Il ritmo della libertà, il saggio di Roberto Menotti e Maurizio Sgroi

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Sabrina Rappoli

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Menotti e Sgroi scrivono un saggio alla scoperta del Tempo che, se ben usato, diventa Libertà. I due autori provano a spiegarci come fare, passando attraverso diverse discipline. L'intervista

 

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E' in libreria, per Rubbettino Editore, il saggio di Roberto Menotti e Maurizio Sgroi "Il ritmo della libertà", con la prefazione di Marta Dassù. Abbiamo incontrato gli autori

 

Partiamo dal titolo, come lo spieghereste a un "alieno"?

 

Libertà è la condizione che ha reso e può ancora rendere le società prospere, dando opportunità agli individui di esprimere la loro creatività (un “bene” senza limiti e che si può sempre condividere) e ai gruppi di formarsi, allargarsi, sciogliersi senza coercizione. La ricchezza materiale (cose e servizi) e il benessere (molto più difficile da perseguire e spesso soggettivo), richiedono libertà e nutrono a loro volta la libertà. Il problema è che essere liberi significa accettare molte responsabilità (non solo regole e limiti per non danneggiare altri, ma anche il compito di decidere con la propria testa).

Per coniugare libertà e responsabilità serve tempo – letteralmente – cioè si deve avere il tempo di studiare, sperimentare, imparare, sbagliare, innovare, sbagliare ancora etc.. Serve memoria del passato, senza cadere nella semplice nostalgia (tanto non torna comunque): è questo il “ritmo” della libertà, cioè la capacità di far lavorare il tempo a nostro favore, come nella musica. Senza avere paura di sbagliare qualche nota, e scegliendo il ritmo che preferiamo, purchè si rispetti il passato e si provi a capire il perché degli errori.

Libertà sta anche per possibilità quasi infinite da esplorare: il futuro non è affatto “ad aspettarci”, perché non c’è ancora, viene costruito nel fare e nel pensare. Gli algoritmi non sanno nulla del futuro: semplicemente proiettano il passato (i big data) per creare uno scenario di domani che è identico a ieri, una specie di ombra sbiadita che non ha nulla a che fare con la nostra creatività.

 

Perché avete scelto un approccio multidisciplinare, nella stesura del vostro lavoro?

 

Perché le discipline da cui proveniamo (Scienze Politiche e relazioni Internazionali per me, Economia ma anche Filosofia per Maurizio), ci sembrano decisamente troppo limitanti per dare un quadro di insieme delle società di oggi. Sono strumenti utili a “smontare” e isolare frammenti di realtà, ma rischiano sempre di chiudere troppe porte rispetto a quelle che possono aprire. Tutte le discipline umanistiche sono basate su assunti poco realistici (soprattutto il concetto di “razionalità”) che sono ormai apertamente contraddetti dalle conoscenze biologiche e neurologiche, dalla psicologia sperimentale e dall’arte. Anche un approccio artistico può aiutare a capire quello che accade, visto che gli artisti sono spesso precursori di grandi cambiamenti e più in generale danno per scontata la fusione di “corpo e mente” che invece molti si ostinano a separare: come altro si può spiegare l’improvvisazione di un pianista se non con un mix totale di mani, cervello, memoria, emozione, studio teorico, pratica, intuizione, tecnica. Perché mai le cose dovrebbero andare diversamente in politica e in economia?

 

Perché avete deciso di parlare di TEMPO, declinato alla vostra maniera, ovviamente, ma che rimane - comunque - un elemento noto a tutti e da tutti ora apprezzato ora temuto?

 

Il tempo è visto quasi sempre come un’unità di misura, un modo per descrivere il cambiamento, oppure una specie di gabbia alla quale non si può sfuggire. A noi sembra che il tempo sia invece un ingrediente attivo della vita: si pensi all’evoluzione per selezione naturale (Darwin), per cui se si lascia agire il tempo (molto tempo) possono succedere cose apparentemente incredibili. Si pensi alle decisioni quotidiane, fino a quelle drammatiche di un leader politico: la decisione di oggi NON è quella di ieri e di domani, semplicemente perché è “passato del tempo”, e dunque sono cambiate le percezioni, le speranze, le paure, le opzioni. Si pensi alle famose “aspettative” in economia: non sono soltanto delle previsioni o delle ipotesi, ma veri fattori di cambiamento che creano una situazione diversa da quella di partenza.

Tornando al tema del futuro, il tempo non ci “dirà” nulla, perché il futuro ancora non è scritto: saremo noi esseri umani a dirci qualcosa “nel tempo”.

Insomma, il tempo può sembrare ovvio, ma dalla fisica (certamente quella post-einsteniana) alla psicologia sappiamo che il tempo è paradossale, incerto, elastico. Per certi versi è davvero inesorabile, ma possiamo farne molte cose diverse se prendiamo il ritmo o ne inventiamo uno adatto a noi.

Gli autori

 

Roberto Menotti, senior advisor presso l’Aspen Institute Italia, è direttore Scientifico di Aspenia online e vice direttore di Aspenia. Membro del Board scientifico NATO Defence College Foundation, ha insegnato alla John Cabot University, Roma e

all'Università degli Studi Internazionali di Roma - UNINT. Autore di cinque libri, con Rubbettino ha pubblicato Decidere. Come le società liberali affrontano la complessità, 2021.

 

Maurizio Sgroi, poligrafo, studia la storia della globalizzazione. Ha scritto per numerosi giornali. Collabora con Aspenia online e con il blog Econopoly del Sole 24 Ore. Cura il blog TheWalkingDebt.org dove scrive soprattutto di economia. Il suo ultimo libro Storia della ricchezza, Diarkos, 2023.

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