Sally Bayley: "A 14 anni ero seguita dagli assistenti sociali, ora sono prof di Oxford"

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Ludovica Passeri

Ludovica Passeri

L’autrice britannica è in libreria con “The Green Lady”, edito da Edizioni Clichy.  I romanzi di Bayley sono un intreccio di personaggi reali e inventati, storici e privati, tante donne e pochi uomini. Una guida alla lettura di una delle più originali ed eccentriche voci della letteratura contemporanea 

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Se tutti avessero la sua capacità di elaborare i traumi dell'infanzia e di trasformarli in romanzi, il mondo pullulerebbe di scrittori. Sally Bayley, autrice britannica che ha raggiunto il successo nel 2018 con “La ragazza con la colomba”, è sopravvissuta a una famiglia che oggi definiremmo disfunzionale e ci è riuscita grazie alla letteratura. Tutto parte da lì, da un'infanzia complessa che è il pretesto e lo sfondo di ogni libro, e dalla casetta nell'Inghilterra meridionale in cui la piccola Sally è cresciuta assieme alla mamma, alla nonna e a una zia ingombrante. Chi si avventura nei libri di Bayley finisce in un mondo popolato da donne: quelle della famiglia, insegnanti tanto ordinarie quanto straordinarie e eroine storiche. E gli uomini? Ce ne sono, ma si tratta soprattutto degli spettri di artisti morti e di sagome di personaggi letterari, non sempre positivi. Quelli di carne ed ossa l’hanno delusa e per questo ha avuto presto bisogno di rimpiazzarli con prodotti dell’immaginazione. Bayley ci chiede solo di chiudere gli occhi e seguirla senza fare troppe domande, come quando da bambini l'amico del cuore ci portava a scoprire il suo posto magico. L’abbiamo incontrata a Milano dove è stata ospite di Book Pride per presentare "The Green Lady", l'ultimo capitolo, edito da Edizioni Clichy, di una serie che è stata ribattezzata  la “trilogia dei libri che salvano la vita”. Sally Bayley ha più di cinquant’anni ma ne dimostra una quindicina di meno: “È  genetica” spiega “tutte le donne della mia famiglia sono invecchiate tardi”. Abita su una chiatta ormeggiata sul Tamigi, una casa stramba immersa nella natura dove tiene anche le sue lezioni di scrittura creativa. Quando può e quando non ha un libro in mano, si rifugia nei film in bianco e nero e in particolare nella fortunata saga di Miss Marple: “Amo Margaret Rutherford”. Chiede sempre alle persone che incontra il nome di battesimo e, quando serve, di farne lo spelling. È ossessionata dai nomi delle cose e delle persone, perché per Bayley le parole sono importanti, soprattutto quelle che ci portiamo dietro per tutta la vita.

Partiamo dal principio. Dove nasce Sally Bayley?

Sono cresciuta in una famiglia tutta femminile, in cui gli uomini erano assenti.

 

Che aria si respirava in casa?

La mia infanzia è stata come crescere in una setta. Ero tenuta lontana dal mondo. La mia famiglia era dominata da un personaggio: mia zia.

 

Come ha influenzato la sua vita questo “personaggio”?

Comunicava in modo incomprensibile, quasi in estasi, nel senso che parlava una lingua religiosa che sapeva decifrare solo lei. Ho cominciato a leggere a quattro anni per contrastare la lingua privata di mia zia. Dall'età di cinque anni è cominciata la mia frequentazione delle biblioteche. Ogni settimana mi rifugiavo nelle sale di lettura. Trovavo i miei libri, ma soprattutto trovavo le mie parole, me ne appropriavo. Le parole mi rendevano potente al cospetto di mia zia, perché mi permettevano di replicare, controbattere, contrastarla attraverso la lingua, una lingua diversa da quella che parlava lei.

 

La sua non è stata un'infanzia facile

Sono stata la prima bambina seguita dai servizi sociali della contea del West Sussex ad andare all'università. In altre parole, sono stata la prima bambina seguita dagli assistenti sociali ad andare all'università in tutto il Regno Unito e hanno dovuto ripensare la burocrazia per me.

 

Ha sentito il peso della responsabilità?

Ripensare la burocrazia significa che per me hanno dovuto modificare anche la modulistica esistente. Nessuno del mio background era mai andato così lontano negli studi, per questo sfuggivo agli schematismi dei documenti da compilare. Ricevevo anche dei sussidi dallo Stato. Quindi per tutte queste ragioni ho sentito un senso di elezione e ho acquisito via via fiducia in me stessa, perché l'assistente sociale stessa dubitava di me. Io i suoi dubbi li percepivo. Non credeva fino in fondo che io potessi farcela e così ho dovuto vincere le sue perplessità. Anche questa è stata una necessità.

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Che Regno Unito racconta?

