Un giorno in più nel calendario, secondo la tradizione, porta male. Succede ogni quattro anni e fin dall’antichità: gli anni bisestili sono infatti stati introdotti dai romani che avevano stabilito di aggiungere un numero a febbraio. Giorni considerati “magici” e per questo facevano timore: da qui i proverbi che usiamo tutt’oggi, uno tra tutti “anno bisesto, anno funesto”
L’anno bisestile fa paura? A chi è superstizioso, sì. I proverbi e i timori della tradizione popolare sugli anni bisestili sono molti e si tramandano fin dall’antichità: sono infatti stati i romani i primi a introdurre l’anno bisestile aggiungendo un giorno a febbraio, il mese più corto, nel tentativo di far coincidere l’anno solare con l’anno civile. Poi fu papa Gregorio XIII a riformare il calendario nel 1582 che, da quel momento, si chiamò calendario gregoriano. Per capire però il perché ci sia l’idea che gli anni bisestili portino sfortuna, bisogna tornare agli antichi che vedevano i giorni “in più”, che si aggiungevano e quindi uscivano dal normale scorrere del tempo, come giorni durante i quali potevano succedere cose “magiche”. Ad aumentare il timore degli antichi, inoltre, c’era il fatto che febbraio fosse il mese che i romani dedicavano alla celebrazione dei defunti.
Proverbi e superstizioni
La paura di accadimenti magici degli antichi romani è stata poi passata di secolo in secolo, fino ad arrivare ai giorni d’oggi. “Anno bisesto, anno funesto” è solo uno dei luoghi comuni che ruotano attorno a questo evento quadriennale. Ovviamente, che l’aggiunta del 29 febbraio porti davvero sfortuna non ha alcun fondamento scientifico. E’ però vero che, senza tornare indietro di troppi anni, alcuni eventi tragici hanno segnato gli ultimi anni bisestili: basti pensare alla pandemia da Covid nel 2020 o al terremoto del Centro Italia nel 2016 per riaccendere le paure dei più superstiziosi.
L’origine dell’anno bisestile
Come abbiamo detto, i primi ad aggiungere un giorno al calendario sono stati i romani. Nel tentativo di far coincidere l’anno civile con le stagioni del ciclo solare, gli antichi hanno pensato di aggiungere un giorno al mese di febbraio una volta ogni quattro anni. All’epoca, però, il giorno in più non si metteva alla fine di febbraio ma dopo il 24 del mese che era chiamato sextus dies ante Calendas Martias, ovvero il sesto giorno prima delle calende di marzo. Aggiungere un giorno in quel punto del mese, quindi, era come ripetere due volte il giorno 24, che diventa così il bis sextum dies da cui l’italiano bisestile.
Il calendario gregoriano
Gli accorgimenti dei romani però non sono stati sufficienti. Il problema deriva dal fatto che il moto di rivoluzione della Terra attorno al Sole non duri esattamente 365 giorni, bensì 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 48 secondi. Questo scarto di ore ha fatto sì che nei secoli si ebbe un progressivo allontanamento dal reale giorno dell’equinozio di primavera del 21 marzo che provocò alterazioni nel calendario sia civile che religioso. Nel 1582, quindi, Papa Gregorio XIII decise di riformare il calendario che, da quel momento, si chiamò calendario gregoriano come correzione del precedente calendario giuliano di epoca romana.