Hungry Ghosts, esce il libro di Gabriele Tinti e Roger Ballen. L'intervista agli autori
Lifestyle Portrait of sleeping girl, courtesy Roger BallenDal 31 ottobre, il giorno della festa di Halloween, è disponibile “Hungry Ghosts”, un prezioso volume che attraverso le parole di Tinti e le immagini di Ballen rende presente l’assente, ciò che è perduto e che tuttavia può tornare, i fantasmi della nostra mente, le forze soprannaturali. È una fantasmagoria che dà voce alla parte rimossa della nostra esistenza, agli incubi e ai cattivi pensieri, a ciò che si vuole disperatamente allontanare oppure riavere. Ecco cosa ci hanno raccontato i due autori
Ci sono libri che sono portali per altri mondi. Volumi meravigliosamente "pericolosi" che sfuggono a qualsivoglia definizione. E' il caso di Hungry Ghosts pubblicato da Eris Pres e disponibile a partire dal 31 ottobre. I testi di Gabriele Tinti e le immagini Roger Ballen ci trasportano in altre, oscure e fascinose dimensioni. Un libro ideale per restituire alla festa di Halloween il suo significato più autentico
Il titolo e l’impianto strutturale sono derivati dal Petavatthu, una scrittura buddista Theravada che consiste in una raccolta di cinquantun poemi attraverso i quali si evocano le storie drammatiche degli spettri, dei defunti irrequieti, della loro sofferenza dovuta alle cattive azioni compiute nelle vite precedenti così come della possibilità di una redenzione. Il libro mantiene questa impostazione formale e contenutistica combinandola con la suggestione delle epigrafi del mondo antico. Sono quindi cinquantun poesie quelle composte da Tinti in forma di epigrammi che, in relazione alle immagini di Ballen, ci costringono a fare i conti con il mistero della nostra sete di trascendenza, con il desiderio e la paura per la morte e l’al di là.
Hungry Ghosts, intervista a Gabriele Tinti
Come ti sei avvicinato al Petavatthu?
Ho sempre letto e studiato le sacre scritture. Scoprirne una così violenta,
brutale, marginale com’è il Petavatthu, così vicina alla sensibilità dei nostri
tempi, è stato di grande ispirazione.
Come è nata la collaborazione con Roger Ballen ?
Conosco Roger da più di dieci anni. Quando l’ho raggiunto in Sudafrica, a
Johannesburg dove vive, mi ha accolto nella sua famiglia e nel suo mondo con
gentilezza, generosità. Abbiamo legato in quel periodo e, da allora, siamo
rimasti sempre in contatto. In questi anni abbiamo portato avanti due
progetti editoriali insieme e persino un album. La sua voce grave, cupa, così
come le sue immagini, si accordano perfettamente con la mia poesia.
Qual è stato il criterio con cui avete scelto le immagini da abbinare alle poesie?
È stato facile perché le fotografie di Roger sono così piene di presenze, di
apparizioni e in corrispondenza con la mia scrittura. Ogni volta che
leggevamo un epigramma dal suo archivio saltava sempre fuori l’immagine
giusta.
Come hai scelto le epigrafi del mondo antico presenti nel libro?
Lavoro da anni inserendo e sviluppando nei miei versi le epigrafi del mondo
greco romano. In questo caso, parlando di fantasmi che tornano, utilizzarle è
stata scelta obbligata. Nell’antichità l’assenza diveniva presenza attraverso la
comunicazione che l’epigrafe ogni volta sollecitava con i vivi. A parlare poteva
essere in prima persona il defunto, chi ha commissionato la sepoltura, ovvero
la pietra stessa offrendo un monologo o proponendo un dialogo. καλέω σε τί
τὸ ξένον; Ti chiamo. Che cosa c’è di strano? È l’epigrafe tratta da una stele
rivenuta ad Atene nel I secolo a.C che apre il volume e ne definisce l’umore.
Entrare in dialogo con i propri antenati non era poi così strano a quei tempi.
Ed è ciò che abbiamo in qualche modo voluto suscitare pubblicando questo
libro.
·Cosa ti affascina dell’Epigramma?
Duemila anni fa Marziale scriveva: Non opus est nobis nimium lectore
guloso; hunc volo, non fiat qui sine pane satur. E cioè “non ho bisogno di
lettori troppo golosi: voglio soltanto quelli che non si sentono sazi se non
mangiano pane”. La forza della forma breve, asciutta, essenziale, cruda,
contro la chiacchiera e lo sproloquio soporifero della narrativa o della poesia
in prosa.·Nel leggere i 51 poemi, nel guardare le immagini, anche in virtù del formato particolare del volume e nella scelta della carta, ho provato un’emozione materica, come se il libro fosse in qualche modo “vivo”, una specie di Tavola Ouija. E’ questo che tu e Roger volevate suscitare nei lettori?
