"Ho immensamente voluto", il primo romanzo di Gabriele Barbati

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Sabrina Rappoli

Giornalista, classe 1979, ha vissuto e lavorato a Pechino per anni e conosciuto a fondo la Cina, Paese che fa da sfondo al suo romanzo

“Ho immensamente voluto”. Sceglie un titolo evocativo Gabriele Barbati per il suo primo romanzo, pubblicato per Funambolo Edizioni: una storia appassionante, che ha radici nella realtà. Barbati, classe 1979, ha trascorso quasi quindici anni tra Pechino, Gerusalemme e Washington, raccontando la Cina, il Medio Oriente e gli Stati Uniti per i media italiani e internazionali. Abbiamo ascoltato proprio da lui le ragioni che lo hanno spinto a raccontare questa storia.

“Sai, ho vissuto e lavorato a Pechino per anni e ho conosciuto persone che portavano i segni di una contraddizione: il paese si era arricchito enormemente grazie all’apertura economica degli ultimi decenni, ma senza cambiare il sistema politico, che rimaneva quello a partito unico dei tempi di Mao. E allora mi sono domandato: che ne è dei tanti cinesi che chiedono libertà e diritti, o addirittura un paese senza il Partito comunista, oltre al miracolo economico?”.

L'influenza della professione giornalistica sul romanzo

Inevitabile chiedergli quanto ha influito la sua esperienza professionale nella stesura del romanzo. “Mi ha fornito innanzitutto la storia con cui ho provato a rispondere a questa domanda", dice. "Ho conosciuto  Zeng Jinyan e Hu Jia, proprio all’inizio della mia esperienza da giornalista in Cina, nel 2006. Gia’ allora erano due voci che davano una visione del paese diversa da quella ufficiale, del governo e della propaganda. Conoscendoli, ho pensato a come loro due rappresentassero in carne ed ossa la contraddizione di cui parlavo: chiedevano diritti, libertà e non si allineavano alle direttive del Partito. E ne pagavano il prezzo sulla propria pelle, con una serie di controlli, vessazioni e arresti da parte delle autorità che miravano così a svuotarne la vita, affinché la smettessero di dare voce ai torti subiti dalla popolazione o da altri attivisti. Lavorare quotidianamente come corrispondente dalla Cina mi ha fatto capire anche come questa faccia del paese potesse essere capita per davvero solo usando uno spazio diverso dai giornali o dalla televisione. Serviva una vera e propria narrazione che facesse apprezzare a un pubblico più ampio i sentimenti e i dolori dei protagonisti. Di qui la scelta di scrivere un romanzo”.

Nel romanzo anche le trasformazioni della Cina

"Ho conosciuto una generazione di persone che ora non c’e praticamente più" spiega sempre Barbati parlando della realtà cinese. "Il solo Hu Jia è rimasto a Pechino a chiedere riforme al governo cinese. Gli altri sono all’estero, per lo più negli Stati Uniti, o sono scomparsi per mano della polizia. Liu Xiaobo, premio Nobel per la pace nel 2010, è morto in carcere. Purtroppo non è scomparso però il sistema che ha sacrificato queste persone. Oggi accade lo stesso ai giovani di Hong Kong, vedi le recenti condanne ai leader delle proteste pro-democrazia, alla minoranza degli Uiguri compressa in massa in campi di lavoro e ai tanti cinesi comuni che vengono ancora arrestati per sovversione alla prima parola sui diritti dei lavoratori o sui diritti di genere. Mi rimane la sensazione che sia la stessa Cina autoritaria di allora, solo con più potere, più soldi e una tecnologia molto più sofisticata per controllare la propria popolazione. E che finiranno per diventarne vittima molte altre generazioni, come accaduto ai protagonisti di questo romanzo". 

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