L'Arte Pop di Robert Indiana in mostra alle Procuratie Vecchie di Venezia

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Sabrina Rappoli

Sabrina Rappoli

Credit: Marco Cappelletti

Si intitola Robert Indiana: The Sweet Mystery, è dedicata al celebre artista statunitense ed è evento collaterale ufficiale della 60^ Esposizione internazionale d'Arte della Biennale; aperta al pubblico fino al 24 novembre. L'abbiamo visitata per la rubrica Flash

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E' un'ottima occasione per approfondire o per avvicinarsi all'opera di Robert Indiana, l'esposizione che anima gli spazi delle Procuratie Vecchie. L'edificio, che si affaccia su Piazza San Marco, è stato da poco sapientemente restaurato dal celebre architetto David Chipperfield, vincitore del prestigioso Premio Pritzker.

Il percorso espositivo, che abbraccia oltre 50 anni di carriera di Indiana, si articola su una quarantina di opere, iconiche della sua produzione e in qualche caso mai esposte prima.

 

 

Elementi
Credit: Marco Cappelletti

All'anagrafe Robert Clark, l'artista decise di cambiare il suo cognome in Indiana, rendendo così omaggio allo Stato americano dove era nato, il 13 settembre del 1928. Indiana arrivò a New York nel 1954, una città che lui amò molto e che gli permise di entrare in contatto con la scena artistica dell'epoca e di diventare, di lì a poco, uno degli esponenti più apprezzati della Pop Art statunitense.

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Credit: Marco Cappelletti

I suoi lavori indagano il suo rapporto con la spiritualità, con l'identità, con l'essere umano, affrontano anche temi sociali e politici. Il titolo della mostra "The Sweet Mystery", arriva direttamente da una delle sue opere, una delle prime in cui l'artista aveva inserito le parole, elemento iconico che lo accompagnerà per tutta la sua carriera.

Lo stesso discorso vale per i numeri: anch'essi ricorrono di frequente nella sua produzione artistica. "I numeri riempiono la mia vita, anche più dell'amore" - diceva Robert Indiana - ed è per questo, forse, che diventano così importanti nella sua Arte. Li riporta ovunque, sono una costante. "La nostra giacca ha 4 bottoni, la nostra camicia ne ha 6, le nostre case hanno 4 mura; poi ci sono i numeri di telefono, del conto in banca, le date dei compleanni. Insomma, siamo sommersi, circondati, sopraffatti da numeri".

L'artista possedeva anche una certa temperatura spirituale, che si icarnava  attraverso l'utilizzo di parole come EAT e DIE: mangia e muori, vocaboli che incontriamo spesso nelle sue creazioni. La prima volta, questo binomio comparve nel 1962. Si riferiva alle parole pronunciate da sua madre prima di morire e cioè: Ragazzo, hai mangiato qualcosa?

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Credit: Marco Cappelletti

Un successo enorme riscosse anche la parola LOVE, che divenne subito - era il 1964 - un elemento fondamentale della sua Arte. L'idea era nata come una Christmas Card per il MoMa di New York; poi, l'artista aveva continuato a utilizzarla, fino a renderla identificabile con la sua persona.

Robert non riuscì mai a registrare i diritti d'autore per la parola LOVE, incontrando, pertanto, difficoltà a scoraggiarne l'uso non autorizzato. E' probabile che sia per questo che, in seguito, LOVE è stata commercializzata come soprammobile, oggetto da scrivania, fermacarte, poster da incorniciare, trasformandosi in un'icona della sua Arte. LOVE, con la O inclinata e le lettere che la compongono sovrapposte, è -  comunque - intimamente legata alla figura di Robert Indiana. 

Love
Credit: Marco Cappelletti

E' probabile che non tutti sappiano che LOVE, declinata da Robert Indiana in molti  materiali e colori e tradotta in diverse lingue, sia un'opera d'Arte e invece è proprio così. E' stato il guizzo del suo animo sensibile, profondo, della sua mente fervida a renderla tale. Un uomo, Indiana, che si è guadagnato un posto d'onore nalla Cultura Pop, sposandola perfettamente col suo modo di essere e di fare Arte.

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