Sono cresciuta in una cittadina nella piccola Littlehampton nel West Sussex, sulla costa britannica, povera e operaia. E questo non è un dettaglio: nei miei libri parlo dei negletti, di chi vive nelle baracche, in alloggi di fortuna, delle comunità di diseredati. Rappresento le persone che non hanno alcun reddito, uomini logorati, uomini indigenti che bevono per sopportare il peso della vita, gli uomini da cui sono stata circondata da bambina. Allo stesso tempo offro una versione romantica del Regno Unito. Sono cresciuta in riva al mare che è fonte di positività. I miei romanzi sono pieni di blu.

 

Oggi cosa prevale, il romanticismo o il nichilismo?

La negligenza, il disinteresse. Il Regno Unito sta decadendo, è un paese lacerato. L'élite ricca è sempre più ricca e c'è una sempre più ampia schiera di dimenticati e impoveriti.

 

E nel suo libro cosa si ritrova?

Direi che “The Green Lady” lascia un messaggio di speranza, è un libro pieno di luce, tutta la luce è racchiusa in un personaggio. C'è il famoso pittore inglese William Turner (n.d.r. forse il più noto esponente del Romanticismo pittorico). La bambina narratrice  immagina che sua nonna sia una sua parente. La bambina proietta le sue speranze in questa figura maschile positiva.  Come la bambina che narra la storia andiamo anche noi cercando speranza, depositandola in personaggi di fantasia.

 

Chi è la Signora verde che dà il titolo al suo romanzo?

Non c’è una risposta univoca. Sono tante donne in un solo personaggio. La “signora verde” in primo luogo è la natura, il mondo vegetale in cui sono cresciuta e in cui continuo a vivere. C’era un albero in fondo al nostro giardino, un castagno con cui parlavo da bambina, come fosse una persona.  Ma allo stesso tempo “The Green lady” è anche mia nonna, la donna che mi ha insegnato a leggere e tutte le insegnanti che mi hanno introdotto alla letteratura. C'è un personaggio chiamato Mary Braithwaite che è stata la mia prima maestra, quella che mi ha insegnato l’alfabeto. Insegnò a me e ai miei compagni la bellezza di leggere all'aperto sotto gli alberi. C’è anche un personaggio storico dietro a questo titolo:  una suffragetta realmente esistita, Mary Neil. Mary Neil è passata alla storia perché insegnò alle poverissime sarte di Londra a ballare e cantare e a leggere Shakespeare.

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Lei ricorda il giorno in cui si è sentita per la prima volta scrittrice?

Molto presto, lo racconto nel libro. È stato il giorno in cui ascoltando leggere ad alta voce la mia insegnante Mary Braithwaite cominciai a capire nitidamente il senso delle parole e a figurarmi le immagini dietro alle parole. Ho realizzato in quel momento che le parole mi appartenevano e che con le parole avrei costruito il mio mondo.

 

In che senso le appartengono?

Le parole per me sono sempre stati oggetti magici. Non sono statiche, si muovono e sono dotate di una loro forza vitale. Quando leggo, le parole entrano nel mio corpo, mi attraversano. È  un’esperienza viscerale, diventano parte di me, come se fossero cuore, polmoni, i miei reni. È così che vedo le parole, un altro corpo che vive dentro di me, mi rendono forte e mi fanno andare avanti.

 

“The Green Lady” è la scoperta di questo potere?

Prima “La ragazza della colomba” che racconta l’avvicinamento alle biblioteche, poi “No Boys Play Here” in cui ci sono i vuoti creati dagli uomini colmati con la letteratura, infine “The Green Lady” che è l’ultimo pezzo di una trilogia, che finisce appunto con il raggiungimento della maturità artistica della bambina che si trasforma da lettrice a scrittrice e quindi in artista, pittrice, musicista, poetessa.

 

E il prossimo?

Sarà fuori dalla trilogia ma sarà “compagno” di “The Green Lady”. L'ho già scritto, si chiamerà “Pond life”, un'esplorazione della vita organica e della conoscenza organica del mondo. Ovviamente ci saranno tante donne e ci sarà molto di me.


Lei è passata dall’essere una minore presa in carico dagli assistenti sociali a Oxford, dove insegna scrittura creativa. Verso quale autore cerca di indirizzare l'amore e l'interesse dei suoi giovani studenti?

Insisto sul fatto che debbano conoscere profondamente Shakespeare, le commedie e le tragedie, perché dentro Shakespeare si ritrova il mondo intero che è tragico e comico. Nel mio secondo libro, (n.d.r. quello in cui si indaga il rapporto e il ruolo degli uomini a suon di metafore) uno dei personaggi principali è lo shakespeariano Falstaff, un giulliare. Penso che il mondo intero sia nella sua pancia, nel suo stomaco.

 

E c’è qualche autore italiano nel suo programma? 

Nelle mie lezioni cito spesso anche Calvino, perché è stato un autore che non ha avuto paura di sperimentare. Lo cito per il suo coraggio.

 

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