Esattamente. Abbiamo lavorato a stretto contatto con Alex, l’editore di Eris
Press, davvero un maestro nel tradurre immagini e parole su carta. Occorre
un talento specifico nel farlo e lui è uno dei pochi a possederlo. Credo il
risultato sia qualcosa di vivo come dici, una sorta di formulario da portare
con sé per proteggersi e non avere paura.
·l libro è suddiviso in Abandoned Ghosts, Protectors, Guardians e Hungry Ghosts? Cosa significano per te queste categorie ?
‘Abandoned Ghosts’ apre il libro ed è un invito al dialogo. 'Protectors' è un
capitolo più “ottimista” in cui i fantasmi — dentro e fuori di noi — tornano
‘pieni di speranza' e sono presenze benevole e protettive. Infine 'Guardians'
prepara il terreno per l'ultimo capitolo, 'Hungry Ghosts', dove queste
presenze diventano affamate, spaventose, infrangono i confini e,
pericolosamente, si avvicinano.
Dalle pandemie alle guerre, la morte risulta sempre più presente nelle nostre vite. Eppure continuiamo a ignorarla a crederci immortali ed eternamente giovani. Credi che attraverso la poesia possa aiutarci ad affrontare la nostra paura e a dialogare con i defunti?
Si tende a rimuovere tutto ciò che ci fa paura. E la morte è il nostro più grande
timore, insieme alla sofferenza che alla morte conduce. Per vivere dobbiamo
credere, indossare ogni giorno il velo delle ‘care illusioni’, sperare che ci sia la
possibilità di aprire una breccia nel nulla, che ci sia qualcosa che trascenda
questa nostra vita e ne redima la brutalità, la violenza.
Hungry Ghosts, mi ha ricordato mia madre che terminata le cene durante le feste, non sparecchiava e lasciava la tavola ancora apparecchiata nel caso si manifestasse qualche presenza. Forse per aprire un portale tra la vita e la morte abbiamo bisogno di qualcosa di tangibile, nel vostro caso un libro?
Da duemila anni il libro ci attrae e seduce. Nuovi supporti, nuove tecnologie
ogni volta ne predicono la fine ma il libro resiste. È il luogo privilegiato dove
dare senso e vita alla parola che non ha necessariamente bisogno di una voce
per fiorire. Da quando venne fissata su carta, deposta in silenzio, vive un’altra
vita, un altro clamore. Al bardo e cantore delle origini, da duemila anni a
questa parte si è sostituito lo scrittore che nel proprio raccoglimento crea
senso su di una pagina. La parola vive su quel supporto di una differente
vitalità. È un silenzio pieno, denso, che aspetta l’esclusività di una lettura
silenziosa, libera, attiva, non passiva e vincolata a quella ad alta voce di altri.
È quasi sempre deludente ascoltare un reading pubblico e non è vero che è nel
respiro che ha origine la poesia! Quella vera nasce dalla rottura del respiro,
da quando si rimane senza fiato o meglio dalla memoria di noi senza fiato.
· Il libro è popolato da spirito e carne. Ma secondo te è il corpo ad avere un’anima, o l’anima ad avere un corpo?
Mi piace credere nei fantasmi, nell’immagine invisibile della forma sensibile,
nella ψυχή, psyché, anima, nella sua prevalenza sul corporale. Che ci sia
qualcosa che sopravviva al potere della morte, dell’annichilamento.
Per affrontare l’ignoto, le tenebre, come suggerisce un tuo poema, dobbiamo “Tagliare la nostra ombra”?
Sì, avere il coraggio di farlo.
Il poema “Sale agli occhi” si conclude con un verso potentissimo e spaventoso: “un’alba che non sorge”, credo sia uno delle immagini che meglio rappresenti il mondo che ci circonda. Sei d’accordo?
Nell’ora dell’angoscia, aspettando che sorga l’alba, spalle al muro, ogni giorno
bruciamo con il mondo mendicando un po’ di tempo ancora.
approfondimento
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HUNGRY GHOSTS, INTERVISTA A ROGER BALLEN
Qual è stato il criterio con cui avete scelto le immagini da abbinare alle poesie?
Selezionare le immagini per le poesie ha richiesto una sensibilità verso la loro
qualità evocativa, piuttosto che descrittiva. Le poesie suggeriscono un
sentimento o uno stato subconscio senza definirlo, lasciando spazio
all0interazione psicologica del lettore. Il mio obiettivo era creare una
relazione tra parola e immagine in cui ciascun elemento arricchisse l'altro.
