Arriva Matana, Leo Ortolani: "Provo a far riflettere facendo ridere"

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Gabriele Lippi

©Leo Ortolani 2021

Dal 18 marzo arriva in edicola e fumetteria la nuova miniserie del grande fumettista toscano. Una parodia che mischia lo Spaghetti Western coi personaggi e gli archetipi di Rat-Man. L'autore: "Avevo voglia di una sfida nuova. Io editor di me stesso, a volte mi censuro"

Il cappello da cowboy in testa, gli speroni agli stivali, lanciato in sella a un cavallo decisamente fuori dal comune. Così si presenta Matana nella prima pagina della nuova miniserie a fumetti firmata da Leo Ortolani e pubblicata da Panini Comics. Sei numeri, in edicola a partire dal 18 marzo, pubblicati da Panini Comics. Sei numeri tutti da ridere, come nello stile del papà di Rat-Man che qui gioca con le fattezze, il nome e gli archetipi della sua creatura più celebre abbandonata (per sempre?) nel 2017 ma mai dimenticata. Matana è un western, e fin qui è facile, una parodia, e anche questo è piuttosto evidente, ed è un fumetto umoristico. Ma è anche altro, o almeno promette di diventarlo, come spiega il suo autore.  

Matana
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Due grosse orecchie tonde e un nome che è quasi l’anagramma di Rat-Man. Nostalgia?
No, non ancora. Io sono una persona che quando chiude delle porte è difficile che le riapra, a meno che non abbia qualcosa di veramente interessante da dire, come nel caso di Cinzia e Bedelia, i volumi realizzati per Bao. Per ora sono abbastanza preso da troppe cose per tornare su Rat-Man, ma mi piace moltissimo utilizzarlo, anche perché è un personaggio presente per 20 anni e non sfruttarlo sarebbe un peccato. Stavolta ho fatto così, come succedeva anche durante la serie di Rat-Man, quando mi prendevo delle pause dalla saga per buttarlo in contesti diversi.

Dopo le parodie di grandi classici mainstream con Star Rats, Allen, 299+1, Il Signore dei Ratti, ora un genere più di nicchia come il western. Come mai?
Da una parte perché a me piacciono un po’ le sfide, mettermi in gioco, trovare strade che non ho ancora cavalcato. Ma poi vedo che Netflix sta preparando la nuova serie di Django, che anche Gipi ha fatto un western bellissimo e mi viene da pensare che, senza farlo apposta, mi sia successo quello che succede a chi fa un lavoro creativo.

Cioè?
L’artista per me è una radio, riceve gli impulsi che nessuno vede, li riproduce. Così ho fatto un western in un momento in cui sembra esserci un po’ un ritorno a un western che possiamo chiamare Spaghetti, action, con soluzioni inverosimili. Qualcosa già di per sé molto divertente. Da poco ho ripreso anche film meno famosi e ci sono delle cose veramente assurde.

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Matana
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Che cosa è per lei la comicità?
Raccontare delle storie che nessuno ha mai sentito prima e facciano scattare un cortocircuito mentale che porta alla risata.

Per far ridere vale tutto o ci sono regole di ingaggio da rispettare?
Ci sono dei limiti, sì. Quasi tutto può essere preso in giro ma a volte ci vuole la delicatezza di una piuma. Da tantissimi anni cerco di far ridere e ho sempre fatto l’editor di me stesso, quasi in maniera istintiva. Non sono aggressivo di base, non cerco scontri, e anche questo influisce sul tipo di umorismo che faccio, mi censuro da solo istintivamente.

In che senso?
Se una battuta fa ridere ma potrebbe nascondere anche una parte di pregiudizio, in quel caso preferisco non farla. A volte mi baso su cose molto personali, mi metto in gioco io, per quanto riguarda il politicamente scorretto cerco sempre di farlo in maniera intelligente, portando un pensiero. La battuta fine a se stessa possiamo farla al bar, ma non è quello che cerco io. Quello che faccio io viene stampato e rimane, ho una responsabilità diversa. 

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Anche qui, come in Rat-Man, c’è un personaggio sessualmente ambiguo, con volto e atteggiamenti effeminati e apparato genitale maschile. Come mai?
Ho rimesso insieme un po’ il cast di Rat-Man, Djanga è Cinzia, un personaggio che amo molto. Mi interessa come persona e personaggio, non c’è niente di male nel fatto che le piacciano gli uomini e abbia un apparato genitale maschile, fa parte di lei, anche per questo lo uso come personaggio e mi dà l’occasione di fare delle battute un po’ stupide. Nei numeri successivi di Matana, in particolar modo nel finale che sto scrivendo ora, vedrete come alla battuta si sovrappone un certo tipo di pensiero. Stessa cosa per Bracco, che in questo caso si chiama Isaia, uno schiavo nero inserito nel contesto sociale e lessicale della fine dell’Ottocento. Anche sulla sua storia ci sarà un’evoluzione narrativa particolare. Matana è una storia comica ma mi piace far riflettere su certi temi.

In oltre trent’anni di carriera c’è qualcosa che farebbe in modo diverso?
No, anche perché di solito non mi volto quasi mai indietro. Quello che ho fatto in un dato momento, l’ho fatto perché volevo farlo così. Non ho rimpianti. Certo, magari oggi ho capacità grafiche che all’epoca potevo non avere, ma non mi metterei a rifare delle cose già viste. L’unica cosa che mi è balzata in mente, dopo aver visto i reboot di Batman fatti da Nolan, è l’idea di provare a riraccontare le origini di Rat-Man.

Da molti lei è considerato un genio del fumetto e della comicità. Che rapporto ha con questa definizione?
Ringrazio, ben gentili, ma boh… Ci sono tantissimi autori in grado di fare ridere e pensare in contemporanea, come Mattia Labadessa o Zerocalcare, solo per fare due esempi. Io faccio quel che posso.

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Come sta oggi il fumetto italiano?
Benissimo, direi, ci sono veramente tantissimi autori che si stanno esprimendo attraverso questi romanzi a fumetti piuttosto che, per certi versi, arenarsi su serie da edicola a servizio di altri personaggi che non sono i loro. Credo che il lento declino delle edicole abbia generato una nuova ricchezza: molti sono rimasti senza lavoro e si sono dovuti reinventare raccontando storie loro cercando nuovi mercati. Questo ha portato alla nascita di nuovi autori e nuovi materiali, cose interessanti e modi diversi di vedere e disegnare. Il tutto accompagnato da un grandissimo sdoganamento degli stili, con segni particolarissimi come quelli di Zuzu e di Yole Josephine Signorelli (Fumettibrutti, ndr). A me piace molto la narrativa contemporanea, ho poco tempo per leggere a causa del lavoro ma riesco a ritagliarmi sempre il tempo e la volontà di leggere un romanzo a fumetti.

Lei ha dedicato una vita a far ridere gli altri – e forse mai ne abbiamo avuto bisogno come in questo momento – ma c’è qualcosa che la fa piangere e la spaventa?
Sì, sicuramente, tante cose. Soprattutto situazioni che riguardano gli affetti non ricambiati, preoccupazioni da padre riguardo le figlie, cose su cui, magari, riderò più avanti, quando saranno risolte, ma non ora.

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