In anteprima esclusiva per Sky Tg24, la ricostruzione grafica delle due statue antiche più belle al mondo realizzata da Saverio Autellitano per l'Università di Messina, sugli studi del Prof. Daniele Castrizio, docente di archeologia e numismatica presso l'ateneo
Perdonate una premessa: prima di iniziare a leggere questo articolo, dovete guardare il video dei Bronzi di Riace. La ricostruzione grafica contenuta nel video qui sopra riportato è una novità assoluta. Non si tratta del frutto della fantasia di chi lo ha realizzato, l’ottimo Saverio Autellitano. Il video è un documento, il risultato scientifico di studi, fotogrammetrie, riscontri sulla terra di fusione delle statue portati avanti nell’ultimi vent’anni. Guardatelo bene, capirete molte cose in più sui Bronzi di Riace.
Eteucle e Polinice
Daniele Castrizio, professore ordinario di Numismatica greca e romana all’Università di Messina e membro del MarRC - il Museo archeologico di Reggio Calabria - ne è sicuro. Il Bronzo A altri non sarebbe che Polinice, il Bronzo B invece Eteucle. Chi sono? Sarebbero i due fratricidi, i fratelli di Antigone che si sfidarono a duello per il trono di Tebe. Publio Papinio Stazio, nell'XI libro della Tebaide, li descrive in modo preciso, perché li vede a Roma, esposti in un’esedra sul Palatino. Ma è Stesicoro di Metauro che racconta la scena alla quale è ispirata l'iconografia del gruppo statuario del mito dei Sette a Tebe, collegato a quello di Edipo. Secondo Castrizio, i Bronzi erano esposti ai lati di un gruppo che vedeva al centro la loro madre Euryganeia, con le braccia allargate mentre cerca di dissuadere i figli dal duello. Polinice - cioè A - digrigna i denti, ecco perché sono d’argento e la sua bocca è aperta. Nel testo di Stazio si legge di un Polinice “hostile tuens”, che guarda cioè in modo ostile Eteocle - B - quando gli vede sulla testa la cuffia del potere militare e politico. Mentre B tiene basso lo sguardo, A lo tiene davanti a sé con l'occhio sinistro lievemente strizzato.
I dettagli nascosti e i colori
La presenza della “kynè” sulla testa di Eteocle o Bronzo B è documentata da dettagli fino ad oggi rimasti inosservati. Come la traccia lasciata da un laccio sotto il collo o i residui di rame dove la “kynè” si poggiava sulla fronte (ben ricostruita nel video di Autellitano). E poi ancora i segni all’altezza delle tempie del Bronzo B che proverebbero la presenza di un elmo sulla nuca del guerriero. Novità assoluta dei nuovi studi intorno ai Bronzi è poi il loro colore. In età greca le statue apparivano bionde e dorate, in età romana erano nere. Il nero lucido è il colore che assumono dopo il restauro che subirono quando furono trasferite a Roma, spiega l'archeologo. I Bronzi in origine erano esposti probabilmente ad Argo, nel Peloponneso, ma dopo la conquista della Grecia e le spoliazioni del 146 a.C. di Lucio Mummio, furono portati nella capitale e qui esposti almeno fino al IV d.C.
Gli esperimenti sulle statue
Facciamo un rapido riassunto degli esperimenti condotti sui Bronzi. Ci sono quelli con il Carbonio 14 che ne hanno certificato l'età – metà del V secolo dopo Cristo – e poi quelli sulla terra di fusione, le argille estratte durante il restauro dei bronzi, che ne hanno invece provato l’esatta provenienza, ovvero appunto Argo, la zona dove era attivo Pitagora di Reggio, il bronzista considerato da Plinio tra gli eccelsi, con Fidia, Mirone e Policleto. Ed è lo stesso Pitagora che l'apologeta cristiano Taziano il siro descrive – nel II secolo d.c. – appunto come l’autore delle statue dei fratricidi. Infine gli ultimi esperimenti, portati avanti dall’equipe del professor Castrizio. Prima la fotogrammetria realizzata da Gabriele Candela del laboratorio di geomantica coordinato dal prof. Vincenzo Barrile dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Poi la ricostruzione grafica in 3d elaborata da Saverio Autellitano. Infine, grazie alla collaborazione del bronzista Domenico Colella, è stato possibile predisporre il campione di metallo con le stesse percentuali di stagno (circa il 15%) e di rame dei Bronzi. Modello su cui sono poi state fatte tutte le verifiche per individuare il colore originario delle statue, tenendo conto dei materiali a disposizione all’epoca in cui furono realizzati.
Il mistero del ritrovamento dei Bronzi di Riace
Nei quasi cinquant'anni dal ritrovamento, avvenuto a meno di dieci metri di profondità poco lontano dalla riva, c'è una storia parallela, fatta di cause in tribunale, denunce e sospetti depistaggi. La circostanza sempre apparsa strana a buona parte degli studiosi è che i Bronzi siano stati rinvenuti sott'acqua senza intorno altri materiali di contesto. Per questo si è rafforzata la convinzione che qualcuno li abbia trascinati vicino alla costa prelevandoli dal luogo in cui probabilmente sarebbe affondata l’antica nave che li stava trasportando, forse verso Costantinopoli. Sono ampiamente riconosciute dagli archeologi la "leggerezza" e le "operazioni maldestre" che caratterizzarono il loro ritrovamento e recupero. Il ripescaggio avvenne in emergenza davanti a migliaia di curiosi. C'erano i carabinieri sommozzatori di Messina, un solo archeologo, Pier Giovanni Guzzo, e lo scopritore ufficiale, il sub romano Stefano Mariottini. Assente il soprintendente Giuseppe Foti, partito in crociera dopo la segnalazione della scoperta nonostante la portata epocale dell'evento.