Ho cercato fotografie che potessero fungere da controparti visive ai temi delle
poesie: qualcosa di inquietante, ambiguo o che ricordasse il subconscio.
Come dico spesso. "la macchina fotografica non ha orecchie"; il che significa
che una fotografia non può essere facilmente tradotta. Una buona fotografia
resiste a una spiegazione esaustiva; chiede di essere percepita. Questa serie di
accostamenti invita il lettore a muoversi tra testo e immagine, permettendo
una risonanza che va oltre il linguaggio.
Come mai ha scelto di utilizzare la fotografia in negativo per Hungry Ghosts?
Ho pensato le immagini in negativo per ‘Hungry Ghosts’ perché queste
eliminano il familiare, concentrando l'attenzione su ciò che si nasconde sotto mla superficie—su quegli aspetti della vita che sono celati o irrisolti. L’effetto negativo trasforma la realtà in un paesaggio inquietante, ultraterreno,
evocando la natura sfuggente dei desideri mai soddisfatti e dei rimpianti
ossessivi, l’essenza stessa di queste emozioni "affamate" che si rifiutano di
essere acquietate. Questa qualità spettrale attinge al concetto buddista del
"fantasma affamato" dal Petavatthu, incarnando le brame irrequiete e i
desideri insoddisfatti che perseguitano i vivi e morti. In ‘Hungry Ghosts’, il
dialogo tra il mio immaginario e i versi di Tinti va oltre le espressioni
convenzionali, esplorando i confini inquietanti tra la vita e la morte. I versi
epigrafici di Tinti —noti per la loro essenzialità e risonanza
inquietante—rispecchiano l’essenza ridotta all’osso del negativo fotografico,
dove l’assenza diventa presenza. Insieme, le immagini e le poesie invitano il
lettore a confrontarsi con un mondo spettrale che inquieta e affascina al
contempo, risuonando con le meditazioni di sempre sull’aldilà.
Qual è il tuo rapporto con la morte e con i fantasmi?
La morte e i fantasmi sono elementi essenziali dei paesaggi che esploro,
rappresentando aspetti irrisolti della psiche —i ricordi, le paure e i desideri
che perdurano. Per me, i fantasmi sono simboli di ciò che non possiamo
pienamente comprendere o lasciar andare. Il mio lavoro si confronta con
questi temi come porte d’accesso ai misteri più profondi della vita, con la
morte come una presenza costante e inconoscibile che segna il confine tra
memoria e realtà. A partire da ‘The Theatre of Apparitions’, sono stato
affascinato dall’aldilà, chiedendomi se questo sia puro vuoto, un regno di
spiriti o qualcosa che va oltre ogni nostra possibile comprensione. Questi
spazi sono abitati non solo da fantasmi, ma anche da ricordi, storie e
impronte spirituali lasciate nel decadimento. Questa inquietudine aggiunge
un livello metafisico al mio lavoro, collegandolo ai temi della vita, della morte
e della presenza di ciò che si trova al di là del percepito.
·In molte illustrazioni sono presenti animali. Per te hanno una funzione apotropaica?
Gli animali nel mio lavoro sono simboli psicologici che incarnano istinti
primordiali, paure ed elementi del subconscio che spesso non vogliamo
confrontare. Si potrebbero interpretare come portatori di una funzione
apotropaica, figure protettive destinate a scacciare il male o le forze negative.
Tuttavia, mi piace sfidare lo spettatore a interrogarsi su cosa costituisca il "negativo". Nelle mie immagini, il loro ruolo è più leggero: invece di respingere
minacce esterne, ci attirano verso l'interno, invitandoci a confrontarci con il
nostro io più profondo e istintivo. Gli animali vivono al di là delle costruzioni
umane, rappresentando un regno incontaminato e istintivo che riflette il lato
selvaggio della mente. In questo modo, diventano sia guardiani che porte
d’accesso a ciò che non conosciamo.
Surreali, Visionarie, fantasmagoriche, mi sembra che le tavole siano, però, anche una trasfigurazione della terrificante realtà che ci circonda. È così?
Sì, è così. La natura surreale del mio lavoro è indissolubilmente legata agli
elementi inquietanti della realtà stessa. Nel mondo del ‘Ballenesque’, i confini
tra il reale e l' irreale si dissolvono. Le mie immagini riflettono sia realtà
interne che esterne, dove il "terrificante"; spesso funge da specchio per le
ombre nascoste della società. Distorco le forme familiari con l'intento di
guidare gli spettatori in uno spazio in cui sia possibile confrontarsi con gli
aspetti complessi e spesso nascosti dell’esistenza non come mera fantasia ma
come dimensioni essenziali della vita.