Nippon Monogatari, Elisa Menini chiude la sua trilogia giapponese

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Le leggende del Giappone raccontate da una fumettista di Riccione che esordendo con una trilogia decisamente coraggiosa ha conquistato pubblico e addetti ai lavori. "Da piccola amavo i manga, da adulta ho deciso di scoprire le loro radici"

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Quanto è distante il Giappone. E quanto può sembrare lontana la cultura giapponese dalla nostra. Forse anche per questo, il Paese del Sol Levante, le sue tradizioni, la sua cucina, ci affascinano e colpiscono. Forse anche per questo è difficile trovare una sola persona che in un elenco delle città che vuole visitare nella sua vita non inserirebbe Tokyo. Elisa Menini, fresca vincitrice del premio Boscarato come migliore Artista, il Giappone lo ama fin da bambina, lo ha conosciuto, come molti di noi, con gli anime e i manga, e crescendo ha deciso di andare a fondo nelle radici della cultura pop nipponica. Nippon Monogatari è il suo terzo libro dopo Nippon Folklore e Nippon Yokai, ideale chiusura di una trilogia dedicata a miti e leggende del Giappone pubblicata da Oblomov e disponibile ora anche in cofanetto. E se i primi due capitoli l'avevano vista misurarsi sulla distanza delle storie brevi, il terzo la vede allungare il passo per una storia di 128 pagine che vede l'eroe Kintaro alle prese con un viaggio sulla vetta del Monte Fuji per trovare l'acqua miracolosa che sola può salvare la vita della madre malata.

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Da cosa nasce la voglia di fare un omaggio al Giappone?
Da appassionata di anime e manga, sin da piccola notavo che c’erano dei ritorni a figure e archetipi molto forti, mi sono chiesta perché c’era sempre questa ombra in ogni fumetto e ho scoperto che i giapponesi hanno ancora un collegamento molto stretto con le loro figure sovrannaturali e folkloristiche. Nonostante siano un popolo estremamente moderno sono ancora molto legati alla tradizione. Così, da adulta, ho abbandonato un po’ il manga mainstream per addentrarmi nelle leggende.

E hai fatto non uno ma ben tre libri.
Sì, sono tre perché c’è tanto materiale scritto che raccoglie la tradizione orale, dai primi del Novecento a oggi. In Italia diversi altri editori ora stanno pubblicando storie e leggende giapponesi.

Perché leggere un libro di storie giapponesi scritto da un’autrice occidentale?
Questa è una delle domande che mi sono fatta io all’inizio. Tutti pensavano che io lo facessi per i giapponesi, ma non era così. Lo facevo per gli occidentali che si volevano avvicinare a quel mondo. Tutto questo potrebbe quasi sfociare in appropriazione culturale, mi si potrebbe chiedere perché invece che delle streghe in Romagna, da dove vengo io, parlo delle streghe giapponesi? Ma io vado nella direzione in cui mi sento più ispirata, in quel momento ero ispirata da quel contesto e volevo esplorare una nicchia che all’epoca non aveva aperto ancora nessuno. E poi è bello avere a che fare con qualcosa di esotico.

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Leggendo nel complesso la trilogia, si ha l’impressione che i primi due volumi siano quasi propedeutici alla lettura del terzo. L’avevi pensata così fin dall’inizio?
Assolutamente no, anche perché il primo libro era stato un esperimento. Esordire con un libro così particolare poteva portarmi a due esiti opposti: o la cosa piaceva molto e apriva la porta a un seguito, o non piaceva e io avrei smesso. I primi due sono propedeutici, è vero. Ho sempre trattato storie brevi e col terzo mi volevo mettere alla prova su una storia lunga. Allo stesso modo voleva essere una chiusura, perché non continuerò con le leggende giapponesi. Non so se l'operazione sia riuscita o meno, 128 pagine sono molte, ma mi sono voluta divertire.

Lo stile grafico, anche quello, rimanda alla tradizione artistica giapponese. Come mai questa scelta?
I più bravi a fare i manga sono i giapponesi, secondo me, è un territorio loro, impenetrabile, fatto di tantissimi anni di sovrastruttura, per un occidentale è difficile farlo. Quindi ho pensato di prendere la strada da un’altra parte, mi sono detta proviamo cosa si può fare con quelle cose relativamente antiche, che poi sono ancora molto moderne anche se risalgono a 200 anni fa. Volevo prendere il rigore di quelle regole stilistiche e vedere cosa potevano diventare trattandole in modo occidentale. Per assurdo, all’inizio pensavo di farlo anche con l’Egitto, ma ho abbandonato l'idea perché non conoscevo quel mondo.

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Come ti sei avvicinata al mondo dei fumetti?
Seguivo i cartoni in televisione, in particolar modo Dragon Ball. Ma le puntate diluivano troppo la storia, la narrazione era lenta e io volevo sapere come continuava. Ho scoperto che c’erano i fumetti e che andavano molto più veloci e in quarta elementare ho iniziato a leggere i manga di Dragon Ball. Forse può sembrare strano che una bambina di 8 anni abbia iniziato con uno shonen per ragazzi, ma all’epoca eravamo tutti molto presi.

Quanto studio c’è alle spalle di un’opera così?
Non riesco a quantificare i mesi. Per disegnare così sono andata a vedere tutte le mostre che ho potuto e tutti i libri dei più famosi incisori giapponesi. Per me era importante disegnare un kimono di un certo tipo in maniera precisa, altrimenti non sarebbe stato veritiero. Stessa cosa con utensili, piante, paesaggi. A disegnare c’è gente molto più brava di me, io ho voluto lavorare sulla fedeltà culturale.

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Delle tante storie che hai raccontato, ce n’è una che è la tua preferita?
A me piacciono tutte quelle con gli animali e ho sempre cercato di metterne parecchie. Puoi antropomorfizzarli, renderli umani, farli comportare in maniera diversa. Il Granchio e la Scimmia, l’ultima del primo volume, mi ha divertito molto, perché è strano che un granchio e una scimmia litighino per un cachi.

Hai altri progetti per il futuro immediato, ti vedremo disegnare in modo diverso?
La cosa assurda è che mi stanno chiedendo di fare dei libri che non c’entrano niente con il Giappone ma con quello stile lì. Vorrei portare avanti parallelamente due progetti: da una parte occuparmi delle cose che mi interessano oltre il Giappone, che sono un miliardo, per esempio vorrei fare un libro con tutte le Panda che sono uscite nel corso degli anni. Dall'altra vorrei proseguire anche con le leggende, perché il progetto è trasversale, letto da adulti e bambini. Mi piacerebbe far conoscere altre storie, spostandomi un po’ dal Giappone: Corea, Cina, Tailandia, Italia, ce ne sono moltissime da raccontare.

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