A gettare ombre sulla scoperta, poi, una doppia versione che aprì un caso giudiziario, poi chiuso nel 1977 dal Tribunale di Roma che attribui' il premio di rinvenimento (125 milioni di lire) al sub Mariottini, sebbene la sua denuncia scritta fosse arrivata nel pomeriggio del 17 agosto, preceduta, a mezzogiorno, da quella di quattro ragazzi di Riace, Cosimo e Antonio Ali', Domenico Campagna e Giuseppe Sgro'. Decisiva, per il sub, fu alla fine la dichiarazione del soprintendente Foti: "avvisato alle 21 del 16", si legge in una postilla scritta a mano, senza timbri apposti, sul verbale di ritrovamento (tutti i documenti sono consultabili sul libro "Facce di Bronzo" di Giuseppe Braghò). Foti che però non si preoccupò di avvertire le forze dell'ordine, che si attivarono soltanto dopo la segnalazione dei quattro ragazzi, con il risultato che, nel frattempo, la zona era rimasta incustodita per tutta la notte. Che quell'area fosse ricca di reperti era noto fin dal febbraio del 1972, quando la rete di un pescatore era rimasta impigliata in "cose antiche", dopo che una mareggiata aveva sconvolto la spiaggia e smosso i fondali. La voce si era diffusa e, complice l'assenza di vigilanza da parte delle istituzioni, avevano il via, in quelle acque, frequenti cacce al tesoro che avrebbero arricchito il mercato clandestino.
La scoperta di Giuseppe Braghò
Giuseppe Bragho’, esperto di arte antica, professore di Vibo Valentia, giornalista, autore del libro “Facce di Bronzo”, nel 2005 fece un’importante scoperta. Fu il primo a chiedere e ottenere di consultare i verbali del ritrovamento dei Bronzi nell’agosto del 1972. Il primo a prendere in mano i documenti sulla scoperta, rimasti per anni sottochiave nell'archivio della Soprintendenza di Reggio Calabria. Dai verbali firmati dal sub Mariottini, lo scopritore ufficiale dei Bronzi, e dalla successiva relazione di Guzzo, l’archeologo che curò il recupero, emersero una serie di incongruenze che fecero addirittura ipotizzare a Braghò l’esistenza di un terzo bronzo e di un corredo di scudi, elmi e lance spezzati che sarebbero stati trafugati e venduti oltre oceano ai curatori del Getty Museum di Malibu, in California.
Incongruenze e testimonianze
Nei verbali del ritrovamento si fa riferimento a “un gruppo di statue", non soltanto due, avvistate pochi metri sott’acqua. Si cita poi una statua con le braccia aperte e una gamba sopravanzante, del tutto simile al Poseidone di Capo Artemisio, rinvenuto nei fondali grechi negli anni venti del secolo scorso. Una statua dunque molto diversa da quelle che tutti conoscono. E poi ancora l'esistenza di uno scudo al braccio sinistro di un bronzo e di un elmo sul suo capo. Tutti elementi di cui non risulta traccia. Infine la testimonianza di Anna Diano, proprietaria di un noto hotel di Siderno, rintracciata da Braghò nel 2007. La donna raccontò di aver visto due uomini in muta uscire dall'acqua trasportando un grosso scudo e una lancia spezzata mentre avveniva il recupero del primo bronzo. Nel frattempo, spuntava una segnalazione del 1981, in cui un trafficante di reperti rivelava del recupero di uno scudo di 65 kg avvenuto nei primi mesi del 1972 con l'aiuto di due pescatori "tacitati con 6 milioni di lire", e della vendita per seimila dollari al Getty Museum di un altro scudo e di un elmo.
Strane anomalie metalliche
E poi c’è un altro mistero, rimasto a tutt'oggi insoluto. Nel 2004, una spedizione al largo di Riace finanziata da un magnate americano segnalò l’esistenza di strane anomalie metalliche sotto i fondali marini. Attraverso l’utilizzo di un proto magnetometro era stato infatti possibile rilevare ampie e diffuse presenze metalliche nella zona in cui si suppone giacessero i bronzi, prima che fossero spostati verso riva nel punto in cui poi furono trovati. L’ allora dottoressa Annalisa Zarattini, soprintendente reggente a Reggio Calabria, dopo aver saputo della scoperta, decise di approfondire le anomalie metalliche acquisite dalla Hercules (la nave di proprietà di Mr. George Robb, INA Texas) presenti e documentate in un report. Ma non le fu possibile farlo: pochi giorni dopo l’annuncio di voler approfondire la ricerca, fu spostata ad altro incarico.
E’ arrivato il momento di scavare
La zona dove furono rilevate le anomalie metalliche è stata in passato luogo di transito di navi antiche greche e romane. Non è da dunque da escludere che in quell’area possa essere naufragata la nave antica che portava i Bronzi. L'’argomento andrebbe quantomeno approfondito. La cosa incredibile è che in tutti questi anni - a parte un piccolo scavo iniziale di cinque metri per due - nessuna campagna di scavo è mai stata messa in atto. Manca poco al cinquantenario della scoperta. Forse è arrivato il momento di svelare il mistero. Forse è arrivato il momento di scavare.