di superficie suddivisa in spazi destinati alle esposizioni, ai luoghi di incontro e alla conservatoria museale, e già entrando si nota come il patrimonio di archeologia industriale sia il carattere distintivo del museo stesso.
La piazza-giardino antistante al Museo ora è intitolata al famoso premio Compasso d’Oro. L’ADI custodisce al suo interno l’intero repertorio dei progetti appartenenti alla Collezione storica del Compasso d’Oro, premio nato nel 1954 da un’idea di Gio Ponti per valorizzare la qualità del design Made in Italy, e oggi il più importante riconoscimento del settore a livello mondiale.
“Si tratta del patrimonio costruito in settant'anni di storia del premio, un patrimonio collezionato lentamente", ci racconta Luciano Galimberti, Presidente ADI - Associazione per il Disegno Industriale. "E’ una fotografia del patrimonio materiale, istantanee successive una dietro l'altra di quello che è il nostro paese. Ogni giuria ha fotografato a suo modo un momento storico, delle priorità. Quindi l'idea di avere una dietro l'altra rappresentate queste priorità ci dà una lunga sequenza fotografica di ciò che è stato il nostro Paese e, speriamo, di cosa sarà.”
C’è l’eclissi di Magistretti, c’è il famosissimo Grillo, il telefono esposto ora al MoMA di New York; ci sono le tazze impilabili di Gio Ponti; c’è la Lettera 22, c’è la tinozza della Kartell, simbolo dell’inizio dei cosiddetti “anni della plastica”; ci sono i primi elettrodomestici compatti che hanno accompagnato il cambiamento della vita quotidiana degli italiani negli anni ’70. Perché il design è anche questo: barometro del nostro tempo.
ADI, un museo di ricerca
Nessuna celebrazione del design, perché l’ADI non vuole essere un museo celebrativo, bensì di ricerca.
“Il design”, ci spiega Luciano Galimberti, “viene presentato nel suo contesto. E’ stata una scelta strategica e di responsabilità, ci sono tanti musei celebrativi che fanno benissimo il loro lavoro. Noi abbiamo cercato di occuparci non solo degli addetti ai lavori, ma soprattutto del grande pubblico per spiegare perché un oggetto di uso comune sia meritevole di far parte della storia della nostra vita e di entrare nella collezione di un museo. Spiegare, per esempio, perché un oggetto che si trova in una cartoleria abbia un valore come oggetto di design. Per fare questo abbiamo cercato un format di spiegazione che fosse coinvolgente, che spiegasse le motivazioni di questo prodotto, le storie che ci sono dietro le imprese, dietro ai progettisti, insomma tutto il sistema di comunicazione e di educazione che sta dietro al singolo pezzo. L'idea è quella di dare una strumentazione della qualità di questi oggetti, di come questi oggetti siano meglio di altri.”
“Che cosa deve avere un oggetto”, chiediamo a questo punto al presidente di ADI, per essere definito di design?
“Questa è una domanda difficilissima”, ci risponde Galimberti. “Un oggetto di design deve avere prima di tutto una capacità relazionale. Ed è soprattutto il design Made in Italy a possedere questa capacità, al di là di una forma bella e accattivante. Il design italiano non ha mai cercato forme iconiche, le forme iconiche sono arrivate per conseguenza della capacità di relazione che questi oggetti hanno con la società, attraverso le grandi questioni della contemporaneità e dell'intimo profondo dell'uomo; sono capaci di suscitare domande, emozioni e di mettersi in relazione col proprio contesto. Questo è il vero design.”
La narrazione del design
Un oggetto di design deve avere la capacità narrativa di quella che è la contemporaneità. Non è soltanto, come abbiamo detto, un bell'oggetto decorativo, ma proprio perché ha anche una sua funzione d’uso deve avere un senso, quindi una scelta strategica, la responsabilità ad esempio sociale e ambientale. Spesso quindi questi prodotti hanno bisogno di una narrazione, proprio per spiegare le grandi scelte che gli stanno dietro e il nostro museo cerca proprio questo tipo narrazione, comprensibile e accattivante.”
E a proposito di narrazione, chiediamo al presidente di ADI, c'è proprio una sezione del museo che viene regolarmente aggiornata.
“La domanda di fondo che ci siamo posti è che per quanto bella e interessante possa essere una collezione dopo che si è vista una volta normalmente il grande pubblico non torna a rivederla. Sulla base di questo presupposto abbiamo deciso di allestire una mostra all'interno della mostra: ogni edizione viene preso in considerazione un pezzo e viene esplorato con un approfondimento specifico. Ogni anno diamo un tema guida comune a tutti questi oggetti, un tema attraverso il quale leggere questi oggetti. Ad esempio, c'è stato il tema della libertà, piuttosto che il rapporto con le imprese. Quest'anno abbiamo scelto l'elemento della discontinuità, la capacità di questi oggetti di creare una svolta all’interno o di una tipologia di prodotto, o economica, o sociale e quindi leggere il design in parte come fotografia di questi eventi e in parte come elementi che hanno favorito questi cambiamenti, quindi con una responsabilità culturale, sociale oltre che economica.”
Il taglio divulgativo
Una galleria vetrata, asse portante del museo, unisce via Ceresio con via Bramante diventando una vera e propria nuova via del design.
L’ADI si presenta infatti come punto di riferimento della community del design, ma grazie al suo taglio divulgativo è anche capace di parlare ai non addetti al settore. E’ uno spazio aperto a tutti, anche a chi non visita una mostra, un luogo di incontro dove respirare il design.
“Il museo nasce dall'associazione, l'associazione per sua definizione guarda ai propri associati”, ci spiega Galimberti. “Nel momento in cui l'associazione ha creato questo museo cambia completamente la prospettiva di responsabilità, si rivolge al grande pubblico, alla cittadinanza, al pubblico internazionale. Quindi l'idea di non fare un museo celebrativo appunto, ma fare un museo di ricerca prevede il confronto continuo con le questioni della contemporaneità. Accogliamo infatti il più possibile diverse questioni in un intreccio per esempio tra arte, musica, ma anche con la presentazione di molti libri, proprio perché sono argomenti che costruiscono un dialogo all'interno della disciplina e rendono la disciplina più comprensibile al grande pubblico.”
Al centro il Made in Italy
Il progetto espositivo evidenzia i tratti più specifici di ciò che oggi chiamiamo Made in Italy, e come la cultura del design abbia permeato tutte le diverse fasi dello sviluppo del paese. Ha dato umanità ai processi della produzione di massa, ha consentito di ripensare l’offerta dei servizi, ha rafforzato la spinta dei distretti industriali favorendo l’incontro con la scienza e la tecnologia, ha contribuito in maniera decisiva alle trasformazioni del sistema manifatturiero, consentendo un posizionamento del prodotto italiano nella fascia alta dei mercati a livello internazionale.