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Un'educazione orientale, viaggio a Beirut con Charles Berbérian

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Gabriele Lippi

In bilico tra memoir, reportage di viaggio e saggio storico, il fumettista francese ripercorre la sua adolescenza in Libano ritrovando le sue radici attraverso le ferite del Paese

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Beirut è una città ferita dalla storia. Più e più volte. Che porta in sé mille contraddizioni, promesse infrante e maledizioni che sembrano non volersi spezzare mai. Charles Berbérian, esponente di spicco della nuova bd francese, a Beirut ci è cresciuto. Soltanto per sei anni, ma forse i più importanti per formare l’uomo che è. Ed è lì che la sua mente è tornata alla ricerca di radici solide nel periodo di reclusione domestica forzata causato dalla pandemia di Covid. È in questo contesto che nasce, all’inizio quasi casualmente e per accumulo di fotografie mentali, Un’educazione orientale, splendido fumetto che BAO Publishing ha portato in Italia in un volume brossurato di 136 pagine in vendita al prezzo di 22 euro.

In Un'educazione orientale, Charles Berbérian alterna disegno e foto

Tra passato e presente

In questo intenso e complesso graphic novel, Berbérian intreccia riflessioni presenti a ricordi del passato, sovrapponendo il racconto biografico alla storia del Libano, tracciando due grandi linee di demarcazione all’interno della stessa: la guerra civile del 1975, che portò lui e la sua famiglia ad allontanarsi definitivamente dal Paese per cercare e trovare tranquillità in Francia, e l’esplosione di un deposito di nitrato di ammonio al porto di Beirut nell’agosto del 2020. Due ferite profonde, l’ultima delle quali ha lasciato un marchio anche nella memoria individuale e familiare dell’autore, distruggendo il palazzo Tarazi, quello dove viveva la sua Yaya (nonna) Lucy.

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Foto, figure stilizzate, disegno caricaturale

Berbérian dà al suo fumetto una struttura ibrida, apparentemente confusa, alternando fotografie, figure stilizzate, disegno caricaturale, ritratti più realistici, e ammassando sullo sfondo strade e palazzi a volte definiti, altre meno, ma sempre capaci di restituire l’identità schizofrenica di una città in cui vecchio e nuovo si mescolano in maniera disarmonica eppure estremamente affascinante. Protagonista, più di ogni altro, è proprio il palazzo Tarazi, col suo colore giallo a spiccare tra i grigi del porto.

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Un viaggio tra i vicoli della memoria

Seguire l’autore tra le strade di Beirut e dei suoi ricordi significa intraprendere un viaggio tra i vicoli e i labirinti della memoria e di una città in cui “il passato è doloroso e il futuro fa paura” e “ogni nuovo giorno è un dono del cielo e bisogna saperne godere al meglio”. Significa aprire la porta della sua intimità, scoprire i suoi affetti più cari, comprendere il senso delle origini, il legame con un luogo che ha smesso di essere del corpo per diventare dell’anima. Significa, anche, aprire una finestra sul Libano, la sua storia, la sua situazione socioeconomica e politica, approcciandosi al duro J’accuse che l’autore rivolge ai politici internazionali co-responsabili del disfacimento del Paese, senza risparmiare nessuno.

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Tra i botti della storia

Se Berbérian, col suo ultimo viaggio a Beirut, ha saputo ritrovare le proprie radici e i propri legami familiari, offrendo uno spaccato di vita personale, per il lettore la sensazione è quella di viaggiare attraverso le strade della storia, con le loro ramificazioni, al riparo da quei botti micidiali che ci arrivano attutiti e che “se li senti vuol dire che non sono caduti su di te”. Ma il cui rumore, in qualche modo, non può non risvegliare le nostre coscienze.

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Charles Berbérian, Un'educazione orientale, BAO Publishing, 136 pagine, 22 euro

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